Milano, che beffa: salta Next Gen. Sfuma un sogno da 30mila spettatori (Silvio De Sanctis, Il Giorno)
La decisione era da tempo nell’aria, adesso è diventata ufficiale. L’Atp (l’associazione mondiale dei tennisti professionisti) ha comunicato il nuovo calendario dei tornei di questo travagliato 2020 e fra questi mancano le Next Gen Atp Finals, la manifestazione con i migliori otto giocatori del mondo under 21 che si disputava da tre anni a Milano (i primi due anni alla Fiera di Rho, nella scorsa edizione nel più “comodo” Palalido, oggi diventato Allianz Cloud). […] Le Next Gen erano previste dal 10 al 14 novembre. Invece la vetrina riservata alle migliori promesse della racchetta mondiale è rimasta stritolata dalla raffica di cambiamenti di queste settimane, ed è una perdita grave per una manifestazione che nel 2019 aveva chiuso con numeri importanti, complici le splendide prestazioni del “predestinato” Jannk Sinner. Il diciottenne altoatesino di Sesto Pusteria si era accaparrato il titolo al cospetto di avversari più grandi di tre anni (Alex de Minaur su tutti in finale), mettendo in banca un assegno di oltre 235mila dollari, a cui si sono aggiunti 64mila dollari per le vittorie nel girone e 53mila dollari come premio di partecipazione. Per essere sostanzialmente un’esibizione (il torneo non assegna punti per la classifica mondiale) non c’è da lamentarsi, perché il montepremi complessivo ha toccato quota 1,4 milioni di dollari, a cui si è aggiunta un’impennata di spettatori, saliti a quasi 29.000 paganti contro i 18.000 del 2018, complice l’entusiasmo per le imprese di Jannik. Una crescita ora interrotta dalla pandemia, ma l’Atp guarda già avanti e fissa la prossima edizione al 9-13 novembre 2021, quinto e ultimo anno di contratto con la città di Milano, nella speranza di rivedere lo stesso Sinner fra i protagonisti. II rischio è che l’altoatesino diventi subito un papabile per i piani alti delle Atp Finals, come accaduto a Stefanos Tsitsipas, il greco vincitore delle Next Gen nel 2018 che non ha difeso il titolo la scorsa stagione, perché entrato nella top ten mondiale e quindi impegnato a Londra contro Djokovic, Nadal e Federer. Un “sacrificio” che il competente pubblico milanese comunque sopporterebbe, per una città vetrina del tennis internazionale fin dagli anni ’70 e con una serie di tornei giovanili come Trofeo Bonfiglio e Torneo Avvenire dalle radici storiche invidiate in tutto il mondo.
Tutti chiusi nella Grande Bolla. Il tennis riparte da New York, ma tra i big solo Djokovic dice sì (Stefano Semeraro, La Stampa)
I tennisti non sono James Bond, la bolla americana con licenza di morire non li attira. «Mi assumo la piena responsabilità per ogni rischio – spiega il documento che dovranno firmare al loro arrivo negli Usa – incluso quello di morte, che potrà essere affrontato da me o da chi verrà in contatto con me come conseguenza della mia presenza nell’impianto, anche nel caso sia il risultato di una negligenza del New York Tennis Center». […] Il 22 agosto il grande tennis riparte dal torneo di Cincinnati, che però si giocherà nello stesso impianto di New York, sotto la bolla da Covid che comprende anche gli Us Open (dal 31 di agosto). Le regole sono spietate: niente pubblico, massimo tre accompagnatori, tamponi ogni 4 giorni, spostamenti solo per partite e allenamenti (bye bye Broadway) soggiorno obbligato in due hotel ufficiali o in appartamenti approvati: chi sceglie il confino in casa deve però pagarsi una sorveglianza h24 per evitare scappatelle. Per i positivi c’è l’esclusione dal torneo e un isolamento di 10 giorni, l’unica buona notizia è che sembra evitata la quarantena al rientro in Europa. […] Non ci saranno la n. 1 delle donne, Ashleigh Barty, e il numero 2 dei uomini, Rafa Nadal, e nemmeno Wawrinka, Monfils, Fognini, Kyrgios, Tsonga, mentre Novak Djokovic – che il virus però l’ha già avuto – è dentro. Federer bi-operato al ginocchio rientrerà, se sarà il caso, a gennaio. Serena Williams, che insegue il benedetto 24esimo Slam (sarebbe record), da quasi 39enne sopravvissuta ad una embolia polmonare predica prudenza: «Mi piace il tennis, ma qui si tratta della mia vita. E’ giusto essere un po’ nevrotici e portarsi dietro 50 mascherine. Credo che sopravviverei al contagio, ma preferisco non scoprirlo». Certo, quello che rimane dell’anno più sfigato – il nuovo calendario ufficializzato ieri anticipa Roma al 14 settembre e cancellato le Next Gen di Milano – rischia la svalutazione. «Molti dei migliori a New York non giocheranno – dice il n. 3 del mondo Dominic Thiem – quindi arrivare in fondo varrà meno del solito». Uno Slam fallato, e fa strano che a dirlo sia proprio lui, l’erede designato dei Big 3, finalista in due degli ultimi tre Slam. Pensa che beffa: una vita ad aspettare di alzare una coppa, e quando ci riesci scopri che è di latta.
Jannik Sinner: “Il mio tennis esprime libertà” (Sport Week)
E abbastanza raro – credo – che un ragazzo se ne vada di casa a tredici anni. Beh, io l’ho fatto: per il tennis, ovviamente. […] CON GLI SCI AI PIEDI Il fatto è che io non sono nato con la racchetta in mano, ma piuttosto con gli sci ai piedi: sono di San Candido, un paese dell’Alta Pusteria, praticamente sul confine tra Austria e Italia. Come tutti i ragazzi del mio paese, ho imparato a parlare (tedesco) e subito dopo a sciare. E a sciare ero abbastanza bravo. Ecco, se sei uno di quelli bravi a sciare in Alto Adige, vuol dire che sei bravo a sciare in generale. Infatti a sette anni ero campione italiano di sci. A quei tempi non pensavo tanto al tennis, giocavo giusto una volta ogni tanto. Però, crescendo, ho iniziato ad andare al campo a Brunico un paio di giorni alla settimana, ho conosciuto prima il mio grande maestro Heribert Mayr, poi Alex Vittur. Max Sartori… alla fine tutti dicevano ai miei che ero bravo e che avrei dovuto provare ad andare a scuola da uno dei migliori in Italia. Riccardo Piatti. […] Però il tennis mi piaceva, e ho pensato: perché non provare? I miei hanno sempre lavorato tanto: si occupavano di un rifugio in montagna e mia madre per molto tempo ha avuto due lavori. Mi ricordo che, ai tempi in cui sciavo loro lavoravano sempre e io facevo tutto da solo. Avevo sette, otto anni: la mattina andavo alle elementari poi a pranzo dai nonni e poi mi cambiavo per andare a lezione di sci. A pensarci, sono sempre stato un tipo abbastanza indipendente, infatti i miei l’hanno presa bene quando hanno saputo che avrei voluto trasferirmi a Bordighera per giocare a tennis. Sono ben settecento chilometri da San Candido, e a dire il vero ai tempi non parlavo neanche bene l’italiano, ma loro mi hanno detto soltanto: “Ok, se davvero ti piace, proviamo!”. Cosi abbiamo fatto quel viaggio, dall”‘Alto Adige quasi-Austria” alla “Liguria quasi-Francia”. LA LISTA D’ATTESA Quando sono arrivato all’Accademia mi hanno detto che i posti erano esauriti, che avrei potuto fare un paio di giorni di prova e poi magari mi avrebbero messo in lista d’attesa. Però quando ho giocato con Riccardo, che poi sarebbe diventato il mio allenatore, dopo dieci minuti si capiva già che un po’ gli piacevo. Tre mesi dopo vivevo a Bordighera, e ho scoperto che ero felice. […] Non mi faceva strano essere passato dalla montagna al mare, anche perché in realtà il mare lo guardavo poco: giocavo a tennis, ascoltavo Eminem, tennis, mangiavo, tennis, dormivo, tennis. Ho iniziato a capire che poteva essere quella la mia passione, più dello sci. Mi piaceva, e mi piace ancora oggi, perché è un gioco. Non è uno di quegli sport dove fai un errore, ed è finita. Se sbagli nel tennis in ogni caso hai perso un 15. Magari è un 15 importante, ma rimane un 15. MEGLIO VINCERE Insomma, a un certo punto ho deciso. Credo che rimanere concentrato su una cosa sia un tratto della mia personalità e se fai sport è una cosa molto utile. Ero sempre concentrato suI tennis, e forse non dovrei dirlo, ma ci pensavo anche quando andavo a scuola. Effettivamente non mi sono fatto molti amici a scuola, molti di più sui campi! Oggi non ho rimpianti, sono grato ai miei che mi hanno sempre sostenuto e aiutato anche a dare il giusto peso alle cose. Ricordo che quando chiamavo mia madre, ed ero nero perché avevo perso qualche incontro, lei a volte mi diceva «Bene Jannik, ma adesso scusami, ho un sacco di cose da fare». Sono grato a lei e a mio padre, perché non hanno mai interferito nella mia scelta. Si sono fidati e la fiducia può portarti lontano. Oggi non vedo l’ora di finire un torneo per poter tornare a casa a trovare la mia famiglia… Anche se per loro, beh, è molto meglio quando vinco.