Andy Murray avrà anche perso otto finali Slam – un ‘record’ che lo sistema al sesto posto tra coloro, ambosessi, che ne hanno perse di più – ma da stasera può vantare un nuovo primato, più piccolino, che forse dice di lui più di qualsiasi altro numero. In compartecipazione con Todd Martin, lo scozzese diventa il tennista capace di firmare il maggior numero di rimonte (nove) da uno svantaggio di due set in un torneo dello Slam. L’ultima è arrivata contro Yoshihito Nishioka, al primo turno dello US Open più strambo della storia recente, il quattordicesimo vinto da Murray che qui non mai perso all’esordio. L’assenza di pubblico, che identifica questa edizione dello Slam newyorchese, ha tolto alla partita (4-6 4-6 7-6 7-6 6-4 il punteggio finale) la cornice di tifo che avrebbe certamente meritato.
Dal primo all’ultimo quindici, vinti entrambi da Murray, trascorrono ben quattro ore e trentanove minuti – circa tre intere partite di calcio, intervalli esclusi. Non si è trattato di una partita bellissima, anche se l’ampia dozzina di passanti vincenti firmati da Nishioka ha contribuito ad alzare il tasso di spettacolo in tutti quei momenti in cui Murray, per tirare il fiato, ha provato ad accorciare lo scambio recandosi a rete. Perché tutti ricordino, anche i lettori con una conoscenza meno profonda della carriera di Murray, l’ex numero uno del mondo si è sottoposto a due operazioni chirurgiche all’anca – la prima nel gennaio 2018, la seconda circa dodici mesi dopo per impiantare la protesi metallica che oggi gli consente di stare in campo quasi cinque ore. Per questo non sorprende la sua ricerca di una soluzione più rapida della solita tiritera da fondo per vincere il punto, per quanto il palleggio lento e cadenzato, seguito da improvvise accelerazioni, l’abbia reso il campione che è.
Andy Murray è chiaramente un campione, lo è ancora pur senza velleità di vincere quei titoli importanti per cui una volta competeva. Murray è ancora un campione nella misura in cui, archiviato un doppio 6-4 da Nishioka nei primi due set in cui ha perso la maggior parte degli scambi lunghi (20 su 28 oltre i nove colpi), è capace di far uscire dal guscio delle rispettive suite – ogni testa di serie ne ha una sull’Arthur Ashe – gli unici tifosi di cui può disporre un match in questo US Open, ovvero gli altri giocatori. Dimitrov e Osaka, tanto per dirne due, si affacciano tra quarto e quinto set, Naomi chiaramente per sostenere il suo connazionale eppure intenta ad ammirare l’enorme orgoglio di Murray.
Appare difficile scrivere oggi di Andy Murray senza scadere nell’elegia, e forse non è neanche giusto provare ad evitarlo. Il racconto del terzo e del quarto set, vinti entrambi al tie-break, è il racconto di come si possa raccogliere tanto con poco (una sola palla break, convertita ma pareggiata da Nishioka nel terzo set), di come a volte possa bastare un guizzo, il giusto incitamento nel mezzo del solito campionario di auto-insulti che Murray si infligge da anni. Il racconto di come si annulla un match point, soprattutto, meritatamente guadagnato da Nishioka con l’ennesimo passante di rovescio della partita a beffare uno degli attacchi migliori di Andy – si fa con il servizio, ma bisogna saperlo fare. I campioni questo fanno, scelgono il momento e lo cavalcano, piuttosto che subirlo.
Dopo un altro saggio di nervi saldi di Murray al tie-break, il quinto set dovrebbe vedere Nishioka sempre meno capace di incidere, risucchiato dal ritmo lento della partita o semplicemente po’ frustrato per come la situazione si è capovolta, invece è il giapponese a trovare il break per primo – ma viene prontamente rimontato da Murray, consapevole che adesso il margine non c’è più. Sul 5-4, tutti di fronte alla TV rassegnati al terzo tie-break di fila (evidentemente non chi stava per evitarlo), Murray pesca dal borsone un dritto e un rovescio vincenti prima di alzare le braccia al cielo su una veronica imprecisa di Nishioka. 190° vittoria in un torneo dello Slam, due anni dopo l’ultima contro Duckworth sempre qui a New York, 46° allo US Open. Ecco come vince un campione, anche con un anca che fa suonare i metal detector.