Nel dicembre del 2015, un’ottantina di articoli fa, “Nei dintorni di Djokovic” faceva il suo esordio su Ubitennis raccontando la storia di Danka Kovinic. L’allora 21enne tennista montenegrina era infatti in piena ascesa, reduce dalla sua prima finale WTA e dall’ingresso tra le top 60. Ed aveva un grande sogno: diventare il primo tennista montenegrino a rappresentare il suo paese alle Olimpiadi. Un sogno che otto mesi dopo si realizzò grazie anche da un’ottima prima parte di 2016, con i quarti nel WTA di Rio de Janeiro che le valsero il best ranking al n. 46 a fine febbraio e successivamente la finale nel WTA di Istanbul e la vittoria nel prestigioso ITF di Marsiglia.
Le Olimpiadi non furono certo fortunatissime, con la sconfitta all’esordio contro la statunitense Madison Keys. Ma soprattutto furono l’inizio della crisi per la tennista di Cetinje – ma cresciuta ad Herceg Novi, cittadina montenegrina che si affaccia sull’Adriatico – dato che a quella dei Giochi di Rio fecero seguito altre sei sconfitte al primo turno, su otto tornei disputati, con l’unico exploit della semifinale di Tianjin, fondamentale per mantenere a fine anno un posto tra le prime ottanta giocatrici del mondo. “Quando adesso ripenso a quelle due stagioni, sono state veramente ricche di successi. Il best ranking, la qualificazione alle Olimpiadi di Rio, le finali WTA, i match contro i grandi nomi del tennis. Sono successe tante cose, e rivedendo il tutto adesso la sensazione è che non me lo aspettassi, che sono stata presa alla sprovvista. Sono passati tre anni da allora e credo che mi sia mancata l’esperienza per sfruttare a mio vantaggio tutti quei successi” ha raccontato Danka in un’intervista prima della partenza di questa stagione.
Nel 2017 la tennista montenegrina alterna delle buone prestazioni nei tornei ITF (tre finali) a risultati deludenti nel circuito WTA, finendo però l’anno con cinque sconfitte consecutive al primo turno – compreso un ITF e un 125K, che dovevano rappresentare l’ancora di salvezza per il ranking di fine stagione – che le costano l’uscita dalle top 100. L’anno successivo va anche peggio: fa fatica anche a livello ITF e scivola fuori dalle prime duecento della classifica mondiale. E solo per il rotto della cuffia, grazie a un paio di discreti risultati a novembre tra ITF e 125K, riesce a rientrarci nella classifica di fine anno.
“Ammetto che è stata dura. Il periodo nero è durato più di due anni. Ero triste, insoddisfatta, non vedevo la fine della striscia di risultati negativi, mi sentivo insicura in campo. La cosa più dura da accettare era il fatto che mi allenavo e mi impegnavo al massimo come quando arrivavano i risultati, ma nonostante questo niente andava come doveva. Dopo una serie di insuccessi inizia a vacillare anche la fiducia in se stessi, e così c’erano momenti in cui in campo mi ritrovavo a non avere la stessa voglia, lo stesso desiderio di vincere di prima. Non sono andata da uno psicologo sportivo o da un mental coach, ho ritenuto di doverne uscire da sola. Forse con questa scelta la strada è stata più lunga, ma ne sono uscita più forte e matura”.
Ma quelle vittorie a fine 2018 sono il primo timido segnale di risveglio per Danka, che comincia a ritrovarsi, pur non riuscendo a capire fino in fondo, neanche adesso, cosa sia successo. “Non riesco a determinare il motivo esatto. Tutto quello di cui ho parlato prima ha contribuito a far scendere il mio livello di gioco. Come anche il fatto che in due anni ho cambiato quattro allenatori, mentre in precedenza avevo lavorato per dieci anni con lo stesso coach. Non riuscivo a trovare qualcuno che mi andasse bene e che capisse che non ero tennisticamente al livello di quando ero top 50. Poi nel 2019 ho cominciato a sentirmi meglio, più felice. Ci sono stati ancora degli ostacoli, ma aveva ritrovato la capacità di lottare che avevo prima, ero determinata in quello che volevo e nel dimostrare che meritavo di stare lì dove ero stata”.
Il 2019 segna infatti il comeback di Danka. Ricomincia pian piano a fare la voce grossa a livello ITF (una vittoria e una finale in marzo), ma la prima svolta vera e propria arriva a luglio, con la finale nel 125K di Bastaad in mezzo ad una vittoria ed una finale ITF, risultati che le permettono di riavvicinarsi alla top 100. Dove rientra alla grande a fine ottobre, grazie alla vittoria nell’ITF di Szekesfehervar, in Ungheria. Una vittoria, quella nella “Città dei re” (così chiamata perché in epoca medioevale vi avevano luogo le incoronazioni dei re ungheresi), che ha significato molto per la 25enne tennista originaria della città montenegrina che ha dato i natali anche a Elena del Montenegro, consorte di Vittorio Emanuele III di Savoia e regina d’Italia dal 1900 al 1946). Ma re, regine e corone non c’entrano nulla con il valore di quella vittoria.
“Il titolo in Ungheria è stato più di un titolo. Era il torneo in cui prima dell’inizio sapevo che vincendolo avrei raggiunto l’86esima posizione in classifica e dopo due anni sarei entrata nel tabellone principale di uno Slam. La pressione era tanta, specie in finale. È stato un match molto tirato, perché sia io che la mia avversaria (la rumena Begu, sconfitta per 6-4 3-6 6-3, ndr) eravamo nella stessa situazione: solo la vittoria garantiva l’accesso al main draw dell’Australian Open. Il ritorno nelle prime 100 è stata l’aspetto che ha caratterizzato la stagione e sono orgogliosa di essere riuscita a conquistare di nuovo un posto tra le migliori. Anche nel 2019 ci sono stati degli ostacoli, ma io e il mio team non ci siamo dati per vinti e questo ha pagato”.
Inutile ribadire come il 2020 sia stata, a causa della pandemia, una stagione assolutamente anomala. Prima dello stop Danka Kovinc aveva racimolato tre sconfitte in altrettanti incontri, tra Australian Open e un paio di International WTA, ma durante il lockdown non ha smesso di allenarsi intensamente e le dieci vittorie di fila all’Eastern Europe Tennis Championship organizzato da Janko Tipsarevic nella sua Accademia, struttura dove la giocatrice balcanica si allena da diverso tempo, le hanno permesso di riprendere la confidenza con il tennis agonistico.
“È stato molto importante, ci stavamo allenando 3-4 ore al giorno senza sapere, di fatto, perché, ed inoltre io sono una giocatrice che necessita di un po’ di tempo per abituarsi al ritmo partita. Per me quell’iniziativa è arrivata al momento giusto” aveva dichiarato di recente in un’altra intervista, prima di partire per gli Stati Uniti. I risultati dopo la ripartenza lo hanno dimostrato: dopo il ko all’esordio contro Zvonareva al Western e Southern Open, ecco il secondo turno allo US Open (l’ultima volta che aveva passato un turno in uno Slam era accaduto a Melbourne tre anni prima), i quarti ad Istanbul ed infine gli ottavi a Roma partendo dalle qualificazioni, suo miglior risultato in un torneo di livello Premier. Da lunedì Danka è n. 73, con un salto di tredici posizioni, tornando così dopo più di tre anni (dall’aprile 2017) tra le prime ottanta giocatrici del mondo.
E non pare intenzionata a fermarsi, anche perché adesso ritiene di avere una consapevolezza diversa, rispetto alla ragazzina montenegrina che si affacciò timorosa nel circuito ormai diversi anni fa. “Quando sono arrivata nel circuito avevo un grande rispetto verso i ‘grandi nomi’. Anche quando, ad esempio, ho battuto Roberta Vinci (successe a Madrid, nel 2016, ndr), c’era sempre quella sensazione di rispetto, forse anche di eccessiva umiltà… io sono solo Danka Kovinic e arrivo da un piccolo paese… Ora sono cambiata, forse sono cresciuta, affronto i match e le mie avversarie con un altro approccio. Sono sempre entrata in campo per vincere, ma prima era come se a livello inconscio ci fosse qualcosa in testa che ti diceva: ‘Ehi quella è Maria Sharapova…’. Ma per ottenere grandi risultati questo non deve succedere. Cinque anni fa per me era tutto nuovo. Da Herceg Novi mi sono ritrovata al Roland Garros. Non c’era nessuno che mi dicesse: ‘Sei arrivata fino a qua, ora puoi battere anche loro’. Mi dicevano invece ‘va bene così. Hai già fatto tanto…’. Ecco, forse questo è stato l’errore”.