12 – le partite vinte sulla terra battuta da Christian Ruud nel 2020. Il figlio di Christian Ruud – ex 39 ATP capace di arrivare in finale a Baastad nel 1995 e sconfiggere Corretja all’Australian Open e Kafelnikov a Montecarlo – si era fatto conoscere al grande pubblico già tre anni fa. Nel 2017, a diciotto anni compiuti da nemmeno due mesi aveva raggiunto la semifinale all’ATP 500 di Rio De Janeiro, un risultato che gli era servito da volano per fargli sfiorare la top 100. Allontanatosi nuovamente da quel range di classifica nella prima parte del 2018 – quando perdeva da 205 del mondo a Francavilla la finale contro Quinzi – quell’anno a Baastad sconfiggeva per la prima volta un top 50, Ferrer, e arrivava sino ai quarti. Casper chiudeva la stagione ancora in prossimità dei primi 100, per poi entrarvi definitivamente nel 2019, quando raggiungeva la prima finale della carriera nel circuito maggiore, a Houston.
Nel 2020 l’evoluzione è continuata: quest’anno è sinora primo per partite vinte sul rosso davanti a Garin, che ne ha vinte 10. Oltre alla semifinale conquistata la scorsa settimana al Foro Italico, le altre gli hanno portato in dote il primo titolo a Buenos Aires e la finale raggiunta a Santiago del Cile. Risultati che avevano consentito al norvegese il precedente best ranking al 34 ATP (questa settimana è 30, con la certezza di essere testa di serie al Roland Garros), grazie ai 400 punti messi complessivamente in cascina sette mesi fa. Tuttavia, nel corso della trasferta sudamericana di febbraio la consistenza dei miglioramenti del 21enne norvegese era avvolta nel dubbio dovuto al mediocre livello degli avversari affrontati (appena due erano top 50).
Perplessità fugate a Roma, dove Casper ha battuto Khachanov (primo successo della carriera sulla terra rossa contro un top 20) e Berrettini, prima vittoria in assoluto contro un top ten. La semifinale contro Djokovic, nonostante la sconfitta in due set, nelle oltre due ore di partita è stata la prova del nove del valore elevatissimo del tennis sul rosso di Ruud. Restano invece i dubbi sul valore del norvegese fuori dalla terra battuta: solo tre dei dieci quarti di finale raggiunti in carriera sono arrivati fuori dal rosso e, sulle altre superfici, non ha ancora raggiunto alcuna semifinale. Il futuro è dalla sua parte, anche perché solo Auger-Aliassime, Shapovalov e De Minaur, tra chi gli è avanti in classifica, sono più giovani di lui.
14 – i tennisti a non aver ancora compiuto vent’anni presenti questa settimana nella top 400 ATP, la fascia di classifica che indicativamente consente di entrare in alcuni casi nei tabelloni principali e quasi sempre in quelli delle qualificazioni dei tornei Challenger. Quando un tennista è intorno ai primi 400 al mondo, ha vinto qualche buona partita in cadetteria ed è professionista a tutti gli effetti (sebbene oltre i primi 100, ancora esista l’annoso problema delle mancate soddisfazioni economiche): l’ingresso nel circuito maggiore non è così lontano e si è consci di potersela giocare, nella singola partita, alla pari con molti giocatori. Il tennis è uno degli sport più praticati al mondo ed è un grande merito per questi ragazzi, nonché una buona indicazione per il loro futuro in questa attività, esserci arrivati in fretta.
Se Jannik Sinner è l’unico, a 19 anni e un mese, a essere tra i primi 100 e aver vinto match in tornei Major (13 in totale nel circuito maggiore, di cui due addirittura contro top 10, il secondo dei quali contro Tsitsipas la scorsa settimana a Roma), la speranza concreta di diventare tennisti di alto livello ha basi solide anche per altri. A partire da Carlos Alcaraz, 186 ATP che a 17 anni e quattro mesi è tra i primi 200, ha già vinto una partita a livello ATP (lo scorso febbraio a Rio, sconfiggendo Ramos), conquistato un torneo Challenger (a Trieste) e fatto finale in un altro (Cordenons). Anche lo statunitense Brandon Nakashima – 199 ATP di 13 giorni più grande di Sinner, ha vinto tre partite nel circuito maggiore – e il tedesco Rudolf Molleker – che fa vent’anni il prossimo 26 ottobre, sin qui capace di vincere quattro partite nel circuito maggiore, di sconfiggere un top 50 e vincere un Challenger – sono tra i primi 200, fascia di classifica nella quale da questa settimana è presente un altro nostro rappresentante, Lorenzo Musetti. Il toscano è salito al 181 ATP con un balzo di 68 posizioni per quanto fatto al Foro Italico, dove è stato capace, da qualificato, di sconfiggere due ex top 5 come Wawrinka e Nishikori.
Più indietro troviamo gli altri under 20, a partire dal mancino francese Hugo Gaston, 236 ATP, che il prossimo sabato esce da questa categoria di età compiendo 20 anni: ex numero 2 juniores, è stato sinora incapace di acuti importanti, anche a livello challenger (dove sinora ha raggiunto una sola semifinale, a Bergamo lo scorso febbraio). Al 252 ATP c’è il ceco Tomas Machac (altro tennista che uscirà da questa categoria prestissimo, il prossimo 13 ottobre), vincitore del challenger di Koblenz sette mesi fa, ma anche lui senza partite vinte a livello ATP. Al 286 ATP c’è il cinese di Taipei Chun Hsin Tseng, vincitore di Roland Garros e Wimbledon juniores nel 2018: nato come Sinner e Nakashima nell’agosto del 2001, ha vinto nel luglio 2019 il Challenger di Praga (in Italia si è fatto conoscere sette mesi fa a Bergamo, perdendo in semi solo al tie-break del terzo set).
Ancora tra i primi 300 e nemmeno diciottenne troviamo poi il britannnico Jack Draper, 290 ATP, finalista a Wimbledon junior due anni fa, ma al momento incapace di superare i quarti in un challenger. Il secondo statunitense di questo elenco è Jenson Brooksby, 292 ATP, anche lui prossimo a compiere 20 anni (è nato esattamente lo stesso giorno di Molleker) e sin qui famoso per aver sconfitto allo US Open 2019 un Berdych prossimo al ritiro, ma pur sempre ancora top 100. Proseguendo ancora troviamo poi il terzo italiano, il classe 2001 Giulio Zeppieri, che a Roma ha mostrato i suoi miglioramenti battendo nelle quali il primo top 200, Dellien, e il primo top 100, Norrie, per poi cedere al terzo set nel turno decisivo all’amico Musetti e interrompere un cammino che gli ha fruttato un salto in avanti di 25 posizioni, sino al 320 ATP. Tra gli under 20, seguono due argentini: Juan Manuel Cerundolo, 346 ATP, ancora diciottenne ma capace lo scorso novembre di cogliere la prima semifinale a livello challenger e Sebastian Baez, 360 ATP ed ex numero 3 juniores sinora impostosi solo a livello ITF. Chiude l’elenco il romeno Filip Cristian Jianu, 383 ATP, questa settimana al suo giovane best career ranking (qualche giorno fa ha compiuto 19 anni), ma con una classifica costruita al momento quasi esclusivamente sui tornei futures.
Questa ricerca parte da una imprescindibile premessa: va presa con le molle. Tanti tennisti maturano dopo i vent’anni (abbiamo in casa il brillante esempio di Matteo Berrettini), altri si dedicano sino all’ultimo momento possibile alla carriera juniores, alcuni sono infortunati e hanno perso la classifica, altri ancora hanno preferito per il momento provare a migliorarsi in allenamento e aspettare per cimentarsi con continuità nel circuito. Tuttavia è certamente di buon auspicio per il nostro tennis l’indicazione derivante dall’analisi della classifica ATP: per il movimento italiano essere l’unico paese con tre giocatori under 20 tra i primi 400 può far guardare con molta fiducia ai prossimi 10-15 anni.
19 – i set giocati in otto giorni da Dominik Koepfer agli Internazionali d’Italia. Solo per qualificarsi -nel corso dei tre incontri di qualificazione tutti vinti nel parziale decisivo contro Cobolli, Simon e Kujhuskin- il 26enne mancino tedesco era stato in campo una manciata di minuti sotto alle sette ore e mezza. Arrivato a Roma pressoché sconosciuto al grande pubblico -s inora la sua classifica l’aveva costruita grazie agli ottavi raggiunti allo US Open nello scorso anno, sconfitto solo al tie-break del quarto set dal futuro finalista Medevedev – la scorsa settimana ha raggiunto i primi quarti di finale della carriera, non solo a livello Masters 1000, ma di circuito maggiore. Koepfer c’è riuscito non solo sconfiggendo nettamente Musetti in ottavi, ma grazie alla seconda vittoria della carriera contro un top 30 (su De Minaur al tie-break del terzo dopo aver annullato un match point) e alla prima su un top 10 (Monfils al secondo turno, superato facilmente).
Ancora fuori dai 300 ATP ad inizio 2018, il tedesco che al massimo era stato 83 del mondo, nei quarti si è tolto la grande soddisfazione di tenere in campo per più di due ore il numero 1 al mondo e strappargli anche un set, unico ad esserci riuscito nel torneo. Difficile stabilire il suo preciso valore, ma sicuramente non va dimenticato che seppur sia un classe ’94, la sua carriera professionistica è molto giovane. Dominik ha deciso di diventare tennista molto tardi, dividendosi tra golf e sci sino ai 16 anni. Ha poi intrapreso la carriera dei college negli USA, dove si è laureato in finanza all’universita di Tulane (divenendo nel frattempo numero 1 universitario). La svolta è però arrivata a fine 2018, quando ha scelto come coach Rhyne Williams, ex pro statunitense (best ranking 113 ATP) che gli ha dato disciplina fisica e lo ha convinto della bontà dei suoi mezzi. Dopo aver vinto il primo Challenger sull’erba di Ilkey, l’anno scorso Koepfer si è qualificato a Wimbledon e poi, come detto, per lo US Open. Dopo quell’exploit, prima di Roma aveva però vinto una sola partita nel circuito maggiore: solo le prossime settimane ci diranno qualcosa in più su quale sia il suo reale livello.
24 – le settimane che separano Novak Djokovic dal conquistare il record assoluto del maggior numero di settimane al numero 1 del mondo. Qualora da oggi in poi il serbo non perdesse più la cima della classifica l’8 marzo 2021 dovrebbe superare in tal senso Roger Federer, fermo a 310 settimane in un primato sicuramente meno simbolico e universalmente riconosciuto rispetto agli Slam vinti ma probabilmente, dal punto di vista tecnico, di importanza paragonabile. Gli appassionati ricordano facilmente i trionfi negli Slam dei grandi campioni e, contando il loro numero, possono paragonarli – pur tra mille distinguo – non solo a quelli dei migliori tennisti degli ultimi cinquanta anni, ma anche ai campioni di un passato più lontano (la classifica ufficiale, redatta da un computer, è nata solo nel 1973). Tuttavia contare le settimane nelle quali un tennista ha fatto meglio di tutti i colleghi è un altro criterio molto importante per valutare l’impatto dominante di un campione. In ogni caso, riuscirà il serbo a superare le 310 settimane di Federer sulla cima della classifica? E se sì, ce la farà già tra poco meno di sei mesi?
Difficile dirlo: di sicuro c’è che questa settimana Djokovic ha 1410 punti di vantaggio su Nadal e 2145 su Thiem, gli unici due che hanno concrete chance di superarlo entro metà marzo prossimo. Per quella data si giocheranno – di significativo per la classifica – due Slam, le ATP Finals, un Masters 1000, l’ATP Cup e un paio di ATP 500 nel mese di febbraio. Un totale potenziale di oltre 6000 punti che lascia tutto in sospeso, anche se, ad eccezione del Roland Garros in partenza la prossima settimana, il resto della programmazione si giocherà in condizioni – indoor e cemento all’aperto – che sembrano favorire il serbo rispetto ai suoi due rivali. Sino all’8 marzo, Nole difende 4085 punti (quelli dei titoli a Bercy, ATP Cup, Australian Open e Dubai, della semifinale al Roland Garros e della partita vinta nel girone delle ATP Finals) ma i 1720 conquistati a Parigi (Bercy e RG) sono ‘protetti’ dalla riforma del ranking fino al 31 dicembre. Sono 515 in più dei 3870 difesi nello stesso lasso tempo da Nadal (ben 2360 dei quali protetti come quelli di Nole) e 730 in più dei 3355 che scadono nei prossimi mesi a Thiem (1290 li conserverà almeno per altri tre mesi).
Come detto, le previsioni sono difficili: tuttavia sembra probabile che il serbo riuscirà già a marzo a centrare questo prestigiosissimo record, per una serie di ragioni. Nole ha un bel vantaggio in classifica e due occasioni importanti per aumentarlo. Nadal e Thiem non perderanno punti al Roland Garros, quantomeno fino al 31 dicembre, ma solo l’austriaco può guadagnarne vincendo il torneo: a Nole ‘basta’ la finale per aggiungerne 480. Il serbo arriva a Parigi reduce dalla quinta vittoria negli ultimi dieci anni nella capitale italiana, un titolo che ha confermato la capacità del serbo di essere pronto a recitare da grande protagonista sul rosso anche in questo 2020. Ma è soprattutto alle ATP Finals, dove ha vinto cinque volte e l’anno scorso ha fallito, che Djokovic può giocarsi una carta molto importante. Senza contare che, come detto, Nole giocherà quasi sempre in condizioni di gioco in cui si trova tecnicamente molto bene, sicuramente più di quanto si sentano a loro agio Thiem e Nadal (in particolar modo nello indoor). Di sicuro, tra due settimane si avrà un quadro della situazione un minimo più chiaro: non resta che aspettare le sentenze del Roland Garros.
1462 – i punti che separano Simona Halep dalla vetta della classifica WTA, attualmente detenuta da Ashleigh Barty, al numero 1 da poco più di un anno. Un distacco consistente, ma colmabile per la rumena con una vittoria al Roland Garros (l’anno scorso si fermò ai quarti, sconfitta da Anisimova). Quello parigino è un torneo dove Simona ha vinto due anni fa e raggiunto due finali e, soprattutto, si gioca sulla sua superficie preferita (sul rosso Halep ha vinto nove dei ventuno trofei conquistati in carriera e giocato nove delle sedici finali perse). Vincendo a Parigi Simona guadagnerebbe 1570 punti in più rispetto ai 430 che attualmente porta in dote dallo Slam parigino, salendo al primo posto e assicurandosi così la chiusura della stagione in vetta alla classifica per la terza volta negli ultimi quattro anni.
Comunque vada a finire questo 2020 segnato dalla pandemia rimarrà una stagione positiva per la rumena, che dal 2014 chiude l’anno nella top 5. Halep, infatti, dopo la sconfitta in semifinale all’Australian Open contro Muguruza, ha vinto quattordici partite di fila (di cui tre contro top 20 e una contro una top 10, sebbene infortunata e costretta al ritiro, Pliskova, contro la quale Simona era in vantaggio nei precedenti, ma aveva perso tre degli ultimi quattro confronti diretti). Una serie aperta di vittorie che le ha consentito di incamerare i titoli a Dubai, Praga e, per la prima volta, Roma. Agli Internazionali d’Italia, in nove partecipazioni nel tabellone principale, rispetto alle sue potenzialità sinora non aveva avuto mai molta fortuna: due finali nel 2017 e 2018 (sempre perse contro Svitolina) e due semi (nel 2013 e nel 2015), ma questa volta si è rifatta soffrendo davvero solo con Muguruza, contro la quale ha vinto solo al terzo dopo più di due ore di partita, e approfittando di un pizzico di fortuna consistita nei ritiri di Putintseva (quarti) e appunto Pliskova in finale.