1. Uno Slam difficile da interpretare
Il Roland Garros appena concluso, terzo e ultimo Major di una particolarissima stagione, ha di nuovo ribadito il predominio delle giocatrici più giovani. Nel 2020 le vittorie Slam sono andate a una tennista di 21 anni (Sofia Kenin in Australia), una di 22 (Naomi Osaka negli Stati Uniti) e addirittura una teenager (19 anni) in Francia: Iga Swiatek.
Quando si tratta di Major, la generazione più giovane sembra ormai avere preso il sopravvento. Dalla affermazione di Naomi Osaka allo US Open 2018, infatti, tutti i titoli più prestigiosi sono stati vinti da giocatrici al massimo di 23 anni; unica eccezione Simona Halep (nata nel 1991) a Wimbledon 2019.
Queste le vincitrici Slam da Flushing Meadows 2018 in poi: Osaka, Osaka, Barty, Halep, Andreescu, Kenin, Osaka, Swiatek. Di tutti questi nomi, al momento del successo solo Andreescu era più giovane di Swiatek: Bianca aveva vinto il suo titolo americano a 19 anni e 83 giorni; Iga c’è riuscita a 19 anni e 132 giorni. Dunque, Slam dopo Slam, la prevalenza della linea verde si consolida sempre più. E più i numeri che illustrano la tendenza aumentano, meno si possono interpretare come casuali: rappresentano ormai un dato di fatto incontrovertibile.
Stabilito questo aspetto, confesso però che dell’ultimo Slam fatico a trovare chiavi di lettura altrettanto chiare ed evidenti sul piano strettamente tecnico. Per quanto mi sforzi, non riesco a individuare una sintesi che spieghi i risultati del torneo. E non sto parlando in particolare della vincitrice, quanto piuttosto di tutto l’andamento del tabellone.
Procediamo con ordine, dall’antefatto. Sapevamo che sarebbe stato un torneo anomalo, influenzato dal calendario, perché l’autunno parigino prometteva pioggia, vento, campi pesanti e temperature ben al di sotto della media degli anni precedenti. Alla ricerca di qualche rimando storico, ci si poteva rifare alla edizione del 2016, caratterizzata da un clima simile: il maltempo di quell’anno aveva addirittura portato la Senna ad esondare. Ma a differenza del Roland Garros appena concluso, quel torneo aveva prodotto risultati facilmente interpretabili.
Condizioni di gioco come quelle del 2016 avevano favorito le tenniste potenti, forti muscolarmente, capaci di spingere la palla in circostanze così estreme. Tanto che in semifinale erano arrivate Garbiñe Muguruza (che avrebbe vinto il titolo) Serena Williams (finalista), Samantha Stosur e Kiki Bertens. Un esito inequivocabile: pur con le ovvie specificità che appartengono a tutte le giocatrici, c’era un evidente legame tra le caratteristiche fisico-tecniche delle quattro principali protagoniste e le condizioni di gioco particolari di quell’anno.
Ora, con tutta la buona volontà, se considero l’andamento del 2020, non sono in grado di ritrovare un simile chiave di lettura. Swiatek, Kenin, Podoroska, Kvitova; ma anche le quattro eliminate nel turno precedente (Trevisan, Collins, Svitolina, Siegemund): cosa hanno in comune? Alzo le mani, mi arrendo: non so proprio cosa dire. Intendiamoci, può capitare che nelle fasi finali di un torneo arrivino anche giocatrici molto differenti, ma a livello di quarti di finale 8 giocatrici così tanto differenti rappresentano un caso piuttosto raro.
Per esempio l’Australian Open 2020 aveva visto la prevalenza delle giocatrici di manovra, capaci di difendere ma anche di attaccare attraverso scambi medio-lunghi (Kenin, Muguruza, Barty, Halep). Mentre le condizioni particolarmente veloci del recente US Open 2020, avevano finito per agevolare tenniste più aggressive, come Osaka, Azarenka, Brady, Williams. Ma a Parigi 2020? Boh, ditemi voi.
La difficoltà interpretativa mi spinge allora a ricorrere a un piano B, alla ciambella di salvataggio che va sempre bene in questa stagione senza precedenti: il coronavirus. Mi riferisco alla situazione anomala che ha preceduto il Roland Garros. A causa della pandemia, infatti, ci sono state almeno tre conseguenze significative. Primo: la rinuncia preventiva di nomi importanti (la campionessa in carica Barty, a cui si sono aggiunte per problemi fisici Osaka, Andreescu, Bencic). Secondo: la mancanza degli abituali tornei di preparazione sulla terra (Stoccarda, Madrid, e vari International). Terzo: l’estrema vicinanza con lo US Open.
Questi ultimi due fattori probabilmente hanno finito per pesare sul rendimento delle giocatrici. Per esempio: nessuna delle tenniste arrivate almeno nei quarti di finale a New York è riuscita a fare strada sulla terra di Parigi. Osaka ha dato forfait prima del via, Serena si è ritirata dopo la partita di esordio per un problema al tendine di Achille; Brady e Rogers hanno perso al primo turno, Azarenka e Putintseva al secondo, mentre Pironkova e Mertens al terzo.
D’altra parte l’esiguità dei tornei di preparazione (dopo lo US Open si è giocato solo a Roma e a Strasburgo), non ha consentito di definire un preciso quadro tecnico delle forze in campo, e non ha permesso a molte giocatrici prevenienti dal cemento americano di adattarsi per tempo al cambio di superficie.
In sostanza, più che le tipiche questioni di campo, potrebbero essere stati questi elementi anomali a determinare l’indecifrabile (almeno per me) sviluppo dell’ultimo Roland Garros. A scanso di equivoci: analizzo tutto questo non per togliere meriti a chi ha saputo arrivare in fondo in Francia, ma solo per cercare di mettere a fuoco una situazione che si presenta abbastanza nebulosa.
E se da una parte si poteva immaginare sin dalla vigilia che questo Roland Garros non sarebbe stato un torneo scontato e lineare, dall’altra sembrava che ci fosse almeno un punto fermo, un “ubi consistam” sufficientemente solido a cui fare riferimento, rappresentato dalla figura di Simona Halep. Campionessa a Parigi nel 2018, altre due volte finalista (2014 e 2017), alla ripresa del tennis agonistico Halep aveva deciso di rinunciare alla trasferta americana e di dedicarsi solo ai tornei su terra battuta.
Di conseguenza, sfumata l’occasione di giocare a Palermo, era scesa in campo a Praga (torneo vinto), poi a Roma (altro torneo vinto). Se a questi risultati aggiungiamo il successo di Dubai (pre-lockdown), Simona era imbattuta da gennaio, e vantava una serie aperta di 14 vittorie consecutive. Era logico guardare a lei come alla favorita assoluta di Parigi. Ma sulla strada di Halep, fra uno scroscio di pioggia e l’altro, si è abbattuto un inatteso ciclone tennistico che aveva le sembianze di Iga Swiatek.
a pagina 2: Il dominio di Iga Swiatek a Parigi