“Se dovessi dire un giocatore che farà il salto di qualità del 2020, quale sceglieresti?”, ha chiesto un giornalista a Roger Federer prima dell’inizio della stagione. La risposta del maestro di Basilea è arrivata con sicurezza: “Penso che Andrey Rublev farà qualcosa di speciale”. Lì per lì sembrava un’autoassoluzione per una delle sconfitte più pesanti patite nel 2019, il 6-3 6-4 un negli ottavi del Masters 1000 di Cincinnati, in un match in cui a dire il vero lo stesso Federer aveva offerto una prova alquanto opaca. Ma non lo era. D’altronde dopo aver vinto 20 Slam in carriera due o tre cose su cosa serve per arrivare ai vertici del tennis mondiale le hai imparate. E sai distinguere chi è in grado di raggiungere quel livello da chi no. Chi, per l’appunto, può fare qualcosa di speciale.
E, in effetti, il 2020 di Rublev speciale lo è stato davvero. Cinque i titoli conquistati in totale: Doha e Adelaide prima della pausa, Amburgo, San Pietroburgo e Vienna dopo. Nessuno meglio di lui. Nemmeno Djokovic, che si è fermato a quattro, seppur di maggiore qualità, con uno Slam, due 1000 e un 500. Con il fenomeno serbo, il 23enne russo condivide anche il primato per numero di match vinti in questa stagione, ovvero 39. 17 più di Nadal che ha giocato col contagocce dopo la pausa, 14 più di un Thiem che ora sembra concentrato solo sugli Slam, 16 più dell’amico Zverev, 21 più del connazionale Medvedev che l’hanno scorso sembrava un gradino sopra di lui. Insomma, insieme a Nole, Rublev è stato il protagonista principale del circuito in questo 2020. Tanto da agguantare con l’ultimo successo nella capitale austriaca, a scapito del nostro bravissimo Lorenzo Sonego, la prima qualificazione alle ATP Finals. Un traguardo assolutamente meritato.
Il prossimo passo per lui, l’unico che gli manca per consacrarsi definitivamente, per passare dall’essere considerato un ottimo giocatore ad essere visto come un campione, è il titolo Slam. Che oggi, con i tre mostri sacri del tennis contemporaneo che cominciano a mostrare qualche piccola crepa, è un traguardo un po’ meno difficile da raggiungere di una volta. E poi, in un futuro prossimo (ma che viene continuamente rimandato) anche la prima posizione mondiale diventerà più contendibile. Potrà essere Rublev in grado di ricoprirla a quel punto? Insomma, riuscirà questo ragazzino pallido e dai capelli rossi sempre troppo arruffati ad assurgere all’olimpo del tennis mondiale?
Perché sì.
Perché quando si guarda giocare Rublev i segnali che ci si trova di fronte ad un fenomeno sono tanti. E sono sempre stati ben evidenti. Quella velocità di braccio non si insegna. Si può affinare ma è un dono per pochi. Così come quel timing sulla palla, una qualità essenziale nel tennis moderno, in cui rubare campo e tempo all’avversario sono le chiavi per vincere le partite. Una qualità che tanti suoi rivali della sua generazione non hanno. Basta pensare a Zverev, che con le sue aperture ampie fa spesso fatica a mantenere una posizione sufficientemente avanzata in campo. I match del russo sembrano invece una partita di ping-pong. La palla torna indietro subito, piatta, rapida, angolata, nel lato di campo scoperto. Di dritto soprattutto, il suo colpo migliore, ma anche di rovescio.
E, la differenza rispetto al Rublev di qualche stagione fa, è che la palla torna molto spesso. Quasi sempre. La crescita, enorme, del russo è consistita dal punto di vista tecnico nel pulire il suo gioco, limando gli errori gratuiti. Lo sa bene il nostro Sonego che nella finale di Vienna di regali dall’altro lato della rete se ne è visti recapitare ben pochi. Ad una maggiore solidità in campo si è poi abbinata anche una maggiore solidità tattica e mentale. Rublev riesce spesso a giocare come vuole i punti decisivi come lui vuole, ovvero all’attacco, in forcing. E a quel punto l’avversario non può che difendersi e sperare. Anche i lunghi passaggi a vuoto durante l’incontro sono ormai una questione del passato per il russo. Dopo un set o un game perso, arriva pronta la reazione, il colpo di reni, quello che fa capire all’avversario che lui è ancora lì a lottare. E questa è assolutamente una qualità da campione.
Perché no
Perché per il momento Rublev è spesso mancato quando contava. Il neo in questa stagione meravigliosa sono state le performance negli Slam. Non che sia andato male per carità. Ottavi di finale a Melbourne e quarti sia a New York che Parigi. E sempre perdendo da avversari più quotati di lui, per quanto più o meno suoi coetanei: Zverev, Medvedev e Tsitsipas. Però tutte e tre le sconfitte sono arrivate in maniera piuttosto netta, in tre set. Fin troppo netta. Le prestazioni non sono state forse all’altezza di quelle mostrate negli altri tornei in cui si gioca due set su tre. L’esempio più chiaro è dato dal fatto che la settimana prima del Roland Garros, Rublev lo aveva battuto Tsitspas nella finale di Amburgo.
E viene da chiedersi il motivo di questo calo di rendimento negli Slam. A parte tutte le possibili questioni mentali, ci potrebbe essere anche qualche spiegazione tecnica. Il gioco di Rublev, per quanto “facile”, è piuttosto dispendioso. In primis, perché di punti diretti dal suo servizio, buono ma tutt’altro che debordante, non ne arrivano moltissimi, anche su superfici veloci. In una stagione in cui ha vinto tantissime partite, Rublev è comunque ‘soltanto’ 27° per numero di ace medi a partita e 18° come ‘rating‘ globale del rendimento al servizio; nel 2019, per fare un paragone con una stagione completa, aveva chiuso al 39° posto (ace medi) e al 46° come valutazione complessiva del colpo.
Il russo si trova così un po’ più spesso, rispetto ad alcuni dei suoi rivali, come tutti e tre quelli dai quali è stato eliminato nei Major in questo 2020, a dover scambiare da fondocampo. E anche in questa situazione di gioco Rublev non riesce a volte a trovare la via più rapida verso la conclusione del punto. Colpa in parte di una certa ossessione per i colpi piatti e profondi, a dispetto di maggiori variazioni di taglio, lunghezza e angolo. E in parte di una propensione alla rete talvolta insufficiente. Insomma, il suo gioco, per quanto maledettamente efficace, è un po’ incompleto e monodimensionale. Perfino prevedibile da certi punti di vista.
Sono dettagli ma fanno tutta la differenza del mondo tra un ottimo giocatore e un campione. Il russo però ha dimostrato nella sua ancor breve carriera nel circuito di avere ambizione ed etica del lavoro. Altrimenti non sarebbe arrivato dove si trova ora. Quindi le possibilità per lui di colmare anche quest’ultimo gap ci sono tutte. E, se dovesse riuscirci, nel 2021 farà cose ancora più speciali.