Ormai quasi quattro anni fa, un Roger abbandonava l’attività di singolare. Si era a fine 2016 e fu una settimana movimentata per il tennis: l’assalto a Petra Kvitova, il fidanzamento di Serena, il ritorno di quell’altro Roger, il ritiro di Ivanovic. Oltre al prevedibile riprendere di tornei e competizioni. Non sorprende che in mezzo a tutto ciò fosse passata inosservata la notizia del mezzo ritiro di un giocatore. Edouard Roger-Vasselin, da quel momento, si sarebbe infatti concentrato solo sul doppio.
Oggi Roger-Vasselin è ancora in piena attività, e nelle ultime quattro stagioni ha vinto otto titoli con cinque partner diversi e raggiunto anche una finale Slam, a Wimbledon nel 2019, in coppia con Nicolas Mahut. A partire dal torneo di Bercy 2019 e per tutto il 2020, invece, ha sempre giocato in coppia con Jurgen Melzer ed è riuscito a trovare abbastanza continuità da centrare la qualificazione per le ATP Finals (esordirà quest’oggi alle 19, contro Pavic e Soares).
Per celebrare questo piccolo traguardo raggiunto dal tennista francese – che aveva già giocato le Finals nel 2014, assieme a Benneteau, raggiungendo la semifinale – vi riproponiamo un articolo scritto dal nostro Davide Orioli, rimasto (colpevolmente!) incastrato nel limbo degli articoli che non hanno mai visto la luce. Davide era e rimane un grande estimatore del Roger meno famoso. Ma non per questo, meno degno di celebrazioni.
Diciamoci la verità Edouard, la notizia del tuo mezzo ritiro sarebbe passata inosservata anche a metà dicembre, anche quando i tabloid e i siti vanno a recuperare match d’archivio, statistiche insulse, gossip inventati pur di riempire la prima pagina con qualcosa di inerente al tennis. E questo perché tu, caro Edouard, non conti quasi nulla; non hai vinto niente, non hai carisma, non sei bello, non sei personaggio. Hai però una cosa buona: un animo gentile e fanciullo. Una totale mancanza di cattiveria sia umana che agonistica, che forse in carriera ti è costata qualcosa. Ma, allo stesso tempo, ti ha fatto guadagnare un riconoscimento che nessun altro ha: divenire il paladino, l’uomo simbolo, il portabandiera del Bagel di Ubitennis. Traguardo del quale, da perdente quale sei, non sei nemmeno a conoscenza.
Mi ricordo, caro Edouard, quando la nostra storia d’amore tennistico cominciò: eravamo a Chennai, tre anni orsono. Entrambi neofiti. Io per la prima volta scrivevo articoli, tu per la prima volta ti giocavi un torneo con buone chance. In finale un omone grosso e potente di nome Stan fece polpette di te, era il 2014 e quello svizzero dal naso paonazzo 3 settimane più tardi avrebbe alzato al cielo il suo primo trofeo Slam. “Fallire. Provare di nuovo. Fallire meglio” portava tatuato, e porta ancora, sull’avambraccio. Dovrebbe vergognarsene, come può giudicarsi un fallimento un tennista che ha vinto in carriera 3 slam? Quel tatuaggio è tuo, tuo di diritto caro Edoaurd. Perché ti sei posto obiettivi piccoli, realistici e plausibili, e sei riuscito a fallire anche quelli. Invece che mirare alle aquile hai tirato ai polli, e hai preso i sassi.
Mi ricordo, sì io mi ricordo caro Edouard, che ero cronista timido e non mi osavo al mio primo torneo fermare tennisti nei vialetti, non sapevo manco se era concesso, non lo so nemmeno ora. Ma passando di lì col tuo coach mi guardasti con quel tuo sorriso bambino mentre andavi a prepararti per la semifinale contro Granollers. Ed era uno sguardo così umano, terra terra, umile, che mi venne naturale fermarti e scambiare due parole. Da lì diventasti il mio eroe. Edouard Roger-Vasselin, il tennista così semplice e disponibile, così educato.
Mi ricordo, sì io mi ricordo, che mi confessasti il tuo sogno. Non è Wimbledon. Non è la moglie pin up. Non era manco la Davis che pure non sei andato lontano dal vincere. Magari l’avresti vinta pure, se in finale non avessero convocato in doppio contro quel solito svizzero di cui sopra e il suo amichetto un po’ più bravo di lui, uno zoppo e un giullare. Potevi fare la voce grossa, dire: “Sono il campione di doppio del Roland Garros!”. Invece ti sei preso i soliti sberleffi restando in tribuna.
No il tuo sogno dicevo, era semplice, piccolo, umile: raggiungere la seconda settimana di uno slam. Non solo non ci sei mai riuscito, ma da perfetto fallimento sei andato due volte a un misero punto, contro Kevin Anderson a Parigi, prima di arrenderti e accantonare il tuo desiderio. Sì ok, ti sei consolato in doppio: con Benneteau (un altro perdente mica da poco, dieci finali ATP e mai un titolo compresi 5 championship point sprecati contro Joao Sousa, all’epoca sconosciuto fuori dalla top100) avete vinto il RG. Ma si sa, il doppio è il cimitero dei mediocri, o il divertimento dei campioni. È dove vincono quelli che altrove non potrebbero mai, per grazia e generosità dei più forti. Che lo ignorano o si distraggono.
La notizia del tuo ritiro dal singolo mi ha colto come un colpo al ventre, lo confesso. Perché hai anche un bello stile di gioco e avresti meritato di più; di più di tanti pedalatori da fondo, ragazzini viziati, servebot, one-trick-pony et similia. Ma soprattutto perché, dovessi mai tornare a scrivere un Bagel, di chi narrerò le gesta? Chi prenderò per i fondelli o caro Edouard, il diversamente Roger che ho sempre messo nei tag anche in articoli in cui non ti menzionavo minimamente? Ma in un certo senso ti capisco, per uno come te è coerente ritirarsi da perdente in carica. Fallire, provare di nuovo, fallire sempre alla stessa maniera. Non come Stan. Ti ho voluto bene, quasi quanto l’altro Roger, per esserne l’antinomia, il peRVente peRVetto.
Da domenica sono a Sydney, torno a fare l’inviato. Credevo che il mio obiettivo personale sarebbe stato un selfie con la Bouchard. Invece la mia priorità sarà di vagare alla ricerca di un nuovo Vasselin, un altro tennista dall’indole semplice e la sconfitta nel DNA. Non sarà facile rimpiazzarti, lo ammetto. Buon prosieguo di carriera in doppio, cher Edoaurd. Ci rivediamo a Parigi con velleità di secondo titolo, e che la terra rossa ti sia lieve.