Nel giro di un paio di settimane sono uscite due notizie importanti legate a giocatrici tedesche. Alla fine di ottobre Julia Goerges ha annunciato il ritiro, mentre qualche giorno fa Sabine Lisicki durante un match di doppio ha subito un brutto infortunio, che sembra richiedere un lungo recupero.
I tempi nei quali il tennis tedesco lottava con le più forti nazioni del mondo per la vittoria in Fed Cup (finale del 2014 persa contro la Rep. Ceca) schierando un “dream team” composto da Kerber, Petkovic, Lisicki, Goerges, cominciano a essere piuttosto lontani, e queste ultime notizie inevitabilmente sollevano la domanda: un grande ciclo si è ormai concluso?
Per rispondere cominciamo con un breve excursus storico. Consideriamo solo l’era Open. Nella prima metà degli anni ’10 il tennis tedesco ha vissuto una seconda fioritura. Dopo un periodo di risultati non eccezionali, in Germania si era riformato un nucleo di tenniste che ha avvicinato quello sviluppato dagli anni ’80 in poi.
Della prima onda di giocatrici tedesche di solito si ricorda soprattutto Steffi Graf, ed è anche giusto così, visto quanto Graf ha vinto (per esempio nel 1988, tutti e quattro gli Slam, le Olimpiadi e altri sei tornei nella stessa stagione). Resta però un fatto che Steffi non era sola. Anche se si considerano soltanto le giocatrici capaci di entrare in Top 10, arriviamo a cinque nomi emersi nello stesso periodo: Sylvia Hanika (entrata in top 10 nel maggio 1981), Bettina Bunge (Top 10 dal novembre 1981), Claudia Kohde-Kilsch (entrata nel luglio 1984), Steffi Graf (ingresso nell’agosto 1985) e infine Anke Huber (Top 10 dal maggio 1992).
Però dopo la prima epoca d’oro c’era stata una fase di riflusso. Ritirate le giocatrici di quel nucleo storico, per ritrovare una Top 10 si era dovuto attendere il 2011 (8 agosto), grazie ad Andrea Petkovic, raggiunta dopo qualche mese anche da Angelique Kerber (Top 10 dal maggio 2012).
Il tennis tedesco si stava rimettendo in moto e, come spesso succede, aveva di nuovo avviato il tipico circolo virtuoso nel quale la fiducia e lo spirito di emulazione favoriscono la crescita contemporanea di più giocatrici della stessa nazione. Senza arrivare ai fasti di Steffi Graf, una “neue welle” era entrata da protagonista nel circuito WTA. Quello che non era riuscito ad Anna-Lena Groenefeld (numero 14 nel 2006, ma con una breve carriera da singolarista), capita invece attorno al nucleo di Petkovic and Co.
Se non ho fatto male i conti, negli ultimi dieci anni il movimento tedesco ha prodotto 12 giocatrici capaci di entrare fra le prime cento della classifica; e di queste dodici una è stata numero 1 al mondo (Kerber), altre due sono diventate Top 10 (Petkovic e Goerges), una quarta ci è andata vicino (Lisicki, numero 12 nel maggio 2012); infine altre due sono entrate fra le prime trenta del mondo: Barthel numero 23 nel maggio 2013 e Siegemund numero 27 nell’agosto 2016. Ma la maggior parte di questi traguardi comincia a essere un po’ datata. Vediamo come stanno le cose oggi.
Julia Goerges
Julia Goerges vince il primo torneo WTA nel 2010 (l’international di Bad Gadstein), ma il vero salto di qualità arriva con la vittoria dell‘aprile 2011 nel Premier di Stoccarda, evento indoor su terra battuta che vede sempre una partecipazione particolarmente qualificata grazie al montepremi molto invitante (a quello in denaro, cospicuo, si aggiunge l’automobile offerta dallo sponsor Porsche).
A 22 anni Julia sembra avviata a una carriera di alto livello (nel 2012 raggiunge la finale a Dubai e vince in Lussemburgo); in realtà le stagioni successive sono complicate da una profonda crisi di fiducia, che la porta a giocare con troppa ansia nei momenti importanti.
Nei passaggi chiave dei match lottati, e soprattutto nei grandi tornei, Goerges fatica a gestire la pressione, e l’efficacia del suo tennis scende drasticamente quando conta di più. Un paio di dati per illustrare il problema. Goerges era entrata in Top 15, ma non era mai riuscita a spingersi oltre il quarto turno in uno Slam. Un limite che sembrava assolutamente invalicabile: cinque sconfitte su cinque. Per diverse stagioni (2012-2016 all’incirca) sembra ineluttabile che nei grandi match, anche nelle situazioni di vantaggio, Julia finisca per perdere; e il più delle volte dando l’impressione di battersi da sola.
L’anno che segna l’inversione di tendenza è il 2017. È un processo per gradi. Prima raggiunge tre finali, e le perde, fino a che nell’ottobre a Mosca torna a rivincere un titolo. Si ripete poi in Cina, conquistando il “masterino” di Shenzhen e continuando con una striscia positiva di cinque finali vinte su sei.
Nel 2018 arrivano finalmente due traguardi molti importanti: l‘ingresso in Top 10 (5 febbraio) e la semifinale in uno Slam: a Wimbledon, persa contro Serena Williams. Visto che Julia è nata nel novembre 1988, ha dovuto attendere la soglia dei 30 anni per raccogliere le soddisfazioni che le si pronosticavano quando era ben più giovane.
Per raggiungere questi risultati, Goerges negli anni precedenti ha messo in discussione diversi aspetti del suo tennis: nel 2016 ha cambiato coach e città come sede di allenamento, e ha cominciato a praticare un gioco più diretto e rischioso; ha praticamente bandito i colpi interlocutori a favore di una estrema aggressività, con l’obiettivo di tenere sempre in mano l’iniziativa, limitando la componente riflessiva dello scambio. È stato un cammino lungo, impegnativo, ma alla fine ha pagato.
Nel 2019 il rendimento scende come testimonia il ranking di fine stagione: numero 28. A 32 anni compiuti è anche comprensibile che Julia abbia deciso di chiudere la carriera dopo avere finalmente espresso, se non tutte, almeno una parte significativa delle potenzialità che le si riconoscevano.
a pagina 2: Sabine Lisicki