Andrea Petkovic
Forse sbaglio, ma penso che la vera leader della rinascita del movimento tedesco sia stata Andrea Petkovic. Non è talentuosa come Lisicki, non ha minimamente avvicinato i risultati di Angelique Kerber, eppure, seguendo una qualsiasi intervista alla squadra di Fed Cup nei suoi anni migliori, spicca come l’anima del team. Direi perfino più della capitana ufficiale Barbara Rittner (ex giocatrice degli anni ’90, con un best ranking da numero 23 nel 1993).
Nella sua ormai lunga frequentazione del circuito WTA, Petkovic ha dimostrato di essere una figura non banale, una giovane donna piena di interessi che superano i confini dal tennis. Politica, musica, cinema, letteratura. E anche, part time, l’attività di giornalista. In un certo senso è quasi paradossale che una ragazza così ricca di sfaccettature, offra invece un tennis piuttosto ripetitivo, caratterizzato da scambi di ritmo a velocità medio alta, senza particolari variazioni. Insomma l’ecletticità che dimostra fuori campo non si ritrova nei suoi match, in gran parte basati sui tre fondamentali (servizio, dritto e rovescio in topspin), con rare digressioni o invenzioni.
Questo genere di tennis per essere efficace esige molto dal fisico, e infatti spesso i suoi match si sono trasformati in confronti logoranti, in una sorta di braccio di ferro a chi commette l’errore più tardi o a chi cede sul piano fisico alla distanza. Forse anche per questo durante la sua carriera ha patito diversi infortuni. Prima di raggiungere il best ranking (febbraio 2011), per esempio, Petkovic aveva dovuto fronteggiare un lungo stop per la rottura del legamento del ginocchio nel 2008. Ma non è che le cose in seguito vadano tutte lisce: frattura da stress alla schiena nel 2012, poi infortunio alla caviglia nel 2013, poi menisco…
Gli alti e bassi del ranking di inizio carriera sono in gran parte determinati dalla salute fisica. A conti fatti si può dire che abbia avuto la maggiore consistenza di rendimento fra il 2010-11 e il 2014-2015. Sono gli anni dei tra quarti di finale raggiunti negli Slam (Australia, Francia e USA tutti nel 2011), e della semifinale del Roland Garros 2014 (sconfitta da Simona Halep). E anche di tutti i suoi successi nei tornei WTA (6 titoli oltre a 5 finali).
Andrea non è più riuscita a vincere un titolo dal febbraio 2015 (Anversa) e nemmeno a tornare fra le prime 50 dopo il 2016. Ultimamente sono riemersi ripetuti problemi fisici: ha saltato prima l’Australian Open 2020 per un problema alla schiena, e poi la gran parte della stagione perché in febbraio si è operata al ginocchio. Match disputati nel 2020: uno solo, contro Pironkova al Roland Garros 2020, e perso per 6-3, 6-3. Oggi è numero 102 della classifica WTA grazie alla riforma del calcolo dei punteggi adottata a causa della pandemia, altrimenti avrebbe l’avrebbe salvata solo il ranking protetto (che in caso di infortunio ricorre in caso di stop superiore ai sei mesi).
Difficile fare previsioni per il futuro: avrà ancora voglia di dedicarsi al tennis o si sentirà pronta per qualcosa di differente, magari abbracciando a tempo pieno l’attività di giornalista?
Angelique Kerber
Torniamo indietro di circa dieci anni, all’agosto 2011. Non so in quanti, in quel momento, di fronte ai risultati delle giocatrici tedesche avrebbero scommesso su Angelique Kerber come futura leader del tennis in Germania.
A quasi 23 anni, Kerber era ferma alla posizione 92 del ranking. Alla vigilia dello US Open 2011, invece, Petkovic era fresca di ingresso in Top 10, Goerges aveva vinto Stoccarda ed era numero 21 del mondo, Lisicki numero 23, reduce da importanti risultati sull’erba. Loro tre a Flushing Meadows erano teste di serie: Andrea numero 9, Julia numero 19, Sabine numero 22. Eppure la giocatrice tedesca capace di spingersi più avanti, sino alle semifinali, sarebbe stata proprio Angelique.
Forse gli appassionati italiani ricorderanno il quarto di finale di quello US Open, perso da Flavia Pennetta contro la “sconosciuta” Kerber. Alcuni accusarono Pennetta di non essere capace di cogliere le occasioni, e che per Flavia, allora numero 25 del mondo, fosse un mezzo scandalo perdere una partita del genere (6-4, 4-6, 6-3). Anche perché certi treni passano una volta sola, e quella era l’opportunità migliore per raggiungere la semifinale di un Major.
La storia ci avrebbe poi detto che Kerber avrebbe vinto tre Slam, sconfiggendo due volte Serena Williams in finale, e che sarebbe diventata numero 1 del mondo nel 2016, in una stagione conclusa con due Major conquistati oltre a una finale. Ma la storia ci avrebbe anche detto che Pennetta un “treno” buono l’avrebbe colto quattro anni dopo, arrivando addirittura a vincere lo US Open 2015.
Insomma, a volte il futuro si fa beffe delle previsioni del momento, e la realtà dispiega le sue vicende in modo molto lontano da quanto si possa anche solo ipotizzare. Da quello US Open Kerber avrebbe cambiato il proprio status, e chissà che la molla che ha permesso il salto di qualità di Angelique non sia scattata anche per spirito di emulazione di fronte ai risultati che stavano raggiungendo le sue connazionali e coetanee (Petkovic è nata nel 1987, Kerber e Goerges nel 1988, Lisicki nel 1989).
Dieci anni dopo, possiamo dire che Angelique non ha solo avuto una carriera vincente, ma anche piuttosto solida, senza particolari défaillance. Sempre ad alti livelli, anche se con un andamento un po’ oscillante. Tutto sommato per lei gli anni pari sono stati i migliori, mentre quelli dispari sono spesso diventati fasi di riflessione e di ricarica. Per esempio negli Slam: semifinali nel 2011 e 2012, quarto di finale nel 2014, vittorie nel 2016 e nel 2018.
Senza entrare nel dettaglio della sua carriera, dopo l’anno d’oro 2016 Kerber è tornata a vincere uno Slam a Wimbledon 2018 (in finale su Serena Williams). Oggi quei Championships cominciano ad apparire come un torneo molto significativo, che segna un confine tra un prima e un dopo. Sia per il tennis mondiale che per il tennis tedesco. Per il tennis mondiale perché dopo Wimbledon 2018 negli Slam sarebbe cominciato un nuovo periodo, contraddistinto dalle vittorie delle giovani, inaugurate dal successo di Osaka a New York. Ma anche per il tennis tedesco, perché in quella edizione di Wimbledon oltre alla vittoria di Kerber ci sarebbe stata la semifinale di Goerges.
I Championships del 2018 appaiono il canto del cigno di quel nucleo di giocatrici, visto che nessuna tennista tedesca sarebbe più riuscita ad avvicinarsi a risultati simili. Qualcosa di molto affine allo US Open 2015 delle italiane, con due giocatrici finaliste (Pennetta e Vinci), ma ad una età tale da risultare una impresa irripetibile.
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