Gilles Simon fuori dagli schemi. L’ex n. 6 del mondo (oggi attuale 63 ATP) dimostra, ancora una volta, una franchezza e una perspicacia fuori dal comune nell’analizzare (e spesso criticare) il modus operandi “alla francese”, dalla formazione dei giovani tennisti, alla gestione dei giocatori in Coppa Davis e la selezione della squadra, fino alla pressione imposta ai giocatori perché diventino campioni e vincano Slam.
Il 35enne di Nizza ne parla a L’Equipe, in una lunga intervista per commentare e spiegare alcuni passi del suo libro uscito alcune settimane fa, “Ce sport qui rend fou“ (Questo sport che rende pazzi), del quale pubblicheremo su Ubitennis una recensione completa. Con l’equilibrio e la calma che lo contraddistinguono, Simon affronta temi scottanti come il suo rapporto con gli ex capitani di Coppa Davis o come smettere di essere schiavi del “bel gioco alla Federer”.
Sono diverse le perle di saggezza che Gillou snocciola nell’intervista al celebre quotidiano francese. Si può essere d’accordo o meno con lui, ma vale comunque la pena ascoltarlo, se non altro per il coraggio di spingere sempre oltre la riflessione nel tentativo di capire perché le cose a volte funzionano e a volte no. E perché è necessario avere il coraggio di cambiare idea e direzione. Consigli preziosi per i giovani che intendono avvicinarsi al tennis e tentare una carriera agonistica, da un tennista estremamente acuto, che ha basato la sua carriera sull’intelligenza di gioco, la strategia, le geometrie e il sapersi, lui per primo, mettere in discussione.
Il primo consiglio tra tutti? Uscire dagli schemi sui quali, da sempre, si basa il sistema francese: “Nonostante l’assenza di risultati, la parola d’ordine è non cambiare nulla. Il nostro progetto di formazione è sconnesso dalla realtà del campo” afferma Gilles. “I nostri giovani vengono allenati tutti allo stesso modo. Certo, c’è una struttura, ma non ti spinge a distinguerti, a farti trovare la tua propria identità di giocatore, con il tuo stile o le tue ambizioni. Sappiamo che Novak Djokovic si è ispirato solo a Novak Djokovic. Non gli è stato detto: “Ti ispirerai a Tizio o a Caio”. Rafael Nadal, era prevedibile che con tutta la sua famiglia concentrata su di lui, avrebbe giocato come nessun altro. Alla fine, il nostro sistema vorrebbe imporsi su tutti gli altri. Ciò funziona quando l’obiettivo è far entrare il maggior numero di giovani nella top 100. Ma coloro che volessero puntare alla top 10 o andare avanti negli Slam, dovrebbero contare sul loro talento e la loro forza mentale, cioè su loro stessi“.
Ma lo stesso Simon è il prodotto della formazione alla francese, con un bilancio negli Slam che non va oltre i quarti di finale...
“Nessuno potrà mai dire che non abbia voluto vincere uno Slam o i grossi tornei. Soddisfatto dei miei risultati? Sì, perché non avrei potuto fare di più. Con il mio stile di gioco, spendevo troppe energie nei primi turni, questo era il mio vero difetto. Mentalmente non avevo abbastanza convinzione, il mio secondo grande limite. […]. Il tennista francese cresce con l’idea che un vincitore slam non debba “tremare”. Ai bambini, quando cominciano a giocare e si fanno prendere dalla paura e perdono, viene detto: “Non ci riuscirai mai”. Io direi loro: “Accetta la tua paura, parliamone, cerchiamo di capirne la causa, poi cercheremo di forgiare le tue armi per crescere in campo“.

Secondo Simon, tutti hanno paura, anche ai livelli più alti, perfino Federer…
“In Federer forse si vede meno che negli altri. Ma perché Djokovic fa yoga? E Rafa, il fatto che si colpisca sempre la coscia urlando “vamos” significa che ha il killer instinct? Mi spiace, ma conosco vincitori Slam che non hanno la stessa “rabbia”. Alcuni giorni fa ho parlato con Marin Cilic che mi ha detto: ‘essere competitivo, non fa per me’. Vi ricordo che Marin ha vinto lo US Open (2014) e ha disputato altre due finali major (Wimbledon 2017 e Australian Open 2018) e ci ha battuto spesso in Coppa Davis. Perché non sarebbe un esempio da seguire?”
Secondo Gilles, il mantra del tennis francese sarebbe seguire il modello Federer…
“Non dico esattamente questo. Dico che in Francia si punta da sempre su un tennis offensivo e si associa il tennis d’attacco a uno stato d’animo. Si dice ai giovani che devono aggredire, andare avanti, fare serve&volley… quando il serve&volley è praticamente scomparso […]. Ai ragazzi viene insegnato che o fai come Federer o niente. Io dico: smettetela con questi discorsi, smettetela di esaltare un attaccante supremo su cui dovrebbero forgiarsi tutti. Ci sono tanti altri modi di esprimersi e di vincere. E poi, per me, non esiste un tennis brutto“.
Con questa idea di considerare Roger Federer l’ABC del tennis, ci chiudiamo delle porte. Perché non considerare che un difensore vincente possa fare bene al tennis? Djokovic è un conquistatore, Nadal è un conquistatore. Non vedo l’ora che tutti e tre i grandi siano alla pari con 20 Slam, così una volta sorpassato Roger, forse la smetteranno di dire: “Il tennis supremo è Federer”.
E poi la Coppa Davis. In un capitolo del libro, Gilles parla di “Ricatto di bandiera” (Chantage au drapeau).
“La Coppa Davis fa parte della nostra cultura. La si vuole giocare ad ogni costo. Per questo, bisogna piacere al capo. Nel mio caso, il mio capo, il mio capitano, è stato a lungo Guy Forget. Ma a forza di sentirlo dire che Tizio giocava sempre meglio di me sull’una o un’altra superficie, mi persuadevo che tutti gli altri fossero migliori di me, anche i giocatori al di fuori della top 30. Così tornavo a casa totalmente depresso. Arnaud Clément ha creduto che potessi essere solo il quinto uomo della squadra. Poi, Yannick, si lasciava guidare dal suo feeling, mentre io cercavo di avere un approccio razionale in gara. Con Clément, – che pensava io avessi un problema con la Coppa Davis – sono riuscito a conquistare la sua fiducia alla fine del suo mandato. Per quanto riguarda Guy Forget, non ho mai avuto la sua fiducia e non l’ho mai conquistata. Con Yannick non ho mai perso una partita quando era capitano ma il suo fare istintivo mi destabilizzava. In Coppa Davis, avevo la sensazione che ad ogni allenamento ci fosse la mia vita “in gioco”. Per alcuni funziona. Nel mio caso, ciò non fa che provocare stress”.
E a Gilles Simon, in futuro, piacerebbe essere capitano di Davis?
“Mi piacerebbe moltissimo perché per me sarebbe l’occasione di fare diversamente. Fino ad ora, l’idea comune dei capitani era quella di appoggiarsi a un leader – Jo Tsonga la maggior parte delle volte, a cui capitava perfino di giocare infortunato . Potevi essere più forte o battere il leader in allenamento, non avevi nessuna possibilità di essere il n. 1 della squadra. Se fossi capitano, terrei conto piuttosto degli avversari che di questa gerachia predefinita. E mi appoggerei esclusivamente ai giocatori di singolare. In Francia si ha l’idea che bisogna per forza vincere il doppio. Ma il doppio è un punto su cinque, eppure, per i miei capitani, era quasi sempre il punto più importante del tie. La loro spiegazione: ” Abbiamo sempre fatto così, perché dovremmo cambiare?“.
