Negli ultimi giorni si è parlato delle problematiche legate alla disputa del Masters 1000 di Indian Wells, in programma dall’8 al 22 marzo ma ostacolato da un’impennata di casi di Covid-19 in California. Primo torneo a saltare nella stagione appena conclusa, quello che è a tutti gli effetti il più grande torneo organizzato dall’ATP (è quello con più pubblico al di fuori degli Slam, ha il secondo stadio da tennis più grande al mondo dopo l’Arthur Ashe e dal 2014 ha sempre vinto il premio di torneo dell’anno di categoria) rischia di concedere un triste bis.
Secondo L’Équipe, gli organizzatori daranno il via libera al torneo solo se l’affluenza del pubblico sarà almeno del 25 percento, soglia al di sotto della quale il dispendio economico per Larry Ellison diventerebbe eccessivo. Sull’eventuale scelta di rinunciare al torneo per il secondo anno consecutivo, con meno conseguenze rispetto ad altre manifestazioni (pensiamo soprattutto agli Slam), pesa lo status del torneo statunitense che non supporta nulla se non la sua stessa esistenza e reinveste la totalità dei suoi profitti nel torneo. Inoltre il patrimonio del proprietario Ellison (stimato attorno agli 80 miliardi di dollari) sembra poter resistere all’urto della seconda cancellazione in due anni.
Per questo motivo l’associazione giocatori sta tentando di compilare un calendario per la prima parte della prossima stagione (fino al Sunshine Double, con Miami, in programma subito dopo, che al momento parrebbe avere più certezze).
La questione più importante riguarda ovviamente l’Australian Open, le cui nuove date (8-21 febbraio) sono state confermate da più parti ma non ancora ufficializzate. Melbourne è un vero spartiacque per la prima parte di 2021, soprattutto in virtù delle due settimane di quarantena che i giocatori e le giocatrici dovranno rispettare una volta sbarcati nello stato della Victoria fra il 15 e il 17 gennaio, creando un inevitabile buco nella programmazione – l’alternativa sarebbe organizzare dei 250 senza Top 100 (un po’ come Pune 2019) nella seconda parte di gennaio, ipotesi che per ovvi motivi non alletta nessuno.
LA SITUAZIONE PRIMA E DURANTE L’AUSTRALIAN OPEN
Presumendo che lo slot di rimanga quello, bisogna decidere cosa fare prima, durante e dopo l’Happy Slam. Per quanto riguarda la fase propedeutica al torneo, il quotidiano francese riporta un interessamento di Delray Beach (uno dei soli due ATP 250 assieme a Winston-Salem con un tabellone da oltre 28 giocatori) a spostarsi ad inizio anno, ma ci sarebbe anche la possibilità di concedere delle licenze straordinarie a nuovi tornei come successo in autunno con i due eventi di Colonia, con il Sardinia Open e con Nur-Sultan – questo sempre al netto delle qualificazioni per l’Australia che si dovrebbero giocare in una sede ancora indefinita prima del 15 gennaio.
Una volta espletato l’auto-isolamento, l’idea potrebbe essere di organizzare un 250 e l’ATP Cup a Melbourne. La seconda competizione è particolarmente cara a Tennis Australia, visto il successo della prima edizione dello scorso anno (e in questo momento è un guadagno a cui si preferirebbe non rinunciare), ma il format andrebbe giocoforza cambiato, magari eliminando la fase a gironi per ridurre il numero degli incontri. Paradossalmente, in questo modo si potrebbe addirittura allargare la manifestazione a 32 nazioni, anche se rimane il problema dei numeri due di alcuni Paesi che non hanno una classifica sufficiente per giocare le qualificazioni dello Slam e pertanto dovrebbero fare la quarantena solo per l’ATP Cup, accrescendo il numero di atleti presenti (vedi Pervolarakis della Grecia o Durasovic della Norvegia), proprio quello che la federtennis dell’isola vorrebbe evitare.
Come per lo US Open, l’ingolfamento creato dal rinvio di tre settimane dell’Australian Open ha aperto la porta a un potenziale torneo da disputarsi durante la seconda settimana dello Slam. In questo caso si può parlare con certezza di un solo evento al massimo, e per due motivi: da una parte, gli organizzatori di Melbourne non vogliono che la presenza di più eventi possa convincere dei giocatori ad optare per quelli piuttosto che per le due settimane di quarantena in hotel; dall’altro, pochi vorrebbero fare concorrenza a un Major, disfatta annunciata sul piano degli ascolti, e questo riduce il novero dei candidati.
COSA SUCCEDE DOPO?
Una volta giocato Melbourne, è dunque Indian Wells a diventare lo snodo fondamentale delle quattro settimane successive. I tornei in programma a febbraio sono da sempre molti, ovvero i 500 di Rotterdam, Rio de Janeiro, Dubai e Acapulco e i 250 di Buenos Aires, Cordoba, Santiago, Long Island, Delray Beach, Montpellier, Marsiglia e Pune. Sempre secondo L’Équipe, si salverebbero praticamente tutti, ad eccezione di Long Island e Pune (Delray Beach verrebbe anticipato, come detto), mentre si aggiungerebbe al gruppo anche Doha, ai cui proprietari certamente non dispiacerebbe divincolarsi dalle maglie della quarantena australiana di gennaio, e una cui collocazione in prossimità di Dubai avrebbe senso in termini di spostamenti, come già si può vedere nel calendario WTA – non è neanche impossibile che i due eventi possano diventare un blocco quindicinale di inizio anno. Per i sopravvissuti sarebbe anche in programma un finanziamento di sei milioni di dollari per far fronte alle correnti problematiche.
Qualora Indian Wells si disputasse – riportiamo l’ipotesi dei quotidiano francese – l’idea sarebbe di giocare due 500 (Dubai e Rio) e due 250 dal 22 al 28 febbraio, con una programmazione speculare (Rotterdam e Acapulco più due 250) dall’1 al 7 marzo, per un totale di otto tornei salvi su dieci. Si tratta di una condizione certamente non ideale e che potrebbe convincere alcuni a riconsiderare la finestra di inizio anno, ma finché il 1000 del deserto californiano non darà certezze nessuno sarà incline a spostarsi in uno slot che ha alte probabilità di essere bypassato dai top players.
Nel caso in cui Indian Wells finisse per essere cancellato, infatti, i tornei precedenti finirebbero per guadagnarci sia in termini temporali che di attrattiva, ridistribuendosi su quattro settimane (questo permetterebbe di scindere i due 500 tradizionalmente concomitanti di Dubai ed Acapulco, per esempio) in preparazione di Miami.
C’è infine una soluzione di mezzo, vale a dire la contrazione del Sunshine Double da quattro a tre settimane per permettere ai tornei precedenti di giocarsi senza troppe sovrapposizioni. In questo caso, quindi, sia Indian Wells che Miami si giocherebbero su dieci giorni invece che sui soliti quindici, un’ipotesi che però non farebbe contente le televisioni, poiché la finale di Indian Wells non cadrebbe più di domenica. Da regolamento c’è tempo fino alla fine del mese per ultimare il calendario della prima parte di stagione, ma è possibile che possa servire più tempo per avere delle risposte definitive.