Abbiamo raggiunto telefonicamente Paolo Lorenzi, che si sta allenando a Tirrenia dopo lo stop per il leggero infortunio al polpaccio, a pochi giorni dall’intervista con Giulio Zeppieri (che il 7 dicembre ha compiuto 19 anni). Quasi vent’anni esatti di differenza tra i due, nati rispettivamente nel 1981 e nel 2001, perché Paolino compirà 39 anni martedì 15 dicembre; abbiamo pensato di proporvi questo confronto generazionale a distanza di pochi giorni. Non facciamo gli auguri a Lorenzi perché pare porti male, farli in anticipo, ma lo ringraziamo per la solita disponibilità. E per le parole che ha speso nei nostri confronti.
Buongiorno Paolo, come va il polpaccio?
Molto meglio anche se è molto probabile che la mia stagione si concluda qua. (Ovviamente Lorenzi ha fatto di tutto per tornare in campo ed è andato a giocare l’ultimo Challenger della stagione a Maia in Portogallo, venendo eliminato al secondo turno da Zapata Miralles, ndr).
Quando parli dei tuoi tornei sembra di sfogliare l’atlante geografico. Rimbalzi da una parte all’altra del pianeta come un vero giramondo.
Per me è una cosa abbastanza normale perché quando inizia la stagione indoor se ami la terra rossa, come nel mio caso, ti devi spostare, migrare come le rondini.
Va bene, ma nel tuo caso c’è qualcosa di più. L’istinto del vero viaggiatore. Sbaglio?
Effettivamente mi è sempre piaciuto andare in giro. Ed è stata una fortuna visto il lavoro che faccio.
Il posto più strano dove hai giocato in tutti questi anni?
Direi il Future ad Abidjan in Costa d’Avorio nel 2009. Il montepremi era interessante e, iscrivendomi anche in doppio con Giancarlo Petrazzuolo, si rientrava abbondantemente delle spese. Peccato che fosse in corso una sanguinosa guerra civile, di cui non sapevamo nulla, e la città era presidiata da militari armati fino ai denti. Per non parlare dell’hotel, talmente malmesso che dopo tre giorni Petrazzuolo decide di tornarsene a casa. Io, rimasto solo, mi barrico in camera con i miei libri e mi faccio portare su i pasti. Uscivo solo per andare a giocare. In questo posto incredibile c’erano in realtà anche giocatori interessanti: Haider-Maurer, Donskoy e Andrej Martin che battei nei quarti. Il mio avversario in finale fu un giocatore del posto con classifica modesta (Valentin Sanon n.540 ATP, ndr). E io vinsi (6-3 6-4) nonostante i tifosi, accompagnati dai suonatori di bonghi, facessero un tifo infernale per il mio avversario.
Come mai la scelta di andare a vivere a Sarasota, Florida?
Guarda è successo tutto un po’ per caso. Parecchi anni fa vi giocai un Challenger (2012, sconfitta in finale contro Sam Querrey, ndr) e lì ho conobbi Giovanni Migliorini, proprietario di un paio di ristoranti con cui diventammo amici. Così ho avuto modo di scoprire un posto magnifico, bel clima, acqua sempre calda, l’Accademia IMG per allenarmi. Forse la località che mi è piaciuta di più tra tutte quelle che ho visto in giro per il mondo.
Tua moglie era d’accordo?
Dicevo sempre: “Appena smetto di giocare ci trasferiamo là”. Ma, visto che non smetto mai, quando mi hanno dato la green card abbiamo colto al volo l’occasione anticipando i tempi. All’inizio Elisa non era troppo convinta anche perché con l’inglese non è che se la cavasse tanto. Poi io ho ci ho messo del mio perché, appena arrivati, sono partito per una serie di tornei e sono stato via quattro mesi (ride, ndr.) Adesso però ci troviamo magnificamente.
E tu come vai con l’inglese?
Meglio ma è normale vivendo lì. Poi nel circuito devi per forza parlare inglese e/o spagnolo.
Che vita fai in Florida? Frequenti italiani?
Soprattutto italiani perché questo mio amico nei suoi ristoranti organizza sempre delle grandi tavolate di connazionali. Siamo davvero un bel gruppo.
Tra poco fai festeggi i 39 anni. Recentemente a Parma ti ho chiesto se avessi ingaggiato una gara con Federer su chi si ritira più tardi.
Sai, se devo eguagliare il suo prize-money sono costretto a giocare per sempre… e non mi basterebbe (ride, ndr).
A proposito di Federer, ho letto di quell’aneddoto di voi due a Wimbledon.
Troppo divertente, ero col mio allenatore Galoppini nel tunnel che portava al campo 1 e avevamo davanti Federer e il suo coach che all’epoca era Stefan Edberg. Io dissi a Claudio che per me il problema non era tanto battere Federer ma piuttosto che avrei perso anche da quell’altro (ride, ndr).
Tempo di bilanci?
Quanto ai bilanci cosa posso dirti? Ancora mi piace allenarmi, mi diverto a giocare i tornei. Quando una mattina mi sveglierò e mi accorgerò di non averne voglia, quello sarà il momento. Ma fino a che avrò queste buone sensazioni vado avanti. Ciò non toglie che ogni anno potrebbe essere l’ultimo.
L’anno scorso a Manerbio hai raggiunto le 400 vittorie nel circuito Challenger e hai nel mirino il record di Ramirez Hidalgo che è a 423. Quanto ti manca?
Dovrebbero mancare 6 o 7 partite, non so di preciso. (con l’ultima vittoria del 2020 a Maia, Lorenzi ha toccato quota 420 quindi gliene mancano 4 per superarlo, ndr). Ramirez Hidalgo comunque mi ha detto che se lo supero riprende a giocare visto che sostiene di avere il ranking protetto (ride. Ricordiamo che l’ex tennista spagnolo sta per compiere 43 anni e ha giocato l’ultimo match in un challenger nel giugno 2019, ndr).
“Crederci sempre” e “illusione” sono stati i mantra della tua carriera.
Illusione sì. Quando a 26 anni mi trasferii a Livorno ero ancora convinto di poter diventare un giocatore forte, e per forte intendo un top 100 che può giocare gli Slam direttamente in tabellone. Ci sono invece tanti giocatori che a 26 anni se sono ancora 200 in classifica non pensano più di poter migliorare, si accontentano.
A 26 anni Borg si ritirò.
Pensa te!
Parliamo di ATP. Raccontami di Kitzbuhel 2016, l’unico torneo ATP che hai vinto in carriera.
Fu una settimana fantastica. L’Argentina ci aveva appena battuto a Pesaro in Davis ed io, in coppia con Fognini, avevo perso il doppio 6-4 al quinto. Dunque il morale non era altissimo. Poi, pur avendo sempre giocato bene in altura, a Kitzbuhel non avevo mai brillato. Invece fu una settimana fantastica.
Le tre finali ATP che hai perso (San Paolo, Quito e Umago) ti hanno lasciato dei rimpianti?
Sicuramente quella di Quito perché non solo ebbi match point ma con Estrella Burgos in altura avevamo già fatto varie finali Challenger e avevo sempre vinto io al terzo. Quella fu l’unica finale che persi con lui (febbraio 2017 col punteggio di 7-6 5-7 6-7, ndr).
Con tutto questo tennis ti rimane tempo per seguire qualche altro sport?
Quando posso seguo la Fiorentina, ma adesso col fuso orario è un bel problema. Non mi dispiaceva seguire anche il basket quando a Siena c’era la Mens Sana. Qui in Florida ne ho approfittato per andare a vedere qualche partita NBA.
Quando sei in viaggio fai anche del turismo?
Ultimamente ho sviluppato una grande passione eno-gastronomica, quindi vado a caccia di buoni ristoranti. Soprattutto se il giorno dopo non devo giocare.
Nei momenti off cosa ti piace fare?
Leggo tanto, prima quando partivo mettevo in valigia almeno 5 o 6 libri, adesso la tecnologia mi aiuta e sfrutto molto i kindle. Il mio libro preferito è senza dubbio “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas che ho letto più di una volta.Poi uso parecchio Netlix. Adesso sto guardando “Sherlock Holmes” e recentemente ho finito “La casa di carta”. Tutto rigorosamente in inglese così ne approfitto anche per migliorare la lingua.
Nel circuito chi sono i tuoi migliori amici?
Noi italiani siamo molto bravi perché quando ci incontriamo in giro per tornei andiamo sempre a cena assieme. Gaio e Giannessi sono quelli con cui sono più legato soprattutto perché negli anni di Tirrenia abbiamo sviluppato uno splendido rapporto. Ma, ripeto, anche con gli altri facciamo gruppo ed è molto bello.
Vengono anche i più giovani?
Sì certo, Dalla Valle, Pellegrino e anche altri, in particolare quelli che sono passati da Tirrenia.
A proposito di giovani, fammi un pronostico secco. Best ranking in carriera di Sinner e Musetti.
Sinner numero 1 e Musetti top 10. Esagero?
Un altro giovane che ben conosci è Giulio Zeppieri che l’anno scorso ti sconfisse a Parma.
Gran bella partita la sua, purtroppo per me. Giocò un ottimo tennis, spingeva molto.
Recentemente stavo guardando il Challenger di Orlando ho visto un ragazzino molto interessante: Zachary Svajda, 18 anni scarsi. Ti ricorda qualcosa vero?
Stai buono, non farmi ricordare quella partita (US Open 2019, primo turno, ndr). Faticai come un matto, sotto due set a zero, sotto di un break al quarto. Mi salvai per un pelo. John Isner, con cui si allena spesso, mi disse alla fine: “Bravino il ragazzo eh?”. Mi domando però come mai tutti mi chiedono sempre di Sinner e Musetti, ragazzi e giocatori fantastici intendiamoci, ma forse stiamo trascurando un po’ Berrettini. In fin dei conti è il numero 10 del mondo!
Credo che il suo fantastico 2019 sia stato abbondantemente sottolineato dalla stampa specializzata. Poi hai ragione a dire che forse quest’anno è stato dato un po’ per scontato.
Non è giusto darlo per scontato, anche perché credo che sia un giocatore con ampi margini di miglioramento. Lasciando stare quest’anno che ha avuto tanti problemi fisici, l’anno scorso stava già cominciando a migliorare sui punti deboli. Per quanto è alto non si muove poi così male. E sul rovescio aveva cominciato a lavorare su interessanti variazioni. Penso proprio che l’anno prossimo alle ATP Finals di Torino avremo tre giocatori.
Torniamo agli Slam, qual è il tuo preferito?
New York, ma è normale. Fu lì che vinsi la mia prima partita Slam dopo 13 eliminazioni al primo turno! Flushing Meadows mi è sempre rimasto nel cuore, e anche tecnicamente è il torneo che si adatta maggiormente al mio stile. Infatti la palla è un po’ più lenta e rimbalza più alta rispetto agli Australian Open e ad altri tornei sul cemento.
Programmi per il prossimo anno?
Innanzitutto spero che si potrà finalmente andare in giro senza limitazioni e che ci libereremo da quest’incubo del Covid-19. Inizierò in gennaio con le qualificazioni degli Australian Open (sappiamo adesso che si giocheranno prima del 15 gennaio fuori dall’Australia, ndr). Verrò di sicuro in Europa, ovviamente anche in Italia, ma aspetterò che si giochi sulla terra battuta. La stagione indoor, come dicevo, cerco sempre di evitarla. Ad esempio avevo preso informazioni per Parma e quando mi hanno detto che la superficie era la stessa, velocissima, su cui si giocava la serie A ho rinunciato. Stesso discorso per Ortisei perché su questi campi è difficile fare la differenza. Se l’altro serve bene e gli girano due o tre palle la partita è già finita. Non è il mio tennis.
Grazie Paolo, auguri per il tuo imminente compleanno e per la stagione che ti aspetta.
Grazie a voi per tutto il lavoro che fate per il tennis.