È una terribile, tristissima notizia quella che mi ha comunicato ieri sera Gianni Ciaccia da Parigi. Luigi Serra, straordinario personaggio, nato a Firenze, laureatosi in ingegneria ma poi trasferitosi negli Stati Uniti tantissimi anni fa con due grandi, grandissime passioni, il tennis e la fotografia, ci ha lasciato improvvisamente, senza alcun preavviso, a Chicago colpito da questo virus terribile e implacabile che non accenna a mollare la presa.
Quella di Luigi è una grande perdita personale per me che gli volevo bene e che sentivo spesso al telefono per raccontarsi tante cose, e perché in comune avevamo anche la passione per la Fiorentina le cui partite lui seguiva dagli USA in diretta – ahinoi i risultati rispetto agli anni dei due scudetti che lui conosceva a memoria erano assai poco soddisfacenti – e mi telefonava quando erano finite per commentarle e per chiedermi, come l’ultima volta: “Ma Prandelli riuscirà a risollevare la Viola? Oh ma qui non si segna mai”. E lo diceva in anglobecero, un po’ fiorentino, un po’ americano simile a quello di Alberto Sordi “what’sa American!”
Pochissimi giorni fa gli avevo mandato un bell’articolo scritto per Ubitennis da Agostino Nigro sulla morte di Diego Maradona e mi ero sorpreso che non mi avesse rinviato un suo commento. Non era da lui. Ho saputo solo ieri notte che da 15 giorni Luigi era stato ricoverato in ospedale. E pensare che pochi giorni prima, sapendo che lui aveva casa anche in California, vicino a Palm Springs e accanto ai campi di tennis, gli avevo detto: “Mi spieghi perché vai a Chicago d’inverno quando in California il clima è molto più bello e stai in California nel deserto d’estate quando fa un caldo che si muore?”. Mi aveva declinato tutta una serie motivi. Ogni anno Luigi tornava a Firenze, con la simpaticissima moglie Bonnie (non sono sicuro che si scriva così, ma anche lei è venuta con lui a cena da noi a Settignano una sera di tre anni fa… e fu una piacevolissima serata, mia moglie ancora ci ride…), e voleva andare dal Sanesi, trattoria di Signa dove – diceva lui – “si mangia la miglior bistecca alla fiorentina del mondo”.
Da anni mi mandava le sue foto, da Indian Wells, da New York, dovunque andasse – anche al Roland Garros dove mi chiese di accreditarlo – per chiedermi poi sempre la stessa cosa: “Vengo a casa tua e tu mi fai la bistecca alla fiorentina! Sennò, niente foto!“. Era diventato un gioco ripetuto mille volte. E io gli dicevo. “Luigi, questa foto non mi piace, niente bistecca!”.
Aveva imparato alla grande un mestiere che non era il suo. Era diventato bravissimo ed era capace di fare sacrifici enormi pur di fare una bella foto. Ed era naturalmente orgogliosissimo delle sue creature. Era – che fastidio, che dolore usare adesso tutti questi imperfetti! – sempre sorridente, mischiava ormai italiano e slang americano fra mille “you know”, con l’occhio sempre attento al passaggio di ogni bella ragazza, che era capace di approcciare innocentemente con una simpatia talmente rara da risultare irresistibile anche se il gap anagrafico superava il mezzo secolo. Poteva dire qualunque cosa, ma nessuno si sarebbe mai offeso, tanto genuino e spontaneo era il suo approccio.
Con lui abbiamo vissuto momenti indimenticabili, davvero divertenti. Come quando ci portava a Little Italy in certi ristoranti che solo lui, che pure abitava a Chicago, conosceva alla perfezione. Aveva amici dappertutto. Non l’ho mai visto una volta arrabbiato. Mai. E naturalmente anche all’ultimo US Open che potemmo frequentare insieme, quello del 2019, mangiammo insieme la mia solita bresaola con il parmigiano reggiano e l’olio d’oliva che immancabilmente portavo a Flushing Meadows. Quante volte abbiamo condiviso quei momenti.
Era stato lui, a marzo, a fissarmi un appuntamento con Ray Moore, il braccio destro di Larry Ellison ed ex direttore del torneo di Indian Wells (prima di Tommy Haas) per un’intervista fatta via Skype, ed era anche amico di Martin Mulligan, l’ex finalista di Wimbledon nonché tre volte campione agli Internazionali d’Italia, con il quale si sentiva spessissimo (e cui è toccato a me dare la triste notizia della scomparsa). Conosceva tutti, era amico di tutti. Una quindicina d’anni fa fece anche un servizio fotografico a mio figlio che era venuto a New York dopo aver fatto esperienze tennistiche da Bollettieri e Evert.
Sono non meno di qualche centinaio le foto scattate da Luigi che abbiamo nell’archivio di Ubitennis. A volte mi rimproverava perché mentre sul sito italiano avevamo messo il copyright con il suo nome invece nella home inglese, Ubitennis.net che lui finiva per guardare più di quella italiana, il copyright sfuggiva. Era quella, invece, la sua più grande soddisfazione, vedere la propria firma sotto una bella foto. Credo che il miglior regalo che potremo fargli d’ora in avanti, sarà quello di ripescare e pubblicare il maggior numero di volte possibile qualche sua foto. E sono peraltro convinto che essendo tutt’altro che timido, in Paradiso avrà già cominciato a scattar foto di tutti i Santi armati di racchetta. Talvolta, Luigi aveva il problema di come fare a inviarle in tempo, ma da Lassù sono sicuro che troverà modo di arrangiarsi, come alla fine riusciva sempre a fare.
Riposa in pace amico mio, ti ho perso ma non ti dimenticherò. Ti voglio bene e ti penserò sempre. L’abbraccio più affettuoso alla tua cara, dolcissima moglie, tuo Ubaldo.
Scompare a Chicago un grande fotografo e grande amico di Ubitennis, Luigi Serra, vittima del Covid-19
Un piccolo grande uomo, molto più giovane di spirito dei suoi anni (80?), sempre allegro, amico di tutti, generoso all'eccesso, grande persona con un sense of humour più unico che raro. Ubitennis ha pubblicato centinaia di sue splendide fotografie. Abbiamo perso un amico
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