L’abisso sportivo tra Italia e USA e la storia di Nicolò De Fraia, il coach più giovane dell’NCAA
C’è chi va e c’è chi viene, il 19enne meranese Daniel Botti è in partenza per gli Stati Uniti mentre è ormai sulla via del ritorno (maggio 2021) il roveretano Giovanni Oradini. Daniel ha appena ottenuto una borsa di studio per la Kennesaw State University, 40 km a nord di Atlanta, Georgia. Lo raggiungiamo telefonicamente a Bordighera presso il Piatti Tennis Center dove ha ripreso gli allenamenti dopo un paio di settimane di stop per un inizio di pubalgia.
Buongiorno Daniel, raccontaci come inizia questa avventura.
Era una cosa che volevo fortemente e da tanto tempo. Devo ringraziare Piatti e il suo staff che mi hanno aiutato a crescere come tennista e mio fratello David che ha gestito l’aspetto burocratico con il suo TS-College Tennis.
A proposito di Piatti, lì a Bordighera ci sarà una bella atmosfera dopo il bellissimo finale di stagione di Sinner.
Assolutamente, Riccardo è molto carico e l’umore di tutti è ottimo. Tra l’altro è qui con noi da più di tre settimane anche Simone Bolelli che si sta allenando con Jannik con cui è possibile che faccia coppia nei prossimi tornei di doppio.
La tua partenza per Kennesaw State (gli Owls, cioè gufi) sarà il 6 gennaio. In questo momento più ansia o entusiasmo?
Al momento sono piuttosto rilassato e mi sto godendo l’ultimo mese qui. Mi sto allenando, poi andrò in famiglia per le feste.
A Merano?
Sì, la mia è la classica famiglia ‘di confine’. Mia madre è madrelingua tedesca e il babbo di origine veneta. Uno dei vantaggi di questa situazione è che parlo piuttosto bene tedesco.
Ti sarà servito con Sinner, immagino.
All’inizio parlavo in tedesco perché il suo italiano era veramente modesto. Adesso siamo passati all’italiano perché vuole esercitarsi. Ed effettivamente i suoi progressi sono stati notevoli, di poco inferiori a quelli che ha ottenuto in campo.
Con l’inglese come te la cavi?
Bene perché negli Stati Uniti ho già frequentato il quarto anno di liceo a Hilton Head Island in South Carolina. E mentre studiavo mi allenavo all’Accademia Van Der Meer.
Mi risulta che in precedenza tu avessi già firmato per un’altra università, la Southern Utah University.
Esatto, avevo già firmato e dovevo partire in agosto, ma poi a causa del Covid hanno tagliato i fondi dei programmi sportivi. Dunque niente più borse di studio per il tennis.
Come funzionano le borse di studio?
Ci sono due tipi di borsa di studio: quella accademica e quella sportiva. Considerando che una buona Università costa sui 40000 dollari l’anno, capisci che può fare veramente la differenza. Lo staff valuta il tuo livello di tennis e poi il coach ti fa un’offerta per la borsa di studio sportiva. Per quella accademica all’inizio c’è solo un contributo, poi dipende dai tuoi voti. Io ad esempio per i primi sei mesi pago poco più del 10% della cifra intera. Per quelli successivi farò il possibile per ottenere l’esenzione totale.
Conosci già lo staff?
Il coach è Matt Emery con cui ha preso i primi contatti mio fratello David che gestisce il ‘TS- College Tennis’ che si occupa proprio di trovare borse di studio tennistiche nelle università americane. Io ci ho già parlato e mi ha detto che i ragazzi, tra cui molti europei, sono forti e motivati.
Cosa ti aspetti da questa esperienza?
Soprattutto mi aspetto di crescere come livello tennistico, in particolare da un punto di vista atletico, aspetto che nei college è molto curato. Poi ci sarà l’esperienza umana che in questo momento non riesco a prevedere, ma che immagino assolutamente indimenticabile.
Il campionato universitario comincia già in gennaio, vero?
Sì, gli incontri si articoleranno in sei singolari e tre doppi. Il primo anno cercherò soprattutto di capire come funzionano le cose, con l’obiettivo di entrare in sintonia col coach e con la squadra. Comunque ho fatto i conti e come ranking (in Italia David è 2.4, ndr) dovrei essere il numero quattro. Ovviamente bisogna vedere se coach Emery si fiderà a mettermi subito in campo.
Essere allievo di Riccardo Piatti ti aiuterà.
Certo quello di Riccardo è un bel biglietto da visita.
Seguirai anche i tuoi colleghi degli altri sport?
Penso proprio di sì, a me piace molto il basket, soprattutto quello NBA. A Kennesaw so che c’è una squadra ma purtroppo non credo sia tanto forte.
Cosa studierai?
Studierò informatica, sperando di creare le premesse per un buon piano B. Non si sa mai.
Grazie Daniel, in bocca al lupo. Ci sentiremo nei prossimi mesi per sapere come starà andando la tua avventura americana.
Sarà un piacere, grazie dell’interesse.
Quello che viene è invece Giovanni Oradini. Ventitreenne di Rovereto da dove è partito nel gennaio 2017 per frequentare la Mississippi State University (i mitici ‘Bulldog’) con una borsa di studio per il tennis. Lo staff lo aveva cercato nell’estate del 2016 mostrando un chiaro interesse per il ragazzo che aveva già un ragguardevole ranking ITF. Lo abbiamo contattato ad Antalya dove sta disputando un Future da 15.000 dollari che segna il suo rientro nel circuito professionistico.
Fu difficile decidersi al grande passo?
Neanche tanto, la proposta era interessante sia da un punto di vista tecnico che economico. E soprattutto mi piaceva il percorso umano che mi si prospettava. Poi la mia è una famiglia di sportivi: mio padre è maestro di tennis e mio fratello Giacomo ha giocato (ex n. 704 ATP e sparring di Francesca Schiavone) prima di andare a lavorare alla MTA (Milano Tennis Academy).
Quindi filò tutto liscio?
In realtà la trafila burocratica fu sfiancante anche perché feci quasi tutto da solo. Mi diedero comunque una mano David Botti (TS-College Tennis) per i documenti e Claudio Pistolesi per gli aspetti tecnici. Claudio adesso vive e allena in Florida e conosce un po’ tutti. Così mi consigliava o sconsigliava le varie Università, mi diceva quali erano i tecnici migliori. Mi consigliò Mississippi che era nota per avere un ottimo programma di tennis.
Come te la cavavi con la lingua?
Mi arrangiavo perché comunque l’inglese è la lingua ufficiale del circuito e ti abitui a usarla da subito. Certo che all’inizio fu piuttosto complicato seguire le lezioni in inglese, unico italiano in aula. Diciamo che è stato molto formativo.
Ti stai per laureare?
Sì, finisco a maggio e mi laureo in chinesiologia (letteralmente disciplina olistica volta al riequilibrio corpo/mente, ndr) che è una sorta di ‘Sport Administration’ che mi permetterà, se si presenterà l’occasione, di diventare manager, giornalista sportivo, organizzatore di eventi.
So che nelle università americane gli atleti hanno un percorso privilegiato.
Non credere, si studia per davvero. Poi per quanto riguarda il programma sportivo è vero che ti agevolano in ogni maniera. La nostra Università è molto ben organizzata, non a caso fa parte della cosiddetta ‘power five’, cioè le cinque Conference più ricche.
Gli altri studenti vengono a fare il tifo?
Sì, pensa che per le finali NCAA facevamo più di 1000 spettatori a partita. Spettatori paganti. Certo niente in confronto a basket e football. Ma loro portano soldi, tra i biglietti, i diritti TV e gli sponsor. Tanto per capirci il nostro stadio per il football ha una capienza di 70.000 posti.
Come si articola la stagione tennistica?
Il campionato dura da gennaio a fine maggio quando si svolgono prima le finali NCAA a squadre (con 6 singolari e 3 doppi) e poi quelle individuali. Per entrambe le competizioni il tabellone finale è a 64. Nella competizione a squadre partecipano le Università meglio classificate nella prima fase. Nell’individuale i primi 50 del ranking e qualche invitato a vario titolo.
La fase finale prevede un concentramento tipo le ‘Final Four’ del College Basket?
Esatto, nel nostro caso sono le ‘FInal Eight’. L’anno scorso si sono svolte alla USTA di Orlando.
Tu che ranking hai?
Il mio best ranking è stato numero 5. Il loro sistema si chiama UTR che è una classifica che tiene in considerazione i migliori risultati dei tornei Future e di quelli NCAA. Il mio best è stato 14,03 su un massimo di 16. Adesso dovrebbe essere 13,59 perché sono più di due anni che non gioco Future.
Chi è il numero 1 della squadra?
L’ultima stagione era il portoghese Nuno Borges (attuale n.398 ATP).
Vai a vedere anche gli altri sport?
Se capita molto volentieri, soprattutto il basket. Sono diventato molto amico di Robert Woodard che è appena stato scelto al Draft NBA dai Sacramento Kings con il numero 40.
E le mitiche feste che si vedono sempre nei film?
All’Università ci sono 30.000 studenti. Puoi immaginare che se vuoi far festa e bere ne trovi una ogni sera.
Quindi?
Quindi ti racconto la mia giornata. La sveglia suona già alle 7:30, un’ora più tardi dobbiamo essere in classe per le lezioni e si va avanti fino a mezzogiorno. Spuntino veloce e dalle 13 in campo per gli allenamenti. In genere più di tre ore, verso le 19 cena e dopo, se sei ancora vivo, puoi fermarti a studiare con il tutor che ti aiuta a recuperare nelle materie in cui sei rimasto indietro.
Comincio a capire.
Già, le feste stanno in un altro film (ride, ndr). Il massimo della vita è quando riusciamo a fare una capatina a Memphis che dista due ore di macchina. Considera che in tutta la stagione avremo sì e no 2/3 week end senza partite. A guardarla da un punto di vista ottimistico, diciamo che siamo molto concentrati sull’obiettivo.
Che nel tuo caso sarebbe?
Dedicarmi a tempo pieno al tennis. Mi piacerebbe arrivare a fare le quali degli Slam. Avere una classifica che mi permetta di farlo. Adesso qui in Turchia sto giocando il primo torneo dopo due anni e mezzo.
Le opinioni sul tennis al college sono controverse.
So che c’è un po’ l’idea che al college non ci si allena bene e che è difficile diventare professionisti. Per me non è vero, semplicemente è una strada diversa.
Parecchi giocatori infatti hanno avuto un’ottima carriera partendo dal college.
Lo so, alle ultime finali c’erano, tra gli altri, J.J.Wolf (Ohio State University – n.127 ATP) e Maxime Cressy (U.C.L.A. – n.168 ATP). Entrambi stanno giocando tra i pro a un ottimo livello. Poi è vero che qui non mi alleno le stesse ore di quando sono in Italia senza impegni di studio. Al college devi anche frequentare ed è complicato essere un professionista al 100%. Ma la qualità del gioco è alta, ci sono anche tanti giocatori senza classifica che non vanno sottovalutati. Se dovessi definire il livello direi una cosa intermedia tra Challenger e Future.
In bocca al lupo per la tua carriera, sia sportiva che universitaria.
Crepi.