Questo articolo potrebbe tranquillamente intitolarsi ‘Figli di un tennis minore’. Se il circuito Challenger è la cinghia di trasmissione tra i diversi livelli del tennis professionistico, nei Future/ITF siamo, senza dubbio, nello scantinato.
Premesso che non si può generalizzare e che spesso in Italia il livello è più che decoroso, diciamo però che mediamente gli organizzatori fanno del dilettantismo la loro cifra distintiva. I premi poi sono talmente bassi che ai giocatori, per guadagnare qualche soldo, rimane giusto la speranza di arrivare in fondo al torneo. Non ci sono giudici di linea e raccattapalle, con qualche rara eccezione nei 25.000 dollari, e dunque si vedono spesso scene che sono consuete a livello amatoriale. Gli atleti e i loro eventuali accompagnatori sono visti più che altro come clienti (in realtà i giocatori stessi parlano di ‘polli da spennare’) dai grandi complessi alberghieri che si mettono d’accordo con gli organizzatori, contando così di riempire le camere nei periodi di bassa stagione.
Testimonianza comune è che economicamente sia più proficuo giocare gli Open, il problema è che questi ultimi non danno punti ATP. Dunque il percorso verso il professionismo passa inevitabilmente attraverso questo collo di bottiglia. Troviamo allora giovani che cercano i punti per entrare nei Challenger, o meno giovani che cercano di rientravi. In ogni caso tutti sono accomunati dalla speranza di salire di livello appena possibile.
Premesso che anche la stagione ITF 2020 è stata gravemente menomata dal Covid, che ha cancellato più di cinque mesi di calendario, potremmo brevemente riassumere i dati dei 130 tornei disputati in questo modo: la classifica ATP media dei vincitori è 415 e l’età media è 23 anni. In ogni caso, potete trovare il dettaglio di tutti i tornei nella seguente tabella.
I plurivincitori sono stati il nostro Alessandro Bega e il polacco Kapcer Zuk (n.262 ATP) con quattro vittorie a testa. Tralasciando la lunga schiera di onesti mestieranti che hanno iscritto il loro nome negli albi d’oro, vanno segnalati i risultati di alcuni giovanissimi tra cui spiccano il danese Holger Rune (tre successi), e lo spagnolo Carlos Alcaraz (due vittorie), entrambi destinati a recitare su ben altri palcoscenici. Abbiamo poi le incursioni di Francisco Cerundolo e Brandon Nakashima, ormai promossi al piano superiore e abituali frequentatori del circuito Challenger. Non dimentichiamoci infine del francese Antoine Cornut-Chauvinc (due vittorie), un altro che qui è solo di passaggio, come ben sa il suo allenatore Younes El Aynaoui.
Gli italiani che hanno alzato le braccia al cielo, oltre a Bega, sono sei, con una vittoria a testa:
- Gianluigi Quinzi a Weston
- Riccardo Bonadio ad Antalya
- Luca Potenza a Monastir
- Luca Nardi a Sharm El-Sheikh
- Giovanni Fonio ad Antalya
- Omar Giacalone a Monastir
VOCI DAL CIRCUITO
Qualcosa sul mondo ITF/Future ci è stato raccontato da due veterani del circuito: Alessandro Bega e Marco Bortolotti.
Alessandro Bega (29 anni, n. 349 ATP) quest’anno con quattro vittorie (Cancun e tripletta a Sharm El-Sheikh) è il plurivincitore a pari merito, come si diceva, col polacco Kacper Zuck. Lo abbiamo raggiunto al volo mentre era in partenza per Monastir, dove purtroppo si è ritirato al primo turno in svantaggio 5-7 0-2 contro l’indiano Paras Dahiya, n.1642 ATP.
“Parto in anticipo perché prima di scendere in campo sono obbligatori cinque giorni di quarantena. Sono costretto a tradire Sharm, il mio posto preferito, perché per il momento in Egitto non hanno programmato tornei. A Sharm i campi sono veloci come piace a me, il resort è molto bello, anche se in realtà io dormo fuori perché è più economico. Lo svantaggio è che se non alloggi nel resort non appena vieni eliminato non ti fanno più accedere ai campi. Ma risparmiare è un obbligo perché economicamente è durissima, te la cavi solo se arrivi in fondo al torneo. Questo è il motivo principale per cui viaggio quasi sempre da solo“.
“L’unico aspetto positivo di una eliminazione prematura“, ci aveva detto Alessandro quasi prevedendo il risultato di Monastir, “è che posso fare un po’ di turismo, cosa che mi piace moltissimo. Grazie al tennis ho veramente girato il mondo anche perché, per trovare campi veloci, sono costretto a migrare. Non ho particolari aneddoti sui miei viaggi, conservo un bel ricordo di tutti i posti che ho visto. Mai avuto particolari problemi, nemmeno nei luoghi più strani ed esotici. Ad esempio in Burundi e Ruanda eravamo un bel gruppo d’italiani e siamo stati benissimo. Ovvio che incontri delle realtà completamente diverse dalle nostre, ma penso che questo sia un arricchimento. Il mio compagno di viaggio preferito sarebbe Roberto Marcora ma lui al momento ha una programmazione diversa, visto che la sua classifica è migliore. Quello con cui ho girato di più è Francesco Vilardo con cui ci alleniamo insieme da tanti anni“.
“Il mio obiettivo sarebbe giocare stabilmente i Challenger“, dice Alessandro. “Il problema è che a causa del Covid ci sono meno tornei e quelli rimasti hanno una entry list molto più selettiva. La stessa cosa avviene nei Future dove ormai è difficile trovare qualcuno oltre il 500, quindi non hai più i primi turni facili come era prima. Io poi ho un problema ulteriore: avendo già raggiunto il tetto dei 18 risultati utili nell’arco dell’anno, porto a casa pochissimi punti anche vincendo il torneo. Per me non ha nemmeno molto senso giocare i Future, purtroppo l’alternativa è stare a casa sul divano. Terrò duro sperando che si risolva l’emergenza sanitaria“.
Ugualmente in partenza era Marco Bortolotti (29 anni, n.538 ATP), che il 2 gennaio è partito per Antalya dove disputerà due tornei. Tutta la sua carriera si è divisa tra Future (due vittorie in singolare e addirittura 38 in doppio) e Challenger, anche se purtroppo nel suo anno migliore ha avuto un po’ di sfortuna (sette partite perse con match point a favore) che, complice anche qualche errore di programmazione, non gli ha permesso di spiccare il volo. Possiamo considerarlo un vero esperto del circuito Future, sentiamo una sua opinione.
“Adesso il livello dei Future è molto vicino a quello delle qualificazioni ATP“, ci dice Marco. “Tanto per fare un esempio, l’ucraino Vitaly Sachko (da cui nel 2019 persi una finale Future in Ucraina) quest’anno a Vienna se l’è giocata alla pari con Dominic Thiem perdendo 6-4 7-5. I montepremi però sono piuttosto modesti; se vinci un ITF 25.000 prendi poco più di 2000 euro, 1300 per un ITF 15.000. In doppio un 25.000 vale circa 900 euro a testa. Ormai nessun torneo concede l’ospitalità ed è tutto a carico dell’atleta. Capisci che bisogna viaggiare senza allenatore e risparmiare su tutto“.
“I tornei fanno spesso doppiette/triplette. Il ‘business’ l’ha iniziato Antalya e consiste nel riempire i resort nei periodi di bassa stagione. Gli organizzatori del torneo hanno ovviamente un accordo con gli hotel. E le cose sono addirittura peggiorate con le nuove regole perché adesso nei Future ci sono meno punti a disposizione. Prima una vittoria in un 15.000 dava 18 punti adesso 10. Un 25.000 te ne dava 27 adesso solo 20. Quindi è spesso più conveniente giocare gli Open. Se vinci si guadagna dai 1000 ai 1500, giocando solo 4 partite e senza affrontare spese di trasferta“.
Marco conclude con una frecciata polemica verso l’ATP: “Quest’anno, causa Covid, i primi 500 della classifica hanno preso dall’ATP 9000 euro di sovvenzione, dopo il n.500 ne abbiamo presi solo 800. Ovviamente non mi sembra giusto“.