Jannik Sinner è convinto che la testa conti al 70% per il successo di un tennista. Tsitsipas, intervistato da Stefano Meloccaro per Sky Sport, ha ridotto la percentuale al 50%. Difficile scendere sotto questa quota, anche intervistando numerosi altri giocatori di spicco.
Ci sentiamo di aggiungere che una grande importanza, all’interno del contesto di ‘allenamento della mente’, è rivestita dalla cura dall’emotività dell’atleta. Per molto tempo si è erroneamente creduto che il tennis si potesse insegnare solo ed esclusivamente attraverso la trattazione della tecnica, e che gli altri aspetti individualizzati e finalizzati al miglioramento o mantenimento delle condizioni psico-fisiche dell’atleta, tattico-strategico e coordinativo, fossero di marginale importanza.
Oggi si sostiene che tutti gli elementi sopra menzionati debbano essere affrontati dagli istruttori/maestri/coach nell’ambito dell’allenamento, della competizione e non solo, al fine di favorire la crescita equilibrata dell’uomo atleta-tennista.
Lo sport si può definire un campo di esperienza con una specificità educativa tale da giustificare una rilevanza pedagogica. La dimensione ludica e quella atletico-sportiva sono strettamente legate fino a confondersi l’una con l’altra. Lungo il cammino di una professione come quella di un istruttore/maestro/coach, deve essere messa al primo posto l’autentica intenzione di immedesimarsi con il mondo dei bambini (soprattutto con quelli più piccoli) per far risaltare le doti di questa professione, divenendo a tutti gli effetti degli educatori. Bisogna essere disposti a ‘servirli’ nel senso più nobile del termine, diventando una persona che ispira fiducia.
“Con i bambini, bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi e farsi piccoli” (Janusz Korczack, pedagogo). Giocando, il bambino libera la mente da contaminazioni esterne – primo fra tutti il giudizio altrui – e sperimenta la possibilità di scaricare la propria istintività ed emotività. Per questa ragione ha bisogno di una persona accanto, un educatore che sappia ascoltare, un maestro di cognizioni e virtù, una guida spirituale.
Nella visione didattica moderna del maestro di tennis, a nostro modo di vedere, l’aspetto emotivo deve precedere gli altri come importanza. Stiamo parlando dell’empatia (dal greco enphatos, “sentire dentro”), che è una competenza fondamentale dell’intelligenza emotiva. L’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri. L’imitazione sul piano corporeo, se vogliamo, è alla base dell’empatia nascendo dalla corteccia motoria. Prima di tutto, noi imitiamo il movimento.
Nel 1982 la American Psychological Association (APA) condusse una ricerca e i professionisti appartenenti a diversi orientamenti psicologici descrissero Carl R. Rogers, psicologo statunitense, come colui che più di tutti aveva influenzato il loro lavoro nel campo dell’empatia. Carl R. Rogers seppe accogliere e facilitare il cambiamento con profondo rispetto, sviluppando notevoli capacità di ascolto empatico, in tutti i campi, e fu il primo a democratizzare l’asse della relazione e indicare che la qualità di tale relazione determina i risultati. In sintesi: quanto più corretto e ‘di qualità’ sarà l’approccio con l’allievo, tanto più ne raccoglieremo i benefici. Accettazione ed empatia sono le condizioni preliminari per costruire ogni rapporto consolidato e in particolare quello di un coach con il suo atleta.
Il coach traccia il percorso formativo e non si limita ad affidare i compiti e poi a verificare se e come sono stati fatti. La sua azione pedagogica non è asettica, ma si basa sulla costruzione di un rapporto/patto di fiducia.
“Nel tennis l’unica regola è che non ci sono regole” sostiene un grande coach dei nostri tempi quale Alberto Castellani, ed è il coach che programma strategie di empowerment e responsabilizzazione mettendo in risalto l’atleta-uomo, strategie vincenti rispetto alle altre usate da docenti eccessivamente scolastici. Il coach accetta il suo atleta accogliendolo con rispetto ed empatia facendolo vivere nel suo modo di costruire le esperienze e di rapportarsi con se stesso, con gli altri e il mondo. Facendo leva sull’empatia, il coach potrà dispiegare completamente la capacità adattiva del proprio atleta, ottenendo validi risultati.
In questo senso sono rilevanti esempi di ex tennisti che hanno saputo mettere a frutto l’esperienza sul campo nella nuova vita da allenatori. Un esempio lo abbiamo in casa ed è Vincenzo Santopadre, ex top 100 che ha portato Matteo Berrettini in top 10. “Le giuste competenze si trovano solamente dopo aver vissuto determinate situazioni” ha raccontato in una recente intervista, e il frequente utilizzo del pronome plurale ‘noi’ quando parla dei miglioramenti di Matteo ci suggerisce un approccio marcatamente empatico, nel quale il coach si mette nei panni dell’allievo per comprendere le sue difficoltà e aiutarlo a superarle.
Da qui l’accettazione della tesi che come nell’allenamento fisico, anche in quello mentale – se non adeguatamente ripetuto – il passato può condizionare il presente in caso di carenza di risultati, anche se è ancora più importante come nel presente visualizziamo e programmiamo il nostro futuro.
METTERE IN PRATICA
A conclusione, descriviamo alcuni esercizi di base che attraverso l’imitazione corporea consentono lo sviluppo dell’empatia tra allenatore e giocatore. L’empatia arriva con il tempo, quando il coach riesce a mettersi – a livello emotivo – nei panni dell’atleta, e quando quest’ultimo, non sentendosi giudicato, inizia a fidarsi di lui. A questo punto il processo empatico ha raggiunto il suo scopo. Entrambi devono trovare la chiave, che è quella di trarre soddisfazione per quello che si fa fino al punto di affidarsi l’uno all’altro.
Si tenga conto che non esistono esercizi standardizzati per entrare in empatia con l’atleta, ma esiste la capacità del coach di adattare l’esercizio a seconda della situazione emotiva del giocatore. Attraverso semplici esercizi – come quelli elencati nel seguito – che vengono di routine proposti sui campi, l’allenatore deve saper leggere il “qui ed ora” dell’atleta e di conseguenza saper applicare tutte le varianti all’esercizio stesso per fare in modo che l’atleta si diverta, dia il massimo e rimanga soddisfatto.
a) Esercizio di riscaldamento – L’obiettivo è quello di lavorare sulla mobilità articolare, prima di iniziare il lavoro sul campo. L’atleta, con la racchetta in mano, è posto di fronte al coach il quale gli lancia la pallina: l’atleta deve colpire dapprima con la mano destra, successivamente passare la racchetta alla mano sinistra e colpire e così via dicendo. In alternativa l’atleta può ammortizzare la pallina con la racchetta per poi rilanciarla facendola prima passare intorno al proprio corpo controllando bene l’attrezzo. Nasce così l’intesa che consente di non far cadere la pallina.
b) Esercizio di reazione – L’obiettivo è quello di afferrare la pallina e rilanciarla per reagire rapidamente e in modo corretto agli stimoli. L’atleta è sempre posto di fronte al suo coach, il quale colpisce alternativamente la pallina con il dritto e con il rovescio e chiede all’atleta di imitare i propri movimenti, lavorando così sull’empatia corporea, solo dopo aver stoppato la pallina, ponendo attenzione alla rotazione e all’estensione lineare del braccio in entrambi i colpi.
c) Esercizio di coordinazione – Coach ed atleta sono posti su una stessa pedana con le racchette in mano: entrambi ruotano a 360° cercando di palleggiare senza sbagliare. L’obiettivo si raggiunge con dei piccoli spostamenti, attraverso una divertente complicità, sviluppando l’empatia tra allenatore e giocatore.
Fulvio Consoli è dottore in Scienze Sociali, coach GPTCA e membro scientifico della ISMCA. L’autore ha scritto “Un mondo in movimento” (2012) e numerosi altri articoli scientifici. Membro dello staff tecnico del Country Club di Cuneo.