Sta creando notevoli malumori la situazione di quei giocatori e quelle giocatrici costrette all’isolamento dopo che sui loro voli per Melbourne è stata accertata la presenza di qualche passeggero positivo. Attualmente sono 47 gli/le atleti/e che per i prossimi 14 giorni non potranno usufruire delle cinque “ore d’aria” per allenarsi (due in campo, due in palestra, una per mangiare e spostamenti), ma il numero è probabilmente destinato a salire.
Una prima (e più articolata) voce di lamento è stata levata da Marta Kostyuk che si è sfogata denunciando le difficoltà dovute all’isolamento, agli alloggi non soddisfacenti e proponendo alcune misure da adottare – a isolamento concluso – per non penalizzare troppo chi era sui voli incriminati. “Non possiamo fare niente poiché le autorità non ci concederanno mai di uscire. Sarebbe giusto se anche gli altri giocatori fossero in queste condizioni, ma un’iniziativa del genere dovrebbe partire da loro. Penso che ci saranno altri positivi sugli altri voli. Per quanto mi riguarda sono ancora in attesa del risultato del mio test e così anche altre ragazze.
Abbiamo anche bisogno di condizioni più confortevoli per stare in un isolamento così rigido. Il Wi-fi non è così buono e alcune ragazze nemmeno lo hanno. Stare da sole è una tortura e non possiamo nemmeno chiamare i nostri coach. Inoltre abbiamo anche bisogno di tapis roulant e cyclette. Non ne avevo fatto richiesta prima di partire perché non pensavo che sarei rimasta in stanza per tutto il tempo.
Una volta terminato l’isolamento dovremmo avere un accesso prioritario per gli allenamenti in modo da usare quei giorni per prepararci al meglio, anche se è ovvio che una buona preparazione non sarà possibile in così poco tempo. Infine gli organizzatori dovrebbero programmare i nostri match il più tardi possibile. So benissimo che sarà estremamente difficile esaudire tutti questi desideri“.
Sorana Cirstea, anch’essa costretta all’isolamento, specifica che il problema non risiede tanto nel dover stare 14 giorni in camera a guardare Netflix (“quello è un sogno, una vacanza addirittura“, scherza su Twitter), quanto nel dover competere dopo due settimane di inattività pressoché totale. Certo passare quattordici giorni chiusi in una camera può non essere particolarmente affascinante, soprattutto se si è costretti a condividere gli spazi con qualche coinquilino indesiderato. Chiedere alla povera Yulia Putintseva che ha avuto qualche problema con un topolino…
Il vitto è un altro elemento dell’ospitalità australiana che è stato preso di mira dai giocatori nelle ultime ore. Fabio Fognini, Corentin Moutet e Pablo Carreno-Busta hanno postato foto di piatti scarsi nella quantità (e, a occhio, anche nella qualità), mentre il buon Benoit Paire con la solita simpatia ha pubblicato la foto di una bella busta di McDonald’s. Non proprio dieta da atleta, ma Benoit è Benoit…
Polemiche culinarie a parte, il vero nodo gordiano da sciogliere è quello della disparità di trattamento dei quarantenati. Kirsten Flipkens, che viceversa non si trovava su uno dei voli di cui sopra, ha tenuto a esprimere la propria opinione sulla questione, lanciando addirittura l’ipotesi di far fermare anche gli altri per non svantaggiare nessuno. “Credo sia giusto dire che o tutti stanno in quarantena (probabilmente intendeva “isolamento”, la quarantena la fanno tutti, ndr) per due settimane oppure l’Australian Open deve essere posticipato di una settimana. Due settimane in una stanza d’albergo senza nessun allenamento per questi giocatori è una misura senza senso“.
La proposta ha un senso: o tutti i negativi si possono allenare o nessuno può farlo, soprattutto alla luce del bassissimo numero di contagi finora registrati sugli aerei. Il Journal of Travel Medicine ha infatti pubblicato uno studio peer-reviewed (ovvero valutato da altri esperti del settore prima della pubblicazione) secondo il quale i casi legati a voli nel 2020 sono stati 44 (comprensivi di casi accertati, probabili e potenziali) a fronte di una mole di passeggeri che ammonta a 1,2 miliardi di individui. La media sarebbe dunque di un caso ogni 27 milioni di passeggeri.
Val la pena inoltre sottolineare che in uno dei documenti diramati da Tennis Australia, ai giocatori era stato suggerito di adottare tutte le precauzioni durante il volo (mascherine, opportune igienizzazioni) per evitare di essere classificati come contatti stretti di un eventuale positivo a bordo. Ipotizzando che i giocatori abbiano rispettato i protocolli suggeriti, non è stato sufficiente neanche questo.
CONCLUSIONI – Tirando le somme, è chiaro che una qualche soluzione vada trovata. Come dice giustamente Cirstea il punto non è l’isolamento in sé. Che dei giocatori professionisti, appartenenti indubbiamente a una categoria di “privilegiati”, si lamentino di dover passare 15 giorni in albergo quando fuori il mondo è in lockdown più o meno intenso da quasi un anno, può far storcere il naso a molti. La schiera di chi è contrario allo svolgimento di questo torneo, peraltro, in Australia è molto nutrita.
Sono invece indubbiamente giuste le rimostranze circa la regolarità del torneo: 47 giocatori e giocatrici coinvolti/e sono in effetti un numero tutt’altro che trascurabile. Questa asimmetria va ad aggiungersi a quella generata dalla quarantena ‘diversa’ dei top player, che come sappiamo trascorreranno le due settimane di isolamento ad Adelaide in condizioni apparentemente meno rigide rispetto a quelle imposte ai giocatori atterrati a Melbourne. Alla luce di queste considerazioni, garantire a tutti pari opportunità di allenarsi e poter competere dovrebbe pertanto essere nelle priorità degli organizzatori australiani, che forse dovranno rivedere un po’ il loro approccio.