A John McEnroe non dispiaceva valicare l’odiato confine del regolamento, nemmeno troppo saltuariamente. La stragrande maggioranza delle volte McGenius se l’è cavata con sanzioni minime, o comunque non tali da pregiudicare il suo virtuoso percorso in una prova di una certa rilevanza. L’occasione per superare ogni limite, con bastonata disciplinare annessa, è comunque stata dietro l’angolo per tutta la carriera del visionario mancino da New York, e quell’angolo, un giovedì di trentuno anni fa a Melbourne, John infine lo svoltò.
Correva l’ottavo di finale contro Mikael Pernfors, uno svedese che quattro anni prima aveva giocato la finale del Roland Garros. Due set a uno per McEnroe, tre a due per l’altro al quarto, parità. John approcciò largo un attacco di dritto spedendo Pernfors a palla break, e lanciò la racchetta sul cemento, non necessariamente appoggiandola. Il campione aveva già subito un warning per atteggiamenti poco commendevoli nei confronti di un giudice di linea, esponendosi alla sanzione di secondo grado: penalty point, che sul vantaggio esterno significava break Pernfors.
Ne seguì un prevedibilissimo alterco con il giudice di sedia Gerry Armstrong, il quale, impossibilitato a ridurre il giocatore ribelle a più miti consigli, riparò dal supervisor Ken Farrar, personaggio la cui autorità era impressa nel baffo naturale portato con disinvoltura, ma incline a condurre in porto i match senza piazzate melodrammatiche. “Non ho rotto la racchetta, l’ho solo scheggiata e, per dimostrarvelo, continuerò a giocare con la stessa“, furono le parole scelte da McEnroe per la traballante difesa. Nulla da fare, penalità confermata dal tandem Armstrong/Farrar e quinto set all’orizzonte ai quarantacinque gradi di Melbourne Park.
Bisogna considerare che prima del 1990 i giocatori erano esposti a quattro livelli di sanzione a severità crescente: warning, penalty point, penalty game ed espulsione. Proprio a partire da quell’anno il passaggio del penalty game fu cancellato, e la terza ammonizione avrebbe significato sconfitta a tavolino. John ignorava la riforma e, vistosi spalle al muro, fece orecchie da mercante all’ennesimo “let’s play” comandato da Farrar. Sicuro di potersi giocare ancora due penalità, e sempre convinto che una bella sfuriata gratuita fosse l’impareggiabile panacea di tutti i mali, John ritenne di consigliare al supervisor un’avventura sessuale implicante la presenza della di lui madre.
“Gravi offese verbali e oscenità udibili, signor McEnroe“: penalità, la terza. “Game, set and match Pernfors“, l’ineludibile sentenza sbattuta in faccia all’allibito John, che venne espulso dal torneo. L’unico predecessore cacciato per cattiva condotta in un Major si chiamava Willie Alvarez, spagnolo di nascita colombiana allontanato per gravi intemperanze dal Roland Garros 1963. Qualche anno dopo, nella sua autobiografia, la leggenda abbozzò: “Pronunciai solo una piccola parola di quattro lettere, e se avessi saputo della nuova norma forse mi sarei contenuto. Ogni tanto in carriera sono uscito dai binari, ma ho sempre avuto chiara la situazione in cui mi trovavo“. Non il 21 gennaio 1990, sotto il solleone di Melbourne.