[25] K. Muchova b. [1] A. Barty 1-6 6-3 6-2
Il modo in cui un semplice medical timeout di pochi minuti ha finito per stravolgere l’equilibrio della sfida tra Karolina Muchova e Ashleigh Barty, finendo per provocare l’estromissione di quest’ultima dal torneo, è il manifesto del perché si utilizzi ancora l’abusata formula ‘sport del diavolo’ applicata al tennis.
Barty era avanti di un set e di un break, in totale controllo al cospetto di un’avversaria fallosa e a quanto pare anche debilitata. Dopo l’MTO è iniziata un’altra partita, dominata da Muchova con anche una certe dose di spettacolo e di bei colpi a supporto. “Ho cercato di giocare scambi più brevi, perché gli scambi lunghi del primo set mi stavano creando problemi” ha detto Karolina a fine partita, poco dopo aver trovato ristoro grazie a una borsa del ghiaccio sul capo e aver confermato di essersi sentita priva di energie al termine del primo set, quando ha chiesto il supporto medico. Alla sua seconda presenza in un quarto Slam (dopo Wimbledon 2019) va dunque a segno e farà il suo esordio tra le prime quattro. Grazie a una vittoria che dopo una decina di game sembrava quasi impossibile.
IL MATCH
La partenza ad handicap di Muchova è la stessa degli ottavi contro Mertens, con la differenza che dall’altra parte della rete c’è la numero uno del mondo. Un’avversaria completamente diversa, oltre che di ben altro spessore, abituata a comandare lo scambio con servizio e dritto e ad addormentarlo col back di rovescio, quando è necessario.
La verità è che ad Ash non serve fare nulla di particolare per andare in vantaggio 5-0. Il primo break è frutto di una serie di risposte bloccate che mandano in confusione i colpi di rimbalzi di Muchova, in occasione del secondo la giocatrice ceca fa più o meno tutto da sola mentre il conteggio degli errori gratuiti s’avvia pericolosamente verso la doppia cifra. Il primo punto del quinto game è addirittura un passante di rovescio vincente in top di Barty – una mezza rarità, considerando la fragilità dell’esecuzione bimane dell’australiana. Proprio un paio di imprecisioni di Barty con il colpo coperto consentono a Muchova di vincere il primo game. Non si ripete però la rimonta miracolosa del match precedente: Muchova continua a trovare il campo con scarsa regolarità (a volte fallendo il target di metri) e a faticare in risposta, curiosamente più contro la seconda che contro la prima. Barty suggella il game del 6-1 con un gran passante di dritto e la partita sembra segnata.
La sensazione si rafforza dopo i tre orrori che costano a Muchova il break in avvio di secondo set: doppia stecca nello stesso punto (volée e dritto), doppio fallo e uno sventaglio fuori di svariati metri. Barty va 2-0, la ceca tiene finalmente un game di servizio in modo convincente ma prima che la numero uno del mondo possa andare a servire sul 2-1, Muchova chiede e ottiene un medical timeout. Non sembra infortunata, ma più che altro accusare un calo di pressione: le viene misurata la febbre e poi esce dal campo per qualche minuto. Le era successo qualcosa di simile anche nella sfida contro Kenin del WTA Elite Trophy 2019, partita poi vinta tra sofferenze e patimenti.
L’evento risulterà essere anche questa volta una vera e proprio catarsi. Da un lato Muchova torna in campo più convinta, dall’altro Barty perde il controllo della partita. Due dritti a metà rete valgono l’immediato contro-break, ma il peggio per l’australiana deve ancora arrivare. Soprattutto perché a questo punto la ceca si mette a giocare per davvero, prende la rete con regolarità e inizia a dare un senso alla presenza dei bizzarri applausi finti che vengono messi in play alla fine del punto (ricordiamo che gli spalti sono ancora vuoti). Dopo un game comodo al servizio per Muchova, ce ne sono quattro di fila con grosse ambasce per chi serve.
Il più divertente (per i telespettatori notturni e per Muchova) è il settimo, nel quale la ceca è costretta a difendere una palla break con la seconda e a tirare una sfilza di smash, tutti stoicamente respinti da Barty, prima di chiudere con un dritto assai coraggioso. Il meno divertente per Barty è l’ottavo, perché nonostante la sua avversaria la grazi con una leggerezza sotto rete a campo praticamente libero alla fine il break arriva, alla quarta occasione del game. Ormai padrona dal campo, più sicura negli schemi di pressione sia da fondocampo che in proiezione offensiva, Muchova tiene il servizio a zero e porta il match al terzo.
Anche nel parziale decisivo arriva subito un break, e a questo punto non è difficile immaginare chi sia a portarsi in vantaggio. La partita è decisamente cambiata, Barty non riceve più regali dalla sua avversaria e dà la sensazione di non avere più un piano concreto per fare il punto. Muchova invece sa sempre cosa fare, a volte la palla sta dentro e a volte no, ma si gioca sempre alle sue condizioni. È incredibile la rapidità con cui la partita si è completamente capovolta ed è incredibile non riscontrare alcun cenno di reazione sul volto della numero uno del mondo. La sensazione che la partita sia finita arriva sul 40-40 del game successivo, quando Barty spedisce fuori un (inspiegabile) schiaffo al volo di dritto che le avrebbe fruttato una preziosa palla break. Muchova è brava a tenerle la testa sott’acqua, battendola anche sul territorio del pittino che di solito è favorevole a Barty. Un doppio nastro beffardo nel settimo game dà la mazzata finale ad Ash, che finisce sotto di due break e manda Muchova a servire per la prima semifinale Slam della sua carriera.
Qui il braccino dell’esordiente arriva e ha le fattezze di tre palle break da difendere. Karolina Muchova però è un’esordiente che gioca splendidamente bene a tennis, e quando deve salvare il game tira fuori soltanto perle – nello specifico due dritti vincenti e una volée di dritto così bassa che il cemento della Rod Laver Arena la inghiottisce prima che Barty possa provare a ribattere. Un ace cancella ogni paura e la 25° testa di serie, alla terza partecipazione all’Australian Open, estromette la più forte giocatrice del mondo – secondo il computer WTA – e approda in semifinale. Troverà una statunitense, Pegula o Brady, e forse giocherà persino da favorita. Dopo aver vinto una partita che ricorderà per tutta la vita.