Conclusa la trasferta australiana, la scorsa settimana si è tornati a giocare tornei nell’emisfero nord: il WTA 250 a Lione e il WTA 500 a Doha. In Qatar ha vinto per la seconda volta in carriera Petra Kvitova, che ha quindi migliorato il risultato del 2020, quando aveva perso la finale contro Aryna Sabalenka. Con questo successo Kvitova torna a conquistare un torneo dal 2019: infatti lo scorso anno non aveva vinto alcun titolo (prima stagione senza successi dal 2010), anche a causa del calendario ridotto.
Si è scritto ormai tantissimo su Petra, giocatrice da molte stagioni fra le protagoniste del circuito, che ha compiuto esattamente questo lunedì (8 marzo) 31 anni. Ecco perché in questa occasione più che affrontare in generale l’andamento del suo torneo, preferisco concentrarmi su un paio di aspetti specifici, lontani fra loro.
Mi sento di entrare più nel dettaglio perché, da kvitoviano di lunga data, penso di conoscere Petra abbastanza in profondità. Fino a che punto? Da quando si è affermata a livelli medio-alti ho seguito gran parte dei suoi match, in diretta o differita. Dato che negli ultimi dieci anni Kvitova ha disputato 550 partite ufficiali, si può dedurre quante partite siano all’incirca.
Non fosse che per una pura ragione quantitativa, sulla scorta di questa esperienza credo di avere capito qualcosa su Petra… Al punto che ormai intuisco in anticipo, per esempio, quando sta per commettere un doppio fallo. No, non sono diventato un mago, ma ho imparato a riconoscere certi “pattern” agonistici e psicologici, oltre che fisici, che fatalmente emergono ricorrenti durante le sue partite.
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