Le scelte tattiche di Petra Kvitova
Siamo abituati ad associare l’intelligenza tattica a un tipo di tennis costruito su scambi lunghi ed elaborati. Naturalmente non è una idea sbagliata, anzi, ma se la interpretiamo come una regola rigida, senza alternative, rischiamo di trasformarla in un luogo comune fuorviante.
Prendiamo il caso di Petra Kvitova. Sono convinto sia una giocatrice piuttosto intelligente in campo, molto attenta alla costruzione del match; però Kvitova esprime queste doti compatibilmente con le proprie caratteristiche fisico-tecniche. Dunque l’analisi va fatta partendo dalle sue specificità.
Per chi, come lei, è abituata a impostare i match su scambi brevi, spesso costruiti sull’uno-due, la strategia di una partita si sviluppa non solo all’interno del singolo quindici, ma ancora di più nell’accumularsi dei punti, cioè nella logica di continuità o variazione rispetto alle decisioni adottate nei punti precedenti. Mi rendo conto che è una prospettiva un po’ diversa rispetto all’idea della tennista “scacchista”, che tesse il singolo scambio come una ragnatela nella quale impigliare l’avversaria. Ma questo, evidentemente, non può essere un genere di tennis efficace per Petra.
Se si adotta una strategia decisamente di attacco, uno degli elementi fondamentali è il servizio. Quando Kvitova si è affermata sul circuito, era capace di battere oltre i 180 Km/h: non erano in tante a servire come lei, e già questo, unito alla pesantezza di palla nello scambio, bastava a fare la differenza contro molte avversarie.
Poi però negli anni le cose sono un po’ cambiate. A mio avviso il livello medio in WTA è cresciuto, sono aumentate le tenniste in grado di tirare forte, e oggi fra le prime cento del mondo la maggior parte riesce a reggere la potenza di Petra con maggiore sicurezza. In più la stessa Kvitova è leggermente scesa nella velocità della prima di servizio: forse perché ha perso un po’ di esplosività muscolare, o forse perché risente dell’infortunio ai legamenti della mano subito a fine 2016; fatto sta che oggi quasi mai supera i 175 Km/h con la prima.
Aggiungiamoci che non è stata capace di costruirsi un servizio in kick davvero incisivo, all’altezza del suo eccezionale slice, e abbiamo una situazione che nel tempo è diventata meno dominante sul piano strettamente tecnico. Eppure Petra è riuscita in parte a compensare questi limiti della battuta grazie alla intelligenza sul piano tattico, che si esprime soprattutto attraverso una scelta molto efficace delle direzioni di battuta.
Sicuramente il suo punto di forza, da mancina classica, è il servizio da sinistra slice a uscire. Partendo da questo vantaggio, Kvitova ha sviluppato tre soluzioni differenti. La prima: servizio a uscire + colpo vincente nello spazio di campo aperto; la seconda: servizio a uscire + contropiede sul movimento di chi sta rientrando verso il centro; la terza: il servizio vincente verso la T. Questa ultima soluzione naturalmente, non deriva da uno slice, ma diventa molto efficace proprio perché le avversarie devono preoccuparsi di coprire la traiettoria esterna, fatalmente concedendo spazio al centro.
Le cose sono però meno facili quando deve battere da destra. Per una mancina con un ottimo slice, sarebbe più semplice servire verso il centro piuttosto che esterno. Però per una tennista che ama accorciare lo scambio, i servizi a uscire sono più efficaci, perché tendono ad “aprire” di più il campo (per chi ha risposto, i metri da coprire sono di più), e questo facilita uno sviluppo più aggressivo del gioco.
Ecco perché per Kvitova la scelta tra servizio a uscire e quello verso il centro va dosata con molta cura. Andando fissa esterna, diventerebbe molto prevedibile. Andandoci poco, rischierebbe di dover scambiare troppo. Resta poi il servizio al corpo, che va adottato contro le giocatrici meno agili, o come soluzione a sorpresa rispetto alle direzioni prevalenti.
Ho fatto questo lungo preambolo perché nella finale di sabato scorso contro Muguruza (vinta 6-2, 6-1), Kvitova ha modificato le normali preferenze di servizio, aumentando in modo consistente il servizio al corpo da destra. In alcune fasi è arrivata a superare il 40%, un valore spropositato per le sue abitudini. Come mai?
Penso l’abbia fatto per due motivi. Il primo legato alla sua esperienza favorevole nei precedenti contro Garbiñe: una sola sconfitta nel loro primo match (del 2015), e poi 4 vittorie su 4 (diventate 5) negli ultimi incontri. Evidentemente Petra deve avere verificato che la sua battuta verso il corpo risulta più efficace contro Muguruza rispetto alla media delle avversarie.
Ma credo che la seconda ragione fosse che, nel corso del match, Petra si sia resa conto che colpiva la palla meglio della avversaria, e per una volta non doveva tanto preoccuparsi di chiudere in fretta lo scambio. Di fatto quando il palleggio si prolungava, anche solo giocando profondo al centro, gli errori non forzati di Muguruza erano più frequenti di quelli di Kvitova: a fine match 27 i gratuiti di Garbiñe, 18 di Petra. Partendo da queste basi, la scelta logica nella direzione del servizio diventava quindi abbastanza inusuale per le abitudini di Kvitova. Vale a dire: meno servizi a uscire e più soluzioni alternative, verso il centro o al corpo. La statistica finale dei servizi da destra è risultata questa: 21% a uscire, 39% al corpo, 39% al centro.
Due anni fa a Doha si era già disputata una finale tra Kvitova e Muguruza (vinta da Petra per 3-6, 6-3, 6-4). E curiosamente, proprio come sabato scorso, in semifinale Garbiñe era avanzata senza scendere in campo per forfait dell’avversaria (allora Halep). Ma se due anni fa era risultato un piccolo vantaggio, perché le aveva permesso di spendere meno energie in vista della finale, penso che in questa ultima occasione il forfait di Azarenka si sia trasformato in uno svantaggio per Muguruza. Da venerdì in poi, infatti, a Doha si è alzato un vento molto intenso, che richiedeva profondi aggiustamenti a seconda che si giocasse a destra o a sinistra rispetto al giudice di sedia.
Kvitova ha potuto adattarsi a queste condizioni durante il match di semifinale contro Pegula, arrivando pronta ad affrontare il vento della finale. Muguruza invece non ha sperimentato in semifinale le nuove condizioni, e secondo me ha patito le conseguenze nella partita decisiva.
Per esempio: Petra sapeva fin dall’inizio che giocando a destra del giudice di sedia la palla viaggiava di più, e bastava quasi appoggiarla per sfoderare colpi molto incisivi, perché il vento aggiungeva un notevole “boost” alla traiettoria. In certi frangenti sembrava quasi una accelerazione da videogioco, tanto era intensa. Per lo stesso motivo se non si stava molto attente a dosare la spinta, era facile che la palla finisse irrimediabilmente lunga.
Ebbene, durante la finale, Muguruza da quel lato di campo ha “sparato” lunghe parecchie palle di rovescio, il colpo sul quale normalmente è più forte e sicura. E, a pensarci bene, questo è del tutto comprensibile, perché è proprio sul colpo nel quale una giocatrice si sente più sicura che riduce i margini di sicurezza, forte del proprio controllo superiore. Ma a Doha la situazione era anomala, e l’andamento del match così repentino (nel giro di tre quarti d’ora la partita era compromessa) non ha lasciato a Garbiñe il tempo di introiettare le contromisure (6-2, 6-1).
Spero di non essere stato troppo noioso, ma era necessario per spiegare le ragioni per le quali Kvitova nella finale di Doha ha in parte abbandonato le proprie classiche direzioni di servizio, attuando con sagacia i cambiamenti necessari a indirizzare lo scambio nel modo a lei più vantaggioso in quella particolare situazione di gioco.
Lasciatemi chiudere con una piccola osservazione polemica. A volte sento liquidare le giocatrici contemporanee come “sparapalle”, senza intelligenza. A me invece viene da pensare che chi le definisce in questo modo, spesso non veda l’intelligenza in campo, semplicemente perché manca la capacità di individuarla.
a pagina 4: Clara Tauson