79 – Sono gli ace che Lloyd Harris ha centrato nei 19 set del lungo cammino che dalle qualificazioni lo ha portato a giocare la finale dell’ATP 500 di Dubai, dove è divenuto il primo tennista nella quasi trentennale storia del torneo degli Emirati Arabi a centrare un simile risultato partendo dalle quali. Del resto, anche l’unica finale che Harris aveva raccolto in precedenza nel circuito maggiore, l’anno scorso ad Adelaide (persa in finale contro Rublev) era arrivata accedendo nel main draw da qualificato e gli era valsa il precedente best career ranking di 72 ATP, piazzamento raggiunto anche con quanto fatto a Chengdu, dove nel settembre 2019 aveva raggiunto la semifinale, vincendo per la prima volta tre partite di fila nel circuito maggiore.
Una crescita lenta ma continua quella di Harris, che aveva continuato a manifestarsi alla ripresa del circuito dopo la pausa per pandemia da Covid-19: il sudafricano aveva raggiunto a Colonia e Anversa, rispettivamente per la terza e quarta volta in carriera, i quarti di finale a livello ATP (ovviamente, verrebbe da dire) sempre partendo dalle quali. La definitiva conferma dei miglioramenti compiuti è arrivata quasi due mesi fa, quando a Melbourne Harris per la prima volta ha raggiunto un terzo turno in un torneo dello Slam. Al 24enne tennista nato a Città del Capo, che eliminando Wawrinka a Doha (due settimane fa) ha centrato la prima vittoria contro un top 20, la finale a Dubai ha garantito un assegno di 110 mila dollari e 290 punti in più in classifica, che lo hanno fatto passare dalla 81° alla 52° posizione del ranking ATP – il balzo più grande tra i primi 100 la scorsa settimana.
E dire che per arrivare a un ottimo risultato come quello raggiunto negli Emirati, Harris per due volte ha dovuto recuperare pesanti situazioni di svantaggio. La prima si è verificata nel primo turno del main draw: dopo avere superato le quali e aver vinto facilmente su Basilashvili e Rola, Lloyd si è ritrovato indietro di un set e di un break contro Cristopher O’ Connell, 112 ATP, prima di avere la meglio facilmente al terzo. Nel match successivo è arrivata quella che sinora è la vittoria più importante della carriera, contro Dominic Thiem, al quale si è concesso il lusso di lasciare solo sette giochi. Una gioia la cui legittimità tecnica è stata poi confermata dalle successive ottime vittorie contro Kraijinovic e Nishikori. In semifinale, contro Shapovalov, 12 ATP, Harris ha poi centrato la seconda rimonta della settimana: sotto di un set e 2-4 nel secondo ha rimontato il canadese (che sino a quel momento aveva mantenuto tutti i 37 turni di servizio giocati nel torneo) per poi vincere, dopo quasi tre ore di partita, al tie-break del terzo set.
Nulla ha potuto contro Karatsev in finale, dove è stato sconfitto piuttosto nettamente, ma a 24 anni compiuti da poco e con una carriera tennistica ancora più breve di quanto faccia immaginare la sua età (ha deciso di dedicarsi esclusivamente al tennis solo verso i 15-16 anni), Harris può guardare con fiducia ai prossimi mesi e magari già a Miami potrebbe togliersi la soddisfazione di vincere la prima partita della carriera in un torneo della categoria Masters 1000.
427- È la posizione nel ranking ATP dell’avversario che poco più di un anno fa eliminava Aslan Karatsev dal Challenger di Bangalore. Il russo veniva sconfitto in quel torneo con un duplice 6-3 da Saketh Myneni, tennista classe ’87 che in carriera non ha mai vinto una partita nel circuito maggiore e che da gennaio 2019 solo una volta aveva sconfitto un top 200. Karatsev, nato a Vladikavkaz, capitale della Ossezia (regione caucasica confinante con la Georgia e visitata dai turisti russi per le belle montagne da cui è circondata) ha vissuto dai tre ai dodici anni in Israele, per poi continuare senza sosta a cambiare residenza. Negli scorsi anni il tennista russo si è infatti allenato tra Taganrog, Mosca, Halle e Barcellona, per poi stabilirsi negli ultimi anni a Minsk, dove ha incontrato il (quasi)coetaneo bielorusso Yahor Yatsyk, che gli fa da coach e al quale lo stesso Karatsev – nelle interviste di questi ultimi mesi – ha dato molta importanza nel processo che lo ha portato ad affermarsi a livello ATP.
Aslan, che tra gli junior non si era mai fatto particolarmente notare (la sua miglior classifica è stata 47) nel circuito maggiore si è fatto conoscere per la prima volta da ventenne nel settembre 2013, giocando in doppio con colui che per certi versi è stato il suo mentore, Dimitri Tursunov: assieme raggiungevano le semifinali all’ATP 250 di San Pietroburgo (e in quello stesso torneo, sfruttando una wild card, Karatsev impegnava fino al terzo set Youzhny, allora 20 ATP). Due anni dopo, nel 2015, Aslan coglieva quella che sino a novembre 2020 era rimasta l’unica sua vittoria nel circuito maggiore, superando proprio l’ex 8 ATP e attuale coach di Shapovalov, sconfitto nel primo turno del torneo di Mosca. Sino alla pausa del circuito dovuta alla pandemia per Covid-19, Karatsev aveva vinto solo sei volte contro top 100 (l’avversario sconfitto dalla miglior classifica era il nostro Simone Bolelli, allora top 70, che il russo superò nel challenger di Ortisei nel 2014) e in altre trentasette occasioni si era imposto su avversari tra la 101°e la 200° posizione. Aveva vinto un solo Challenger nelle cinque finali da lui disputate, arrivando al massimo alla 153° posizione del ranking ATP. Nulla di eccelso, pur presenziando con buona regolarità nel circuito minore: negli ultimi otto anni Karatsev ha sempre giocato una media di almeno cinquanta partite a stagione, ad eccezione del 2017, quando – infortunatosi durante gli allenamenti sostenuti in Spagna – è stato costretto ad operarsi al ginocchio, infortunio che ha causato la sua discesa fino alla 764° posizione del ranking.
Facendo attenzione al periodo che va da gennaio 2019 a febbraio 2020 – nel quale ha comunque guadagnato più di duecento posizioni, salendo dalla 484° alla 263° posizione – per rintracciare avvisaglie di quanto è poi riuscito a fare nel 2021, si scorge poco: una vittoria su Auger-Aliassime, allora 106 ATP, nel Challenger di Rennes; una semifinale al torneo della medesima categoria sulla terra di Sopot, superando il nostro Paolo Lorenzi; la vittoria su Hugo Dellien che era 75 ATP nell’aprile di due anni fa a Sarasota, e, infine, un successo su Vesely nel gennaio dello scorso anno sul cemento di Bangkok, dove arrivava in finale a tre anni e mezzo di distanza dall’ultima volta che era riuscito a spingersi così avanti. Molto poco, anche perché a questi barlumi di luce alternava, considerando solo gli ultimi mesi precedenti la sospensione del circuito momenti di profondo buio nel suo rendimento: basti ricordare le ben otto sconfitte contro tennisti non compresi nella top 250 ATP (e sei di questi non erano nemmeno tra i primi trecento al mondo).
Così, dopo una prima fase di carriera che aveva visto 256 vittorie e 192 sconfitte diluite tra i vari livelli del circuito, Aslan dalla fine della scorsa estate a oggi, pur avendo visto aumentare notevolmente il livello dei suoi avversari, ha vinto quarantuno match e ne ha persi solo otto. Partito ad agosto 2020 da 253 ATP, in Repubblica Ceca ha dato la prima importante svolta alla sua carriera: ha raggiunto la finale al primo Challenger di Praga (superando due top 100 come Vesely e Herbert e perdendo in finale contro Wawrinka) e vinto la settimana successiva il secondo challenger consecutivo giocato a Praga, per poi imporsi anche a Ostrava. Karatsev ha poi perso all’ultimo turno delle quali del Roland Garros da Korda, una delusione parzialmente riscattata dalla prima vittoria della carriera contro un top 50, Sandgren, ottenuta a San Pietroburgo, che però non è stata sufficiente per chiudere il 2020 tra i primi 100.
Il 2021 e i suoi risultati sono noti a tutti: a Melbourne è stato il primo qualificato dell’Era Open ad arrivare in semifinale in uno Slam (sconfiggendo tra gli altri Schwartzman, Auger Aliassime e Dimitrov), due settimane fa a Doha si era arreso in tre set a Thiem e con la vittoria del titolo a Dubai la settimana scorsa ha confermato che quello australiano non era un fuoco di paglia, mostrando anzi anche grandi dote di combattente, oltre che tecniche. Dopo essere stato in campo quasi due ore per liquidare Gerasimov con un duplice 6-4, per arrivare in finale ha impiegato ulteriori nove ore e venti minuti e ben dodici set per superare nell’ordine Evans, Sonego, Sinner e Rublev. Paradossalmente, l’unica partita “facile” è stata la finale, nella quale ha lasciato solo cinque giochi ad Harris, per guadagnare la vittoria del primo torneo nel circuito maggiore, un successo che lo ha proiettato al 27° posto del ranking ATP. Quando ci si chiede quanto conti la fiducia in se stessi nel rendimento di un tennista professionista, sarebbe bene ricordare la storia di Karatsev.