A 32 anni è crollato a n. 45 ATP, non gioca una finale da tre anni. Tante sconfitte, ma lui non si dà per vinto: “Ho ancora molto da dare. Lo voglio dimostrare nei prossimi tre o quattro anni”
Juan Martin Del Potro, Stan Wawrinka, Dominic Thiem, Marin Cilic. Questi quattro campioni così diversi tra loro hanno una cosa in comune: sono stati i soli in grado d’interrompere il dominio dei Fab 4 negli Slam dal Roland Garros del 2005 a oggi. Due di loro, Juan Martin Del Potro e Stan Wawrinka, hanno avuto gravi problemi al ginocchio e, mentre per l’argentino anche solo un ritorno a livelli competitivi sembra una chimera, Wawrinka pare non aver più la scintilla per tornare tra i primi dieci causa anche dell’età che avanza. Thiem, invece, è nel periodo migliore della carriera e, nonostante i consueti alti e bassi di un tipo di gioco ad alto dispendio fisico e mentale, rimane una delle minacce più serie per i Big Three negli Slam.
Il discorso è invece più complicato per Marin Cilic. Il croato occupa la posizione numero 45 del ranking, e la sua ultima apparizione dopo un Australian Open da dimenticare è stata nel torneo di Acapulco, dove ha rimediato una sonora lezione dalla giovane promessa americana Sebastian Korda. Ovviamente non è la singola sconfitta contro un giocatore meno quotato a far suonare il campanello d’allarme. A tutti i grandi campioni capitano alcuni tornei negativi nel corso di una stagione. Per quanto riguarda Marin, però, la sua carriera sembra semplicemente arrivata ad un punto morto. Il suo declino da tre anni a questa parte appare inesorabile. E adesso incrocia la strada di Lorenzo Musetti, al terzo turno del Miami Open.
IL MOMENTO DELLA SVOLTA
La vittoria dello US Open 2014 rimane per molti il livello più alto della sua carriera ma, in realtà, il miglior Marin in termini di costanza di rendimento si era visto durante il 2018, soprattutto prima di Wimbledon, che, ironia della sorte, rappresenta anche l’inizio della crisi. Proviamo a riavvolgere il nastro. Cilic si presenta a quell’edizione di Wimbledon da testa di serie numero 3. Ha appena vinto il secondo torneo più importante della carriera al Queen’s mettendo in fila specialisti dell’erba come Muller, Querrey, Kyrgios, e in finale Novak Djokovic, in ripresa dopo l’infortunio del 2017.
Ma più in generale la stagione del croato è stata decisamente positiva: finale al quinto persa contro Federer all’Australian Open, semifinale su terra battuta a Roma e quarti a Parigi battendo uno specialista come Fognini agli ottavi in uno dei migliori match mai giocati dal croato sul mattone tritato. Così, con Djokovic ancora in ripresa, Nadal con i soliti interrogativi sulle ginocchia, e Federer che sembra aver smarrito la freschezza del 2017, Marin si appresta, forte anche della finale dell’anno precedente, a essere considerato da molti il favorito. Inizia il torneo e batte in tre rapidi set il giapponese Yoshihito Nishioka, giocatore leggero ma dotato di traiettorie interessanti.
Al secondo turno affronta Guido Pella, uno specialista della terra battuta. Nei primi due parziali Marin è semplicemente ingiocabile. Altissima percentuale di prime in campo, fendenti di dritto e rovesci lungolinea che tolgono tempo all’argentino. Reattivo in risposta e sicuro dei propri mezzi. Dopo aver vinto agevolmente i primi due set mettendo in mostra un gran tennis arriva l’interruzione per pioggia. Il match è rinviato al giorno seguente. A posteriori si può affermare che questo momento è stato probabilmente il turning point della carriera di Cilic. Quando si torna in campo è l’ombra di sé stesso, gli errori si moltiplicano soprattutto dalla parte del diritto (colpo che nei momenti decisivi lo abbandona troppo spesso), arriva in ritardo sui colpi e appare demoralizzato. Dall’altra parte Pella sente l’odore del sangue e, galvanizzato, prende fiducia trascinando la partita al quinto.
Qui viene fuori una costante della carriera di Marin: la fragilità mentale. Quella fragilità che le statistiche non raccontano abbastanza. Perché, se da un lato ha un record in carriera al quinto set più che rispettabile di 33 vittorie e 17 sconfitte, allo stesso tempo ha perso un paio di brucianti match al quinto set nelle stagioni 2016-2017. Una di quelle sconfitte è arrivata proprio sul Centre Court contro Roger Federer ai quarti di finale due anni prima. Conduceva due set a zero e poi lentamente si è sciolto permettendo all’elvetico una rimonta insperata. Ma la più dolorosa rimane la sconfitta con Del Potro in finale di Davis a Zagabria nel 2016, dopo essere arrivato a un solo set da una storica insalatiera. Così probabilmente i vecchi fantasmi riemergono e, in un lungo ed estenuante quinto set, Pella ha la meglio per 7-5. Rimonta completata, e inizio dell’incubo per Marin Cilic: “Avevo giocato molto bene il primo giorno del match”, dirà poi il croato alludendo alla prima parte della partita. “È una grande delusione per me perdere in questo modo, soprattutto per come avevo giocato nelle scorse settimane“, aggiungerà sconsolato.
Anche Boris Becker, commentatore per la BBC in quel torneo, dirà che è senza parole per la sconfitta di Cilic. Pella dopo la sua prima vittoria in carriera contro un Top 5 ammetterà: “Non c’era niente che potessi fare prima della sospensione, stava giocando troppo bene. La pioggia mi ha aiutato molto”. Qualcosa da quel giorno per Cilic cambia. L’occasione di vincere il secondo Slam della carriera è svanita, forse per sempre. I Fab Four non erano al meglio e la nuova generazione troppo giovane e inesperta per competere su erba al meglio dei cinque set. A dire il vero il croato gioca un buon tennis sulla stagione estiva sul cemento americano, anche se la batosta mentale di Wimbledon si fa ancora sentire. A Toronto, ai quarti di finale, domina Nadal per un set per poi calare nel secondo e tremare nel terzo – una costante, si direbbe. Allo US Open arriva tra i migliori otto per arrendersi, in un match non entusiasmante, a Nishikori. Il livello con cui si era presentato sull’erba londinese pare già lontano.
GLI ANNI DEL DECLINO
Il 2018 rimane comunque un successo per Cilic, la sua miglior stagione per continuità. Ha raggiunto quarti in tre dei quattro Slam disputati e a livello 1000 ha fatto tre quarti e due semifinali, senza dimenticare la vittoria della Coppa Davis contro la Francia in cui ha sconfitto Lucas Pouille nel match decisivo, prendendosi una parziale rivincita dopo la cocente delusione di due anni prima. A fine 2018, però, emergono i primi problemi al ginocchio che lo condizionano pesantemente nella sconfitta agli ottavi contro Bautista Agut dell’Australian Open 2019: “Ho cominciato a sentire fastidi la scorsa stagione”, dirà Cilic, “ma durante il duro match contro Verdasco di secondo turno la situazione è peggiorata e contro Bautista ho pensato di ritirarmi“.
Il 2019 si rivela una stagione disastrosa, primo anno dal 2015 senza vittorie contro Top 10 e, dopo l’ennesima sconfitta prematura contro Albot a Cincinnati, Cilic esce dai Top 20 per la prima volta da giugno 2014. Finisce la stagione dando forfait per le finali di Coppa Davis per i soliti problemi al ginocchio e, per la prima volta dal 2007, senza un titolo in bacheca. La posizione in classifica alla fine del 2019 è di N.39, uno scempio per colui che dal 2014 al 2018 aveva sempre finito tra i primi 15 e con ben quattro partecipazioni al master di fine anno. Ma, alla fine del 2019, ecco un piccolo spiraglio di luce apparire in fondo al tunnel. In un’intervista con i media a Zagabria Cilic dice di sentirsi finalmente libero dal dolore grazie a terapie di controllo al ginocchio destro: ”Il dolore che mi ha così pesantemente condizionato lo scorso anno è passato”, afferma.
In effetti all’inizio del 2020 qualcosa pare essere cambiato. All’Australian Open, al terzo turno, si prende una bella rivincita al quinto con Roberto Bautista Agut. Nessuno si faccia illusioni. La continuità del passato è un ricordo lontano. Dal dopo lockdown all’Australian Open 2021 fino a Miami ha vinto solo sei partite perdendone ben dieci, tra cui la clamorosa sconfitta all’ultimo torneo dell’anno a Sofia contro la giovane promessa ceca Jonas Forejtek, posizionato al numero 399 del ranking ATP.
Si può dire che da quella maledetta pausa per pioggia a Wimbledon 2018 per Marin sia iniziata un’inesorabile discesa. L’impressione è che i problemi al ginocchio lo abbiano condizionato maggiormente durante il 2019, mentre nell’ultimo anno e mezzo le difficoltà sono probabilmente di natura più mentale, anche perché la lunga pausa causata dall’interruzione del tour gli avrebbe dovuto dare tempo di sistemare gli acciacchi. A fine gennaio del 2020 è diventato padre di un bimbo che ha chiamato, curiosamente, Baldo. Il felice evento lo ha però forse distratto. Aveva detto che non si sarebbe ritirato fino a quando non si fosse reso conto di non essere più competitivo nei tornei più importanti. Però Marin non raggiunge un quarto di finale Slam dallo US Open 2018.
Con il suo tennis, che cerca i vincenti con entrambi i fondamentali, Marin ha bisogno di essere al cento per cento sotto il profilo atletico e di mantenere sempre l’iniziativa. Non è altrettanto forte in difesa. Non ha un tennis troppo vario e quando finisce sotto pressione soprattutto il diritto diventa poco affidabile.
I NUMERI DI UN CALO
A Miami Marin ha vinto due partite di fila, con Coria e con Garin, forse dal fatto che i due sudamericani si trovano meglio sulla terra rossa piuttosto che sul cemento. C’è una statistica piuttosto interessante: è quella che si riferisce alla percentuale dei punti vinti in una partita. Nel triennio 2016-2018 e nel 2014 (anno dell’unico Slam vinto in carriera) la sua percentuale di punti vinti era vicina al 53%, mentre nelle ultime due stagioni si è fermato attorno al 50%. A prima vista, questa differenza potrebbe sembrare insignificante, ma la realtà è diversa.
Craig O Shannessey, noto statistico e stretto collaboratore di Novak Djokovic e Matteo Berrettini, ha spiegato come tra il 2015 e il 2019 sono stati solo sei i giocatori in grado di vincere più del 52 per cento dei punti. Tra loro figurano Djokovic, Nadal, Federer e Murray, che sono anche coloro che si sono accaparrati 18 dei 20 Slam disputati in questo arco di tempo. Djokovic, Nadal e Federer sono anche stati gli unici in grado di vincere il 54% dei punti giocati. Quindi Cilic nei suoi anni migliori era in grado di vincere quel 2% in più che fa tutta la differenza tra quel top player che era e il giocatore “normale“ che conosciamo oggi anche se nel tennis non conta tanto vincere più punti ma conquistare i più importanti.
Un altro dato interessante da analizzare se mettiamo a confronto i migliori anni di Cilic e le sue ultime due deludenti stagioni riguarda il servizio. Questo colpo all’inizio della sua carriera, nonostante i suoi 198 cm d’altezza, rappresentava un problema per Marin. Quando ha iniziato a collaborare con Goran Ivanisevic nel 2014, ha cercato di lavorare molto sul lancio di palla rendendo questo colpo meno prevedibile. Così il servizio è diventato un’arma e un metro per giudicare il suo rendimento generale. Se osserviamo la percentuale di punti vinti con la prima di servizio nell’arco di un anno vediamo come Cilic nel 2014, 2016, 2017 e 2018 sia stato estremamente costante vincendo tra il 79% e il 79.5% di punti con la prima, posizionandosi sempre fra i primi cinque in questa particolare statistica, mentre nel 2020 è sceso all’undicesimo posto con il 76.51%.
Nel biennio 2017 e 2018 anche i numeri di punti vinti con la seconda erano più che buoni visto che era in grado di vincere tra il 52.8% e il 53.6% quando la prima palla lo abbandonava. Nel 2020 ha vinto il 50.29% con la seconda, scivolando fuori dai primi 30 in questa classifica. Un altro dato importante per un giocatore che fa tanto affidamento al servizio è il numero di ace in una stagione. Tra il 2014 e il 2018 è sempre stato tra i primi otto per servizi vincenti con addirittura un quarto posto nell’anno del titolo a Flushing Meadows. Nel 2019 e 2020 invece oscilla tra la ventesima e la ventitreesima posizione. Questo calo l’ha portato, di conseguenza, a vincere meno game al servizio. Tra il 2016 e il 2018 si è aggiudicato tra l’85.14% e l’86.99% dei game in battuta risultando sempre tra i migliori otto in questo dato, mentre nel 2020 si trova al diciannovesimo posto con l’83%.
Questi dati sono un’altra conferma di quanto sia vero quello affermato da Craig O’Shannessey. Se guardiamo queste percentuali al servizio lì per lì e differenze tra le stagioni migliori e peggiori di Marin non sembrano così ampie. Ma se poi inseriamo quelle percentuali nelle classifiche che l’ATP fa ogni anno notiamo come un solo 3% di differenza costa a Cilic un crollo di venti posizioni in quella statistica. E, siccome in ogni aspetto il croato è più o meno peggiorato, ecco spiegata la sua attuale posizione in classifica. Risalta in queste statistiche la continuità di Federer, Nadal e Djokovic. I loro risultati sono praticamente gli stessi ogni anno. Per questa ragione sono al top da così tanti anni mentre giocatori come Cilic (che rimane un campione) hanno alcune stagioni al top per poi lentamente calare.
Nonostante i risultati e le statistiche gli stiano voltando le spalle da ormai troppo tempo, Marin continua a mostrarsi ottimista come dimostra una sua recente intervista prima del torneo di Singapore: ”Sento che posso ancora migliorare in tutto, al servizio, nei colpi da fondo, nel gioco di gambe. Sto cercando di dimenticare le ultime due stagioni e ritrovare la fiducia persa”. A questo proposito potrebbe rivelarsi una decisione saggia affidarsi a un super coach (la collaborazione con Ivanisevic fu molto fruttuosa sotto tutti i punti di vista) che gli dia una scossa, sia dal punto di vista tecnico (magari portando qualche novità nel suo gioco), sia dal punto di vista mentale, per tornare almeno vicino ai primi quindici.
Anche se dalle sue parole traspare fiducia, l’impressione è che tornare ai vertici del tennis mondiale non sarà per niente facile. Già Lorenzo Musetti, con i suoi rovesci lungolinea, con le sue smorzate, pur avendo un tennis per ora certo più leggero, potrebbe mettere in difficoltà un Cilic che non avesse pienamente recuperato dopo la vittoriosa battaglia (7-6 al terzo) sul cileno Garin testa di serie n.13. In termini di esperienza (e di peso di palla) non ci dovrebbe essere gara, e non ci sarebbe probabilmente stata con il Cilic dei bei tempi, ma l’agilità di Lorenzo, che non ha nulla da perdere ed è già n.90 virtuale, potrebbe fare la differenza.
Marco Lorenzoni