[31] A. Pavlyuchenkova b. [21] E. Rybakina 6-7(2) 6-2 9-7
L’incantesimo si è finalmente spezzato, l’incubo dissolto nel cielo azzurrissimo di Parigi. Anastasia Pavlyuchenkova entra nella final four del Roland Garros alla quattordicesima apparizione, a dieci anni di distanza dal primo quarto di finale in uno Slam giocato proprio al Bois de Boulogne e ceduto a Francesca Schiavone dopo aver subito una rimonta atroce e dolorosa. Da allora il fantasma si era costantemente materializzato al setaccio delle ultime otto: sei partecipazioni ai quarti in totale, sei sconfitte. Abbastanza per passare una notte di vigilia tormentata, ma è andata bene. Anche perché le angosce maggiori, quelle della prima grande chance della carriera, hanno infine nuociuto molto più al cannone dell’avversaria, amica e compagna di doppio Elena Rybakina, sul cui volto, negli ultimi istanti di match, non abbiamo potuto fare a meno di notare un certo qual smarrimento.
L’occasione era ghiotta per entrambe: in palio la prima semifinale in un torneo di quelli grossi, in uno spicchio di tabellone in teoria deputato alla sensazionale sfida tra la grande Serena Williams e Aryna Sabalenka, data in formissima. Percepibile, persino scusabile, la tensione che ha inzuppato il match in un mare di errori e tremolii, ma alla fine i nervi tesi hanno prodotto una sfida tirata come un elastico, aperta a qualsiasi epilogo sino all’ultimissimo colpo e dunque godibile, se non altro per l’incertezza sovrana.
Rybakina sta completando un processo di formazione interessante, solo rallentato dalle mille insidie dell’era pandemica: le quattro finali all’inizio del 2020 prima dello stop le hanno imposto un cambiamento di status, con tutte i vantaggi e gli svantaggi del caso. Adesso le colleghe la aspettano, ne conoscono i colpi pesanti e le attitudini fino a poco fa sorprendenti. La temono, anche, e Pavlyuchenkova non ha potuto far finta di nulla: nei quattro match giocati per raggiungere il secondo martedì parigino, la più giovane ha impiegato – e sprecato – molto meno di lei. Quattro partite, poco meno di quattro ore e mezza totali, incluso lo scalpo di Serenona: abbastanza per preoccuparsene.
In una corsa a tappe come quella sulla terra battuta di Parigi, perfettamente incastrata tra quelle in bicicletta d’Italia e Francia, l’economia d’energie può rappresentare un fattore determinante. Anche la fiducia, direte voi. Se Rybakina sin qui aveva impressionato, Anastasia non era stata da meno: alle passeggiate con McHale e Tomljanovic erano seguite due partite sì finite al terzo, ma che partite e che set decisivi aveva giocato per respingere il contingente bielorusso di Sabalenka e Azarenka! Insomma sarebbe stato difficile scegliere il cavallo vincente senza tirare la monetina, opinione peraltro condivisa dai sempre influenti quotisti, al solito indisponibili a regalare marenghi.
Pavlyuchenkova picchia forte, Rybakina pesta ancora di più.
Anastasia, irrigidita dal fardello rappresentato dal nefasto storico al terzultimo turno dei Major, ha iniziato incassando: l’altra, apparentemente più serena – “provo tumulti interiori che nemmeno riuscite a immaginare, solo mi riservo di non darli a vedere“, aveva detto in un’intervista vecchia ma non vecchissima – ne ha approfittato, giocando una prima parte di primo set immacolata, almeno fino al quattro a uno. Poi il servizio è calato, il braccio ha rallentato e gli errori hanno iniziato a piovere, specie dalla parte del dritto. Pavlyuchenkova è rientrata, un po’ meno cerea in volto, e ha portato la contesa al tie break, ultima parentesi del match giocata da Rybakina al meglio delle proprie possibilità correnti. Sette-due, un dominio, palla al centro con il Kazakistan in vantaggio.
Le perplessità notate dagli spettatori circa il gioco di Elena dopo i primi venti minuti di tiro a segno sono però diventate certezze nella seconda partita, sfuggita di mano alla ragazza molto più velocemente di quanto non avesse temuto. I suoi colpi, per carità pesantissimi, si sono a lungo rifiutati di entrare nel rettangolo, e quelli di rimessa, in assenza assoluta di rotazioni, si sono tramutati in assist piatti, lenti, facili prede dell’ormai rinfrancata russa, anche all’inizio del terzo set, inaugurato da un precoce break strappato a forza dalla (quasi, non me ne voglia) trentenne di Samara.
I fantasmi della grande chance sono a quel punto tornati a molestare Pavlyuchenkova, recuperata, innervosita, sfiancata dal contro-sorpasso di Rybakina, quest’ultima di nuovo simile alla miglior versione di sé per una decina di minuti di fuoco. Ma in volata l’antidoto al demonio che governa certe manifestazioni è più spesso alleato dell’esperienza che dell’incoscienza giovanile. E allora Rybakina, paonazza nel viso incorniciato dalla biondissima chioma, è retrocessa, incapace di cavalcare l’onda finale sul tre-due, trenta-zero e servizio. Volata, con l’aggravante, per la kazaka d’importazione, di dover servire per seconda. Anastasia è stata brava: a sfruttare la posizione di vantaggio on serve, a muoversi meglio in difesa nei punti cruciali, a giocare insomma con maggior raziocinio senza rinunciare a spingere. Elena si è salvata dal capitombolo nel precipizio sul cinque-sei e sul sei-sette, ma un crudele doppio fallo conclusivo l’ha condannata sul sette-otto alla delusione più cocente della verdissima carriera. Avrà molte altre occasioni, si presume: la prima già domani, nei quarti del tabellone di doppio, in coppia con Pavlyuchenkova, per sfilare la semifinale a Bernarda Pera e Magda Linette.
Per Anastasia sarà un fine settimana impegnativo: ha abbattuto il proprio personalissimo muro, e l’inattesa semifinale con Tamara Zidansek partorirà una finalista che nessuno avrebbe osato prevedere. La corsa potrebbe non essere ancora finita.