65 – il numero percentuale delle settimane in cui Novak Djokovic è stato in testa alla classifica da quando per la prima volta, il 4 luglio 2011, è divenuto numero 1 del ranking ATP. Circa dieci anni fa la graduatoria successiva al primo Wimbledon vinto da Nole – trofeo ottenuto superando Nadal nell’atto conclusivo – ha visto l’esordio in cima alla classifica del tennista nato a Belgrado. Da quel giorno ad oggi Djokovic è stato in vetta ben 325 delle 498 settimane (ovvero circa il 65,26%) in cui il circuito è stato attivo (non sono state considerate in tale calcolo le settimane in cui il ranking è stato congelato a causa della pandemia). Una percentuale che sembra anche destinata a essere incrementata nel corso delle prossime settimane, in virtù dell’attuale primo posto nella Race 2021 di Djokovic e degli oltre 2000 punti di vantaggio nella classifica ufficiale che Nole vanta sul secondo, Medvedev, e dei più di 3500 sul terzo, Nadal.
Il dominio del serbo nell’ultimo decennio si spiega anche con un piccolo approfondimento sui 60 Big Titles da lui vinti in carriera, un numero derivante dalla somma della vittoria di 19 Slam (uno in meno di Nadal e Federer), di cinque ATP Finals (solo il campione svizzero ne ha vinta una in più) e di 36 Masters 1000 (in tal senso è primo a pari merito con Rafa). Nella classifica che somma questa tipologia di tornei (in cui vengono conteggiati anche le vittorie in singolare ai Giochi Olimpici) Nole la scorsa domenica ha aumentato il suo vantaggio, staccando i 57 di Rafa Nadal e i 54 di Federer, grazie anche alla migliore percentuale (tra tutti i tennisti che hanno ottenuto risultati dopo il 1990) di vittorie rispetto al numero di partecipazioni, 198 (30,3 %).
Un dato fa però capire l’impronta del serbo nel tennis maschile dell’ultimo decennio: da gennaio 2011 Djokovic ha vinto 53 Big titles, contro i 29 di Nadal e i 16 di Federer. Anche un’altra circostanza testimonia quanto avvenuto nel circuito maschile negli ultimi dieci anni: Djokovic, che ha un bilancio favorevole negli scontri diretti con i suoi due più grandi rivali (30-28 con Nadal e 27-23 con Federer), considerando solo le partite giocate a partire da gennaio 2011 conduce molto più nettamente gli H2H con entrambi: lo score diventa 23-12 con lo spagnolo e 21-10 con lo svizzero. Una situazione che ha consentito a Djokovic di essere sinora l’unico tennista ad aver vinto due volte ciascun torneo della categoria Masters 1000 (Federer invece non si è mai imposto a Monte Carlo e a Roma, mentre Nadal non ha mai messo il suo nome sull’albo d’oro di Miami, Shanghai e Bercy) e di diventare il primo giocatore dell’Era Open ad aver quantomeno bissato il trionfo in ciascuna delle quattro prove del Grande Slam.
Con il suo secondo successo al Roland Garros il serbo ha trovato il modo migliore per sigillare la chiusura di tre anni per lui fantastici, iniziati dopo la crisi vissuta tra la seconda parte del 2017 (completamente saltata dopo Wimbledon, a causa dei dolori al gomito destro) e la prima metà del 2018 (durante la quale sino alla parte di stagione giocata sulla terra rossa europea era solo un lontano parente del campione conosciuto sino al 2016). Nel giugno di tre anni fa, per la prima volta dal 2006, Djokovic era così uscito dalla top 20 e molti osservatori lo davano in declino irreversibile, certi che non sarebbe tornato al rendimento che già gli aveva consentito di vincere 12 Slam, di diventare il primo tennista dai tempi di Rod Laver a essere contemporaneamente il campione in carica di tutti e quattro gli Slam e di permanere per 223 settimane come primo giocatore al mondo.
Da quel primo turno di Wimbledon del 2018, Nole ha invece portato a casa 160 vittorie nelle 182 partite giocate sino alla finale di domenica contro Tsitsipas, vincendone quindi l’87,9%. Il serbo ha anche trovato una condizione che gli ha consentito di vincere sette degli ultimi undici Slam giocati (solo Federer ha fatto meglio come predominio tecnico in un periodo lungo, vincendo dieci dei quattordici Slam da lui giocati tra Wimbledon 2004 e US Open 2007). Negli ultimi tre anni Nole ha anche vinto sei Masters 1000 e complessivamente ha messo in bacheca 17 trofei (il Roland Garros appena conquistato è stato il suo 84° titolo della carriera nel circuito maggiore, quinto in tal senso dietro a Connors con 109, Federer con 103, Lendl con 94 e Nadal con 88).
Grazie a questi risultati, dopo la grande crisi vissuta, si è ripreso lo scettro della classifica: con le 102 settimane trascorse da quando il 3 novembre 2018 è tornato a essere il primo giocatore al mondo (non si contano le 13 settimane di Nadal al numero 1 del ranking tra novembre 2019 e febbraio 2020 e quelle tra marzo e agosto dello scorso anno, nelle quali il ranking è stato congelato) è arrivato, come detto, a contare 325 settimane in cima al ranking ATP (il precedente record era di Federer con 311). Una serie di primati che sembra destinata a non interrompersi e, anzi, presto potrebbe aggiungersene uno nuovo e quanto mai prestigioso: il numero di stagioni terminate come numero 1 ATP.
Per ora Djokovic è in tal senso il migliore assieme a Pete Sampras (che terminò primo tra il 1993 e il 1998), ma Novak, dopo aver vinto i primi due Slam stagionali, aver fatto finale a Roma e aver vinto il torneo di casa, ha buonissime possibilità di essere il primo tennista della storia a chiudere sette annate come primo della classifica ATP. Quella di quest’anno si sommerebbe alle stagioni targate 2011, 2012, 2014, 2015, 2018 e 2020. Not too bad, come direbbe qualcuno di nostra conoscenza.