Sono passati meno di tre anni dalla prima finale giocata (e vinta) da Matteo Berrettini, sulla terra di Gstaad, e il tennista che nel luglio 2018 attendeva ancora di fare ancora il suo ingresso in top 50 è adesso un top 10 affermato. Sull’erba del Queen’s ha appena raggiunto la sua settima finale in carriera; ne ha già una per ogni categoria di tornei (Slam esclusi) ma non ancora una per ogni superficie, con un curioso zero alla voce cemento – quella che ci si attendeva si sarebbe riempita invece più rapidamente.
“Non so come mai” ha commentato Matteo dopo aver battuto de Minaur in semifinale con la medesima autorità dei turni precedenti (anzi, convincendo anche di più). “Però il risultato più importante della mia carriera, la semifinale dello US Open, l’ho fatto sul cemento. Quest’anno ho giocato la finale dell’ATP Cup, un evento un pochino diverso ma si giocava sul cemento. Non lo so, mi viene da pensare che il 2019 – una delle mie migliori annate – non è partito benissimo sul cemento australiano. Poi mi sono fatto male e non ho giocato Montreal, a Cincinnati ero ancora così così, poi c’è stato l’exploit dello US Open e la semifinale a Shanghai. Non lo so – ripete – la cosa importante è che sono competitivo su tutte le superfici“.
Quel che è certo è che Berrettini è già l’ottavo tennista italiano per numero di finali raggiunte a pari merito con Cancellotti e Furlan. Insegue Volandri e Gaudenzi, che ne hanno giocate due in più con un bilancio però piuttosto negativo (rispettivamente 2-7 e 3-6; Matteo invece è 4-2). E con due finali sull’erba insegue anche Seppi, l’unico italiano capace di giocarne tre; con tutto il rispetto per Andreas, un istituzione del tennis italiano, la sensazione è che il potenziale di Berrettini sui prati a lungo termine sia ben superiore.
“Ogni partita è andata meglio e ho preso più fiducia – questa è una superficie che ti perdona poco” dice Matteo, ricostruendo le vittorie contro Travaglia, Murray, Evans e de Minaur. Partite in cui ha reso meglio del previsto anche con il rovescio, sempre meno falloso partita dopo partita (10, 7, 5 e 5 il conteggio dei gratuiti dal lato sinistro nei quattro match). “Non so bene i dati ma credo di sbagliare di più con il dritto perché con quel colpo cerco di fare di più, prendo più rischi (28 a 27 sinora, non una gran differenza in realtà, ndr). Oggi credo di aver fatto un ottima prestazione con il rovescio e non mi sento debole da quel lato. Ovviamente se lo paragoniamo al dritto è molto diverso, ma anche perché penso di avere uno dei dritti più importanti del circuito; non si può avere tutto, altrimenti non sarei umano! In generale sono molto contento dei progressi che ho fatto e delle mie variazioni con il rovescio“.
Durante la conferenza sapeva già che avrebbe sfidato un mancino, ma non che sarebbe stato quello di minor prestigio – Norrie, che ha battuto a sorpresa Shapovalov e sarà il terzo britannico sul suo cammino. “Le rotazioni dei mancini, soprattutto al servizio, sono diverse. Sull’erba possono prendere gli angoli esterni e mandarmi fuori dal campo – che è una cosa abbastanza scomoda perché appunto prende il mio rovescio, mentre il destro tira lo slice esterno sul mio dritto”. Nulla per cui fasciarsi troppo la testa, ad ogni modo: “Ho giocato con diversi mancini in passati e di solito mi concentro sul mio tennis; ci sarà da cambiare qualcosa, ma su questa superficie meno pensi e meglio è. Se vai deciso non importa dove tiri, può essere vincente“.
Pur con una finale ATP da giocare, c’è chi gli chiede di volgere lo sguardo già a Wimbledon. Senza Nadal, con l’incognita Federer e gli altri top 10 che non possono certo dirsi maestri della superficie – solo Djokovic, Federer e Bautista hanno giocato i quarti ai Championships – Matteo ha il diritto di provare ad arrivare in fondo. “Sicuramente questo è l’obiettivo, ormai ho raggiunto un bagaglio d’esperienza e consapevolezza che mi fa iniziare le due settimane di uno Slam con grandi aspettative. Questa settimana è la prova ulteriore che sull’erba posso giocare molto bene. Mentirei se non dicessi che voglio spingermi in avanti a Wimbledon. Poi che sia difficile lo sappiamo tutti, ma le cose che stanno succedendo aiuteranno sicuramente“.
Le eventuali differenze tra l’erba del Queen’s e quella del più prestigioso circolo londinese non lo spaventano: “Non ho mai giocato qui e poi Wimbledon, quindi non so quanta differenza ci sarà – ma so che sono simili. Il mio servizio e le mie armi in generale non vengono influenzate più di tante dalla superficie, nel senso che gli ace si possono fare anche a Wimbledon e forse il fatto che sia un po’ più lenta come superficie mi aiuta in risposta“. Ci avreste creduto mai, appena tre anni fa? Un italiano tra i possibili outsider a Wimbledon, senza che ciò costituisca blasfemia.