Come possono cambiare rapidamente le cose e gli scenari nella vita. Tre anni e mezzo fa, in quel di Melbourne per l’Australian Open, Matteo Berrettini e Hubert Hurkacz si incontrarono nel secondo turno delle qualificazioni. Tra parentesi vinse Matteo 7-6(5) 6-3. I due si sono affrontati nuovamente, ma in un primo turno, a Miami 2019, e quella volta prevalse Hurkacz, 6-4 6-3… perché a Miami battere il polacco non è facile. Quest’anno non c’è riuscito nessuno e lui è stato il primo polacco a vincere un torneo Masters 1000.
Domani questi due ragazzi, 25 anni Matteo, 24 Hubert detto Hubi (ma con l’h eh!) si ritrovano a disputarsi una semifinale del torneo più prestigioso fra tutti, Wimbledon, per raggiungere una finale da sogno contro il vincente fra Djokovic e Shapovalov, con il serbo strafavorito e super candidato domenica a raggiungere i 20 Slam di Federer e Nadal. Per tutti e due, Matteo classe 1996 (12 aprile) e Hubert 10 mesi più giovane (febbraio 1997) significa riscrivere la storia del tennis nel proprio Paese comunque vada questo venerdì.
L’unico italiano che aveva giocato una semifinale nel tempio del tennis era stato Nicola Pietrangeli nel 1960, quindi otto anni prima dell’inizio dell’Era Open, e l’abbiamo scritto e ricordato fino alla nausea, mentre nessun polacco è stato mai capace di tanto dacché Clopton Wingfield inventò il tennis che visse la prima edizione di Wimbledon con i Championships del 1877.
“Mio padre ha 59 anni, non era neppure nato nel ’60, è del ’61, cioè dopo il risultato di Pietrangeli, accidenti sto scrivendo la storia e mi piace, ne sono fiero – ha detto subito Matteo con gli occhi che gli brillavano -. Non mi voglio fermare qui, ci proverò perché ci credo, ci avrei creduto indipendentemente dall’avversario in semifinale, Federer o Hurkacz. Non so cosa sia successo nel match che hanno giocato, salvo il risultato che avevo già visto sul campo e sul momento mi ha anche un po’ deconcentrato… ma mentre due anni fa con Federer pur sperando di vincere pensavo soprattutto a fare una bella partita (che non fece…), questa volta sapevo che Roger non poteva essere quello del 2019 e anch’io non ero più quello del 2019… quindi sarebbe stato diverso. Comunque oggi so che ho vinto senza giocare il mio miglior tennis”.
Poi Matteo ripassa in un attimo la storia degli ultimi due anni: “Non sono stati sempre momenti facili, fra Pandemia, infortuni un anno fa e quest’anno in Australia e tanta gente che metteva in dubbio le mie qualità, i miei meriti”. Raggiungendo le semifinali e battendo in 4 set Aliassime, n.19 del ranking ATP (il miglior classificato fin qui), Matteo ha fatto un passo in più rispetto al suo status di testa di serie n.7 che gli “prometteva” i quarti, Hurkacz due in più, visto che era testa di serie n.14.
Vincenzo Santopadre, coach e Pigmalione di Matteo, ha osservato ieri nell’intervista audio che mi ha reso pochi minuti dopo la vittoria del suo poulain sull’amico Felix Auger-Aliassime, che Matteo “giocherà anche questo sesto match da favorito… essendo lui il n.7 del seeding, con 120 giocatori sulla carta sarebbe sempre tenuto a vincere, quindi anche con Hurkacz”. In questo caso la carta è… l’erba. Laddove Matteo è reduce da 10 vittorie consecutive, perché ha vinto 5 partite al Queen’s e altre 5 all’All England Club. Tanto per cominciare è diventato member del Queen’s, come tutti coloro che hanno vinto quel torneo. E all’All England Club per ora è nel club dei last Eight (quello dei Last 4 non l’hanno ancora varato…) e potrà venire a Wimbledon vita natural durante avendo diritto anche a quattro biglietti l’anno per sé, familiari e amici. Oggi sembra una sciocchezza, ma se andate a chiederlo ai Last Eight di anni addietro, vi assicuro che lo considerano un grande privilegio.
Intanto grazie a questa seconda semifinale Slam – “La prima è la più bella perché più inattesa, la seconda magari la sogni con qualche fondamento in più, ma Wimbledon è Wimbledon, il sogno di tutti coloro che puntano a diventare giocatori di tennis” -, e alla contemporanea sconfitta di Roger Federer con Hurkacz, Matteo scavalca il campione svizzero nella classifica ATP, diventa n.8 mentre Roger che giocava il suo 58mo quarto di finale scivola a 9. Matteo nella Race verso Torino sale addirittura almeno a n.5 anche se dovesse perdere con Hurkacz che “è forte – dice Matteo che non può sapere che Hubi ha fatto solo 12 errori gratuiti in 3 set con Federer, sennò magari si spaventerebbe un pochino – ma su questi campi non è impossibile batterlo”.
Nella storia del tennis italiano i semifinalisti Slam sono stati nove, Matteo incluso. Nessuno in Australia, tutti a Parigi salvo Barazzutti che lo è stato anche a New York. Gli altri sono stati Nicola Pietrangeli (5 volte: Wimbledon ’60, Parigi ’59,’60,’61 e ’64), Adriano Panatta (3 volte a Parigi, ’73 ’75 e ’76 quando vinse), Giorgio De Stefani (a Parigi due volte, 1932 e 1934), Beppe Merlo (due a Parigi: 1955 e 1956), Corrado Barazzutti (a Parigi e a New York nel ’78), Hubert de Morpurgo (a Parigi 1930), Orlando Sirola (a Parigi 1960), Marco Cecchinato (Parigi 2018).
Tanta roba, quella messa su da Matteo. Una classifica meno importante, e tuttavia significativa, è quella che lo vede in testa alla classifica degli ace a Wimbledon, 77, sebbene ieri (12 a fine match) il servizio avesse tardato a carburare e verso la fine del secondo set ricordo di aver visto che Aliassime ne aveva fatti più di lui, 7 contro 5.
Mentre contro Ivaskha Matteo mi aveva entusiasmato per la facilità con cui aveva giocato anche i colpi più difficili, e mi ero lasciato andare a quel complimento sulle sue qualità di tocco che hanno scioccato un po’ i tifosi di John McEnroe, contro Aliassime Matteo mi è piaciuto per come ha potuto reagire a una giornata in cui invece non era granché ispirato, né particolarmente centrato. Si è anche innervosito, ad un certo punto quando ha perso il secondo set, ed è stato molto bravo a non perdere la testa quando si è trovato sotto 15-40 nel terzo game del terzo set. Lì ha sparato due prime di servizio da campione. Sì, perché fino a quel momento ne aveva messe dentro pochissime. E metterle a segno nei momenti che più contano è segno di classe, di talento, non solo di sangue freddo… tipo quello di Jorginho (eh sì, mi è rimasto impresso, l’avevo accennato anche ieri) che ha trasformato il rigore decisivo contro la Spagna facendo un mini-saltello prima del tiro e poi appoggiando delicatamente il pallone dall’altra parte rispetto a dove aveva fatto tuffare il portiere spagnolo, quasi fosse un tiro in allenamento.
Da quel momento in poi Matteo è diventato ingiocabile sui propri turni di servizio, e quando Felix sul 5 pari del terzo è piombato in una mini crisi, Matteo ha fatto 5 game di fila, è andato in fuga 7-5 e 3-0 e chi s’è visto s’è visto. Quindi ok sottolineare sempre la qualità dei servizi e dei dritti di Matteo, però essere così solidi di nervi da battere bene, anzi benissimo, match dopo match e senza tremare nei momenti più importanti di un match, vuole dire tanto, tantissimo.
Il tennis di Fognini è più divertente, più vario ed esplosivo? Certo che sì, però poi i passaggi a vuoto di Fognini hanno fatto sì che in 15 anni di carriera il ligure ha raggiunto un solo quarto di finale in uno Slam, al Roland Garros 10 anni fa, e invece Matteo può già vantare due semifinali in due Slam diversi (US Open 2019 e Wimbledon 2021… che non è finito) e un quarto di finale all’ultimo Roland Garros. E nel best ranking ATP gli è già passato davanti. Lui è salito a n.8 e fra i top 10 c’è da una sessantina di mesi, Fognini – che resta il miglior italiano dai tempi di Panatta – solo come una meteora. La forza mentale, la resilienza, nel tennis non contano meno di un bel rovescio.
Poi ci vuole anche il fisico. E il fisico, per quanto ci sia chi lo ha di natura in misura maggiore rispetto ad altri, va coltivato, allenato, migliorato continuamente. Quando il fisico non regge più, vuoi per gli infortuni, vuoi per l’età, vuoi per lo scarso allenamento (vero Kyrgios?) ecco che le magagne vengono a galla, come i nodi al pettine. Ieri sono venuti quelli di Roger Federer, così come l’altro giorno erano venuti quelli di Nick Kyrgios.
Due storie diverse, certo, ma con conclusioni non dissimili, perché a questi livelli chi non ha una condizione mostruosa prima o poi paga pegno. A 40 anni è già un miracolo aver visto Federer capace di raggiungere il terzo turno a Parigi e i quarti qua, grazie alla sua classe smisurata. Si sa che avrebbe voluto giocare di più da inizio anno, almeno una quindicina o una ventina di match, invece ne ha giocati appena nove. Troppo pochi per sperare nell’ennesimo miracolo, anche solo per raggiungere la 14ma semifinale a Wimbledon. I miracoli a lungo andare nel tennis non esistono. Ora Roger, che non sa ancora come interpretare le sconfitte patite con Aliassime a Halle e con Hurkacz sul Centre Court, ha detto che vuol concertare con il suo team (Ljubicic, Luthi e Paganini) il da farsi.
Non ha ancora sciolto la riserva sulla sua partecipazione a Tokyo, dove secondo i miei colleghi svizzeri, ha ben poca voglia di andare… senza Mirka, i gemelli, dovendo lottare con tutte le restrizioni dovute alla pandemia. Gli sponsor premono però… Vero è che, per via di tante assenze e di match sulla corta distanza dei due set su tre, forse ipotizzare un possibile successo a Tokyo è meno fuori luogo che all’US Open. “Sono triste in questo momento, ma mi sentirò meglio fra pochi giorni, il mio obiettivo è sempre stato di tornare a giocare ancora un torneo qui. Sono riuscito a farcela e di questo sono felice. È stata una strada lunga, molto più lunga di quella che mi aspettavo per il recupero, ma sono contento di averla fatta. L’obiettivo è giocare, non ritirarmi, magari essere qui per Wimbledon 2022 ma alla mia età non c’è nulla di certo”.
Ieri sera, ovviamente rattristato e soprattutto un po’ frastornato da quel 6-0 finale cui non era certo abituato – in uno Slam ne aveva patito uno solo a Parigi 2008 con Nadal e certo a Wimbledon sulla sua erba prediletta nessuno avrebbe mai potuto prevederlo – non se l’è sentita di sbilanciarsi. D’altra parte subito dopo una bruciante sconfitta per 3 set a zero, non era davvero il momento ideale per fare programmi o rilasciare dichiarazioni prive di… retromarcia.
Tornando a parlare del… nostro eroe, certo è un po’ un peccato che l’impresa storica già compiuta da Berrettini abbia avuto pochi testimoni. La pandemia e l’obbligo della quarantena ha tenuto tutti i giornalisti italiani della carta stampata a casa, salvo Paolo Rossi di Repubblica i cui 5 giorni scadono sabato, e quelli che venissero oggi o domani in teoria non potrebbero vederlo dal vivo. So solo che ieri, per il fatto che sul campo centrale giocava Federer con la possibilità che quella fosse anche l’ultima sua apparizione in un torneo vinto 8 volte in 19 partecipazioni, sul campo n.1 dove hanno giocato Matteo e Felix Auger Aliassime, per quasi tutta la partita siamo stati soltanto in due a occupare una tribuna stampa deserta: una giornalista irlandese che scrive per un’agenzia britannica e il sottoscritto.
Sugli spalti c’era abbastanza pubblico, 3.000 presenze forse, ma non di più. Il clima era buono, anche se per chi giocava c’era parecchio vento. Verso le 19 locali, qualche spettatore se ne è andato, per via dell’imminente semifinale fra Inghilterra e Danimarca. Uno spettatore, forse un tantino su di gomito, ha gridato ad un certo punto del terzo set “Com’on Denmark!”, chissà perché. Eppure non sembrava fosse danese. Forse era solo un “hater” degli inglesi. O un provocatore. Lo hanno zittito con una selva di “buuhh”. E non si è più fatto sentire.
Oggi sentirò il mio amico Thomasz Thomazezski, per farmi raccontare le reazioni in Polonia per l’exploit del loro tennista. Già lo sentii all’epoca della finale di Miami, prima che Hurkcacz battesse in modo abbastanza netto Jannik Sinner. Certamente i polacchi avevano riposto più attenzioni e speranze su Iga Swiatek (battuta dalla classe della Jabeur) che non su Hubert Hurkacz che tutti dipingono come un ragazzo super gentile e super beneducato, mai una parola fuori posto, mai stato forte fra gli junior, sbocciato in ritardo sulle superfici veloci grazie a un ottimo servizio e a un tennis aggressivo. Un po’ tutto come Matteo, direi.
Per il polacco l’aver giocato due match sul Centre Court, contro Medvedev e contro Federer, è un piccolo vantaggio nei confronti di Berrettini che invece non ci ha più giocato da quando affrontò anche lui Federer nel 2019… e non fu un gran bel ricordo (6-1 6-2 6-2). Peraltro il polacco ha giocato per tre giorni di fila (cinque set fra lunedì e martedì, tre set ieri) contro Medvedev e Federer, match sicuramente impegnativi mentalmente. E anche l’aver battuto l’idolo di gioventù Federer potrebbe avere un po’ destabilizzato, fiaccato psicologicamente un tipo tranquillo come il ragazzo di Wroclaw che ha sposato l’alimentazione vegana: “Affrontare Roger sull’erba non poteva essere un impegno da poco, anche mentale. Sono contento di come ho reagito nel secondo set quando mi sono trovato sotto 4-1…”.
A Stoccarda aveva perso al primo turno da uno svizzero rampante ma ancora poco conosciuto, Dominic Stricker, qui il polacco che quando tira forte chiude per un attimo gli occhi ha battuto lo svizzero più famoso del suo Paese dopo aver infilato uno dopo l’altro vittime di livello, a cominciare dal nostro Musetti che gli ha strappato un game più di Federer, per proseguire con Giron, Bublik, Medvedev e Roger. Un percorso tutto sommato più difficile di quello toccato a Berrettini. Romano de Roma, seppur tifoso della Fiorentina per via di nonno Berrettini che ha influenzato tutta la famiglia. E romano è anche Nicola Pietrangeli che non è per nulla geloso del record eguagliato: “Anzi, io spero proprio che lo batta. Magari vincesse tutte e due le partite che mancano”.
Intanto a Wimbledon non c’è un solo azzurro, Berrettini, in semifinale. Nel doppio c’è anche Simone Bolelli, in coppia con l’argentino Maximo Gonzalez. In semifinale i due troveranno Zeballos/Granollers.