È un tema ricorrente, di indubbio interesse, per i giocatori in primis ma anche per gli appassionati e gli addetti ai lavori. Nondimeno, pur avendo chi si schiera a favore e chi contro la sua “legalizzazione”, forse non è argomento abbastanza divisivo da far sì che le opposte legioni si accapiglino aumentandone la popolarità. Parliamo del coaching, quelle “istruzioni ai giocatori” (nella terminologia delle regole italiane) che gli allenatori impartiscono durante gli incontri. Ammesso nei tornei WTA (attualmente in prova la versione off-court, “dagli spalti”), continua a essere vietato nel Tour maschile e negli Slam.
Da una parte, coloro convinti che sapere cosa fare in campo, vale a dire adeguarsi in tempo reale all’avversario o a qualsiasi altra condizione o situazione non prevista prima dell’incontro, sia parte integrante del tennis. Quindi, se chi ha una un servizio debole non può farsi sostituire da Isner quando affronta una palla break, allo stesso modo chi non capisce cosa deve fare non dovrebbe poter approfittare di un aiuto esterno.
Dall’altra parte, una delle argomentazioni a favore della liberalizzazione è che “comunque esiste, lo fanno tutti, tanto vale accettarlo”. In un questo senso, il problema non è dissimile dall’MTO tattico: sono entrambi vietati dal regolamento, ma è piuttosto difficile sanzionarli – diciamo pure pressoché impossibile nel caso del finto infortunio. Ogni tanto capita invece di sentire l’arbitro annunciare la violazione del codice per coaching; tuttavia, per ogni comportamento illegittimo sanzionato, ne passano inosservati diverse decine.
Quello che lascia perplessi è che tra i sostenitori del liberi tutti ci sia uno dei giocatori che più spesso vengono colti sul fatto mentre ricevono le istruzioni dal coach. Cioè, non stupisce affatto, ovviamente, ma l’interesse fin troppo diretto ed esplicito tende un po’ a minarne le argomentazioni. Il tennista in questione è Stefanos Tsitsipas che su Twitter ha appunto rilanciato la proposta di permettere il coaching nel Tour.
“Il coaching su ogni punto dovrebbe essere permesso nel tennis. Lo sport ha bisogno di accoglierlo. Siamo probabilmente l’unico sport globale che non lo usa durante il gioco. Consentiamolo. È tempo che lo sport faccia un grosso passo avanti“.
Si è fatto sentire Nick Kyrgios, naturalmente alla sua maniera. La risposta del ventiseienne di Canberra al tweet greco lascia poco spazio alle interpretazioni: “Di solito non do importanza alle sue idee, ma questa è terribile”. Il battibecco è dichiarato ufficialmente iniziato. La replica di Stefanos è stata prontissima e quasi scontata: “Te lo trovo io un allenatore, non preoccuparti”. Sì, perché Kyrgios è stato più volte chiaro sull’argomento in passato, dicendosi “ormai troppo avanti nella carriera per avere un coach. Perché sono troppo convinto della mia maniera di fare le cose e non ho voglia di ascoltare nessuno che mi dia consigli”.
“Mi pareva di aver fatto bene anche senza contro di te” incalza allora Nick, riferendosi al 2-0 a proprio favore nelle sfide contro l’attuale quarto giocatore del mondo. “Ma il bello del tennis è andare là fuori da soli! Qualcuno sceglie di non avere un coach, qualcuno non può permetterselo. Sul campo da tennis, non ci devono essere vantaggi ingiusti. Penso che questa sia la bellezza dello sport”.
A proposito di questi vantaggi, quando Stefanos aveva scritto che “tutti hanno un coach, è abbordabile a questo livello. Parliamo di tennis professionistico (ATP e WTA Tour). Personalmente non ho mai affrontato un giocatore che non ne avesse uno a disposizione”, la tennista britannica Tara Moore, che gravita attorno al 150° posto del ranking, gli aveva fatto notare che almeno nel Tour WTA non proprio tutte le giocatrice possono permetterselo e che, anche se è vero che molte hanno un coach, magari non guadagnano abbastanza per portarselo in giro per il mondo.
Allunghiamo la parentesi di interventi “estranei” spostandoci su John Isner che, impegnato nel torneo di Los Cabos, si è ben guardato dall’intromettersi nella querelle, ma in conferenza stampa gli è stata chiesta un’opinione sulla proposta di Tsitsipas. “Credo che ci sia qualcosa di valido; sono però in disaccordo e lo dico come qualcuno che ha giocato quattro anni all’università con il coaching a ogni singolo punto. Penso che la parte fantastica del tennis sia proprio non averlo: è un elemento positivo che contraddistingue il tennis rispetto agli altri sport. Uno contro uno cercando di risolvere da solo i problemi è qualcosa di unico, quindi personalmente non amo quell’idea”.
Torniamo infine ai nostri due simpatici protagonisti, Stef e Nick, con il primo che, dopo aver concesso al secondo di aver detto il vero, non molla la presa: “Capisco le tue ragioni, ma lascia che ti ricordi che la maggior parte degli allenatori in effetti dà consigli nonostante le regole. Perché dovrebbe esserci una punizione per un coach che sente il bisogno di parlare o dare consigli?”. Certo, questa domanda retorica perde un po’ di valore dal momento che potrebbe essere utilizzata per giustificare qualsiasi comportamento, anche ben peggiore di un suggerimento come “ehi, ti sei accorto che è mancino? Il rovescio ce l’ha dall’altra parte”.
Lasciamo però l’ultima parola di questo botta e risposta a Kyrgios che conclude: “Non fraintendermi, voglio che tu vinca quasi sempre. Ma ciò non rende giusto che i giocatori vengano istruiti. Non sono d’accordo con te. Penso che dobbiamo cavarcela da soli e ricevere i consigli prima e dopo”.