60 – le partite vinte da Casper Ruud sulla terra battuta da gennaio 2019 ad oggi. Due anni e mezzo fa, appena ventenne, il norvegese non era ancora entrato in top 100 e si era fatto notare al grande pubblico solo per la semifinale raggiunta all’ATP 500 di Rio nel 2017. Era più conosciuto per essere il figlio di Christian, ex 39 ATP capace di arrivare in finale a Baastad nel 1995 e di raccogliere prestigiosi scalpi tennistici (l’allora n.4 del mondo Kafelnikov a Monte Carlo nel 1997, il n.3 Corretja agli Australian Open del 1999).
Da inizio 2019, invece, Casper ha iniziato una escalation che, grazie alle tredici semifinali raggiunte sul rosso – tra cui quelle a livello Masters 1000 centrate a Roma lo scorso settembre e a Monte Carlo e Madrid appena qualche mese fa – lo ha portato a chiudere la stagione 2020 al 27° posto, quella del suo primo trofeo nel circuito maggiore, ottenuto a Buenos Aires. Due mesi fa Ruud è poi entrato per la prima volta in top 20 sino a issarsi all’attuale 14°posto della classifica e a raggiungere la nona piazza della Race to Torino, in virtù dei punti garantiti dai titoli ATP 250 vinti a Ginevra a maggio e, nelle ultime due settimane, a Baastad e Gstaad, tornei nei quali il norvegese ha incontrato, nelle otto partite giocate complessivamente per vincerli, un solo top 50 – Benoit Paire.
Dalla prossima settimana – poiché Schwartzman perderà 125 punti del titolo vinto a Los Cabos nel 2019 – Ruud salirà con ogni probabilità al tredicesimo posto e, vincendo l’ultimo torneo sul rosso in programma nel calendario del circuito maggiore nel 2021 – l’ATP 250 di Kitzbuhel a cui è iscritto questa settimana – il norvegese potrebbe arrampicarsi sino al 12° posto. La grande continuità di rendimento e l’elevata preparazione psicofisica necessaria per giocare e vincere tante partite sono una indubbia qualità che va premiata, ma non dissipano i dubbi relativamente a un suo ulteriore e significativo miglioramento della posizione nel ranking. Innanzitutto perché – soprattutto in un circuito modificatosi negli ultimi anni riducendo il numero degli appuntamenti giocati sulla terra battuta – Ruud è uno dei pochi specialisti del rosso ad avere anche un buonissimo successo in classifica.
Per la tipologia di percorso compiuto e di provenienza dei punti in classifica, oltre al norvegese, nella fascia di classifica più prestigiosa e remunerativa troviamo infatti il solo Christian Garin: tra i top 20, lui e Ruud sono gli unici ad ottenere con percentuali bulgare dalla terra battuta la maggioranza dei loro punti (più in basso troviamo Ramos-Vinolas, Djere, Delbonis e Alcaraz).
Come si vede dalla tabella che abbiamo preparato, il cileno non a caso è al secondo posto assoluto nel circuito maggiore per vittorie sul rosso dal gennaio 2019, successi che gli hanno consentito di vincere ben cinque ATP 250 ai quali non sono seguiti, come invece accaduto per Ruud, buoni piazzamenti nei Masters 1000 giocati sulla terra, nei quali Garin vanta come miglior risultato un quarto di finale.
Tornando al tennista norvegese, per capire gli attuali dubbi sul suo attuale valore ad altissimi livelli è sufficiente visionarne il rendimento fuori dalla terra battuta: nelle venti occasioni nelle quali ha affrontato top 50 lontano dall’amato mattone tritato, ne ha vinte sole tre: una quest’anno contro Thompson (con l’australiano ritiratosi nel corso del match), e rispettivamente una con Fognini e Isner, entrambe in un torneo sempre particolare – perché inaugurale della stagione tennistica – come la ATP Cup nel 2020. Come se non bastasse, Ruud ancora non ha ancora centrato gli ottavi al Roland Garros e contro i top ten, se si esclude la bella vittoria ottenuta a maggio su Tsitsipas a Madrid, nemmeno sul rosso ha un bilancio brillante (3-6), mentre è davvero notevole quello che ha fatto a partire da gennaio 2019 contro i colleghi dalla 11° alla 20° posizione, sconfitti sulla sua superficie preferita in sei occasioni su sette.
A nemmeno 23 anni (li compirà il prossimo 22 dicembre) un completamento del suo bagaglio tecnico è però ancora possibile, come dimostra del resto l’evoluzione della carriera di Thiem, che all’età attuale di Ruud era 15 del mondo, aveva vinto quattro tornei sul rosso e iniziava a dare un segnale di potenzialità sul cemento centrando ad Acapulco la prima vittoria su questa superficie.
Esaminando il prospetto riepilogativo delle statistiche da noi raccolte, emerge del resto in maniera chiara come nella top ten il solo Tsitsipas, 4 ATP, abbia oltre il 40% dei punti in dote derivante da tornei giocati sulla terra battuta e che persino il più grande di sempre sul rosso, Nadal, abbia ottenuto circa il 52% degli 8270 punti che gli garantiscono il terzo posto in classifica sul cemento all’aperto. Questa è la condizione di gioco nella quale si giocano la maggioranza dei tornei (e, soprattutto, vi si disputano due Slam e ben cinque Masters 1000, ovvero buona parte degli appuntamenti che durante la stagione mettono in palio punti pesanti).
Gli attuali top 10, ad eccezione di Tsitsipas e del nostro Berrettini (che come ben sappiamo ha fatto benissimo sull’erba) traggono la più importante quota del punteggio che sostanzia la loro classifica dagli appuntamenti che si giocano sul duro outdoor. Al contrario, si può essere numeri due al mondo raccogliendo sul rosso meno dell’8% dei punti conquistati: lo conferma quanto sta accadendo a Medvedev, che negli ultimi due anni e mezzo sulla terra battuta ha vinto appena tredici delle ventitré partite da lui giocate, ricavando complessivi 780 punti, un bottino addirittura inferiore a quello ottenuto su questa superficie da uno specialista in ascesa, ma pur sempre fuori dalla top 50, come Alcaraz.
La difficoltà di emergere a grandi livelli in classifica raccogliendo risultati quasi esclusivamente sulla terra è dimostrata inequivocabilmente dall’analisi della provenienza dei punti dei tennisti presenti nella top 50 ATP. Oltre a Sonego e Davidovich Fokina, che pur avendo ottenuto la maggioranza dei loro punti sul rosso, hanno raggiunto risultati significativi anche su altre superfici, sono presenti (e comunque tutti oltre la quarantesima posizione) con percentuali di punteggi ottenuti su tornei giocati sul mattone tritato quasi “plebiscitarie” i soli Ramos, Delbonis (quest’ultimo tra l’altro senza avere mai raggiunto una finale dal 2019 in poi) e Djere. Questi ultimi tre tennisti, pur concentrando la programmazione sui tornei che si giocano sulla terra (da gennaio 2019 ,come fatto anche da Ruud e Garin, ne hanno giocato circa venticinque) non riescono a compiere il salto di qualità nel ranking. Nonostante abbiano ottenuto numerose vittorie e buoni (se non ottimi) piazzamenti nei tornei minori, non trovano la grande fama e ricchezza riservata ai migliori.
In virtù di quanto sinora osservato, per Garin e soprattutto Ruud, il quale sembra avere maggiori margini di crescita del cileno, arrivare e rimanere stabilmente nella top ten presuppone un salto di qualità del loro tennis sulle superfici diverse dal rosso mattone. Sembra estremamente difficile possano riproporsi i tempi in cui ancora negli anni Novanta erano grandi protagonisti terraioli puri, seppur fortissimi, come Bruguera (numero 3 ATP che ha vinto, fuori dalla terra battuta, solo il piccolo torneo di Bordeaux), ed esistevano vincitori del Roland Garros mai capaci di ottenere titoli su altre superfici, come Albert Costa (6 ATP, 12 titoli tutti sul rosso) e Gaudio. Soprattutto, era possibile per Berasategui e Mantilla – il livello attuale di Garin e Ruud è più simile a quello di questi ultimi due – arrivare sino alla top ten. Oggi sarebbe e sarà più difficile, salvo progressi importanti sul duro.