3. Le cadute di Barty e Osaka
Al di là delle mie ipotesi sulle condizioni di gioco, tutte da confermare, una cosa invece è certa: la numero 1 del mondo Ashleigh Barty, fresca reduce della vittoria di Wimbledon, non è proprio riuscita ad adattarsi al campo. E non so dire se perché queste specifiche condizioni le risultassero particolarmente indigeste, o semplicemente perché erano troppo differenti rispetto all’erba di Londra.
Sia come sia, Barty ha perso all’esordio contro una avversaria come Sara Sorribes Tormo che ha adottato una tattica semplice e chiara: si è limitata a tenere in gioco la palla indirizzandola verso il rovescio di Ashleigh. Ricavandone in cambio errori in quantità industriale. Questi i numeri del match: 6-4, 6-3 in 1 ora e 34 minuti. Diciannove game in totale, con 55 errori non forzati da parte di Barty. 55 errori distribuiti in 19 game significano 2,8 errori a game. Davvero troppo per pensare di sopravvivere contro una regolarista come Sorribes.
Ashleigh mi ha dato l’impressione di non “sentire” proprio la palla, soprattutto dalla parte del rovescio; non è riuscita a eseguire in modo accettabile né il colpo slice né quello in topspin. E così ha dovuto abbandonare la competizione di singolare cadendo al primo ostacolo. Si è consolata con la medaglia di bronzo nel doppio misto.
Ancora più di Barty era attesa Naomi Osaka: vincitrice degli ultimi due Slam sul cemento, tedofora finale nella cerimonia di apertura e figura di riferimento del tennis al femminile, visto che era anche la celebratissima giocatrice di casa. Osaka ha cominciato bene il torneo lasciando cinque game a Zhang e Golubic, ma si è bloccata al terzo turno, contro la futura finalista Marketa Vondrousova.
La mia impressione è che nella sconfitta di Osaka ci siano molti meriti di Vondrousova. Marketa ha interpretato benissimo le condizioni di gioco descritte nel capitolo precedente, condizioni che le hanno permesso di sviluppare scambi nei quali non ha quasi mai offerto due palle uguali alla avversaria. Soprattutto ha lavorato con grande intelligenza sulle variazioni di profondità delle parabole: non solo attraverso le sue apprezzate palle corte, ma soprattutto alternando soluzione più tese e lunghe ad altre più corte e strette dalla parte del dritto mancino; parabole arcuate che incrociavano sul rovescio di Osaka, spesso costringendola a colpire in avanzamento anche quando non lo avrebbe desiderato.
In pratica le continue variazioni da parte di Marketa hanno impedito a Naomi di trovare la corretta posizione di gioco sulla verticale. E credo che nel tennis non ci sia nulla di peggio che non riuscire a stabilire la corretta posizione sull’asse verticale del campo: significa non essere nella condizione di gettare le fondamenta da cui partire per sviluppare i propri schemi. In più Osaka non è mai riuscita a rispondere alla prima di servizio di Vondrousova: è parsa incapace di intuire la parabole mancine della avversaria, e la conseguenza è stato l’eccezionale 87% di punti vinti da Marketa con la prima di servizio (20 su 23).
Per certi aspetti le difficoltà di Naomi contro Vondrousova mi hanno ricordato quelle che aveva vissuto all’Australian Open 2019 contro Hsieh Su-Wei. Anche allora si era trovata di fronte una giocatrice non strapotente, però capace di variare come poche. A un certo punto, a Melbourne, Naomi si era trovata sotto 5-7, 1-4, prima di riuscire a trovare il bandolo della matassa fino a rovesciare il match chiudendo 5-7, 6-4, 6-1.
Questa volta però contro Vondrousova a Naomi non è bastata la parziale reazione nel secondo set per cambiare il destino del match (6-1, 6-4). In particolare la rapidità con cui ha perso il primo set (24 minuti) ha avuto una duplice, nefasta conseguenza. Da una parte non ha avuto il tempo necessario per comprendere le caratteristiche di una avversaria contro cui non aveva mai giocato e che faticava a decrittare. Dall’altra la rapidità del primo set l’ha subito messa di fronte allo spettro della eliminazione, rendendo insopportabile la grande pressione derivata dall’essere la figura di riferimento del Giappone alle Olimpiadi.
In preda all’ansia, contro una avversaria per lei indecifrabile, e senza nemmeno essere riuscita a trovare la posizione di gioco in campo: per Osaka la sconfitta è diventata l’unico epilogo possibile della partita.
Inaspettatamente, in una giornata per lei così negativa, è emerso un piccolo aspetto positivo: Naomi ha giocato bene nei pressi della rete, una zona di campo che nel passato l’aveva quasi sempre vista a disagio. L’esperienza però suggerisce di non considerare il rendimento nel gioco di volo di una sola partita come una prova certa di un cambiamento (sia in positivo che in negativo). In sostanza: saranno necessari altri match prima di rettificare il giudizio sulle qualità di Osaka “volleatrice”.
a pagina 4: La vincitrice Belinda Bencic