[5] J. Sinner b. S. Johnson 6-4 6-2
Continua la marcia in quel di Washington di Jannik Sinner che approda in semifinale regolando in due set uno Steve Johnson onestamente lontano da quello visto nei turni precedenti, ma diverso era pure il suo avversario odierno. Diverso anche dalla versione di sé (almeno giudicando i risultati) che abbiamo visto negli ultimi tre mesi. 20 vincenti e 13 gratuiti per Sinner in un match condotto con grande attenzione, con la prima battuta più frequentemente in campo nel secondo parziale ma sempre micidiale (27 punti su 29) e, anche più importante, sfoderata con estrema puntualità quelle poche volte in cui la situazione lo esigeva. Non che Jannik sia improvvisamente diventato John Isner, come del resto non era la versione maschile della nostra Sara fino al giorno prima; nel percorso che gli (e ci) auguriamo lo porti a sviluppare un’arma indispensabile, ancora per diverso tempo si troverà a fare i conti con giornate più o meno buone al servizio.
IL MATCH – Di Johnson sappiamo che gioca il rovescio a due mani perché c’è scritto sulla sua scheda ATP, ma sul campo ricorre quasi esclusivamente allo slice per cercare di procurarsi il tempo per girare attorno alla palla: giocare il maggior numero possibile di dritti è per lui imperativo. Stevie inizia in battuta e va in difficoltà già al terzo game, ma esce indenne dalle due palle break consecutive. Jannik, che pare non soffrire le rasoiate californiane, è bravo ad addomesticare una palla insidiosa sul 15-30 e al gioco successivo opera il sorpasso, con l’altro che ci mette del suo, dalla smorzata insensata in apertura al rovescio finale che galleggia oltre la linea di fondo, l’unico errore del set con quel colpo. La combinazione servizio-dritto-volée e la prima vincente con cui il teenager si presenta dopo il campo fanno scivolare senza problemi il game che consolida il break, mentre il 5-3 arriva dopo aver cancellato con grande autorevolezza la palla del pareggio con lo sventaglio dopo la battuta alla T. Johnson rimane in scia, ma Jannik è una roccia al momento di chiudere e, se accetta il regalo della risposta sbagliata sulla seconda nel “15” di apertura, gli altri tre punti sono tutti made in Italy.
Poco meno della metà di prime in campo (ma un solo punto perso), diverse seconde efficaci, dritto solido che sfonda, bene nei pressi della rete, attento nei punti importanti, senza strafare: il set che ci si aspetta dal giocatore più forte. Lo stesso vale nella seconda partita, con il servizio azzurro che arriva puntuale per risolvere il 15-40 del terzo gioco, mentre non fa lo stesso la battuta di Steve, anzi: il doppio fallo sulla palla break che manda avanti il nostro è replicato al turno successivo. Il game del 5-1 per tirare il fiato e poi la chiusura in scioltezza che lo riporta in semifinale – la settima in carriera – dopo quella persa a Barcellona contro Tsitsipas. Questa volta il rivale è ben diverso (a parte l’altezza), sia per nome che per caratteristiche tecniche: il ventenne statunitense Jenson Brooksby, recente finalista a Newport.
[WC] J. Brooksby b. [11] J. Millman 6-1 6-2
La trentottesima vittoria complessiva in stagione (sette le sconfitte) per Jenson Brooksby arriva quasi senza alcuna sorpresa e già questo dovrebbe essere a dir poco sorprendente per un classe 2000 al primo anno da pro che ha iniziato la stagione fuori dai primi 300 e che la prossima settimana sarà in top 100. Non ha ancora lasciato set per strada al Citi Open e nel suo quarto di finale a venire macinato è ironicamente John Millman. Un’ora e sette minuti praticamente a senso unico con qualche complicità da parte dello sconfitto che chiude con un saldo di 5 vincenti e 22 unforced.
Dei colpi di Brooksby, due cose non sono in discussione: la bruttezza stilistica e l’efficacia. A partire dalla fase iniziale del servizio, passando per il dritto (non solo per il braccio sinistro che pare una fetta di polenta) fino alle soluzioni bimani di slice, smorzate e volée, tutto pare studiato per far sanguinare gli occhi dello spettatore amante dell’estetica. Le sue soluzioni fanno però male anche e soprattutto al malcapitato oltre la rete, non semplicemente per l’efficacia intrinseca, bensì perché il ragazzo sa stare in campo, legge bene il gioco, riesce a costruire il punto per ritagliare (e riconoscere, cosa non scontata) una zona di campo indifendibile dall’avversario dove dirige il colpo più adatto.
IL MATCH – Normalmente, Millman è a suo agio quando si tratta di ribattere sul ritmo, ma, evidentemente, la frequenza con cui la palla torna nella sua metà campo è troppo alta per riuscire a gestirla. Certo non è nemmeno in una gran giornata e la precisione latita, mentre Brooksby sfodera da subito i vincenti dal lato sinistro con il lungolinea e la smorzata. I piedi californiani cercano sempre di avvicinarsi alla riga di fondo per sfruttare la capacità di anticipo dei due fondamentali al rimbalzo, in particolar modo del rovescio. Ritmo e profondità spesso spingono John troppo indietro perché possa incidere o almeno difendersi efficacemente. Dal canto suo, Jenson è in modalità “sbaglia una palla ogni quarto d’ora”; purtroppo (per l’avversario), non ha capito che sarebbe solo un’iperbole e commette letteralmente appena due gratuiti in tutto il primo set.
Brooksby inizia a sbagliare qualcosa nel secondo parziale, mette poche prime e fa la sua apparizione quella che sarà l’unica palla break concessa, peraltro quando il punteggio è già 3-1. La sua smorzata di dritto è quasi un assist per Millman che non chiude ma si procura uno smash piuttosto comodo sul recupero per nulla banale del ragazzone di 193 cm. Il trentaduenne di Brisbane sbaglia la direzione e viene beffato dalla mezza volata bimane. Brooksby lascia trasparire un accenno di nervosismo quando, con il traguardo che si avvicina, si fa rimontare da 40-0 nel settimo gioco. È solo un attimo di distrazione dal quale si riprende immediatamente confermando il vantaggio e chiudendo in risposta al game successivo.