Nuove nubi si addensano attorno alla figura di Varvara Lepchenko. La trentacinquenne giocatrice nata a Tashkent è stata provvisoriamente sospesa dall’ITF, dopo essere risultata positiva a un test antidoping effettuato nel corso dell’ultimo Hungarian Open svoltosi a Budapest a metà luglio. La notizia della positività è stata notificata a Lepchenko lo scorso nove agosto, e la sospensione è scattata ieri.
Nei campioni della numero 124 WTA sarebbero stati rintracciati metaboliti di Adrafinil e probabilmente di Modafinil, farmaci psicotonici stimolatori del sistema nervoso centrale, utilizzati per contrastare l’eccessiva sonnolenza e la disattenzione. Entrambi i medicinali, naturalmente, compaiono nella black list stilata dalla WADA. In una nota, la federazione internazionale del tennis specifica che “Lepchenko aveva e mantiene il diritto di appellare la decisione di fronte al Tribunale indipendente deputato a gestire il suo caso, ma che per ora di tale diritto non si è avvalsa“. Una sottintesa ammissione di colpevolezza?
Lepchenko, che ha giocato la sua ultima partita la scorsa settimana al WTA di Concord perdendo al secondo turno contro Vera Zvonareva, era già stata al centro di una controversa vicenda legata al doping. Risultata positiva nel gennaio del 2016 al Meldonium – il celeberrimo farmaco che costò quindici mesi di squalifica a Maria Sharapova -, la tennista naturalizzata statunitense aveva evitato la sospensione beneficiando delle incerte contingenze di quel momento storico: il medicinale era stato inserito nella lista delle sostanze considerate dopanti dal primo gennaio di quell’anno – pochi giorni prima del test risultato positivo – e, vista la bassa concentrazione della sostanza riscontrata nell’organismo di Lepchenko, gli organi inquirenti propesero per un fisiologico ritardo nell’escrezione del farmaco, riabilitando di conseguenza la giocatrice.