Troppo spesso il risultato di una singola partita, per quanto importante possa essere – e in questo caso facciamo riferimento alla tipologia di match più prestigiosa che esiste, la finale – influenza in modo eccessivo i giudizi su un intero torneo, su una stagione (o parte di essa) o addirittura su una intera carriera (o parte di essa).
Per questo motivo ci sembra opportuno fare una breve analisi su quello che ci ha detto il Western & Southern Open di Cincinnati, ultimo grande appuntamento in preparazione allo US Open, prima della disputa degli incontri che assegneranno i due trofei. Per la finale maschile si sono qualificati Alexander Zverev e Andrey Rublev (rispettivamente n.3 e 4 del seeding), la finale femminile vedrà sfidarsi la numero uno Ash Barty e la sorprendente Jil Teichmann, numero 76 del mondo che grazie a questo risultato rientrerà in top 50.
IL TABELLONE FEMMINILE
Partiamo dalla dominatrice del circuito WTA, non per galanteria quanto per l’urgenza di esporre un dato: Ash Barty ha disputato 20 tornei da numero uno del mondo, posizione che occupa ininterrottamente dal settembre 2019, raggiungendo nove volte la finale. Ne ha perse soltanto due; la prima di questa serie, contro Naomi Osaka a Pechino, e quella giocata quest’anno a Madrid contro Aryna Sabalenka. Confermando il pronostico anche a Cincinnati, Ash si ritroverebbe ad aver vinto il 35% dei tornei che ha disputato da prima della classe (attualmente è poco sotto il 32%).
Se confrontiamo il dato con quello delle giocatrici che hanno occupato la testa del ranking WTA per un numero di settimane comprese tra 50 e 100, il range in cui si trova attualmente Barty e nel quale ritroviamo anche Azarenka, Halep, Wozniacki e Davenport, ci rendiamo conto che i numeri dell’australiana sono ragguardevoli.
Davenport ad esempio è stata in testa per 98 settimane, disputando 23 tornei; ha raggiunto undici volte la finale vincendone però soltanto cinque (meno del 22%), e mai in uno Slam (due sconfitte contro Venus e Serena). Con 71 vittorie e 14 sconfitte, il regno della statunitense è stato archiviato comunque con ottimi numeri (80% di vittorie). Wozniacki – 71 settimane da prima del ranking – ha giocato 24 tornei vincendone cinque (21%) su sette finali raggiunte. Il bilancio vittorie-sconfitte della danese (66-19) è leggermente peggiore rispetto a quello di Barty, attualmente fermo a 65-16.
Barty si avvia dunque lungo la strada che può portarla tra le più grandi di questo sport, ma ci sembra doveroso riportare come i ‘grandissimi’ viaggino su latitudini ancora più mostruose: Djokovic, ad esempio, ha giocato 98 tornei da numero 1 e ha raggiunto la finale 57 volte vincendone 41 (un sensazionale 42%).
Ciò non cancella il fatto che la WTA è saldamente nelle mani di Ash dal punto di vista tecnico. Terza per ace e punti vinti con la prima in stagione, seconda dietro Osaka per % di conversione della seconda e prima per game di servizio vinti, in un 2021 in cui ha dovuto persino convivere con degli acciacchi, Barty è la tennista con più soluzioni tra le giocatrici di vertice ed è dotata di un comparto servizio-dritto di altissimo livello. In assenza di una colpitrice di valore assoluto quale talvolta sa essere Sabalenka, e quale sicuramente può tornare a essere con costanza Osaka, non sembrano esserci avversarie in grado di infastidirla con continuità.
Ci proverà, sul singolo match, la succitata Jil Teichmann. Da appena un anno la 24enne svizzera ha ‘scoperto’ di poter rendere anche sul cemento – è datata agosto 2020 la finale di Lexington, seguita dalle buone prestazioni di quest’anno ad Adelaide e Dubai (semifinale) – e le sue chance sono più o meno tutte concentrate nel fatto di essere mancina e avere un buon ordine di gioco. Non molto di più, contro questa Barty.
IL TABELLONE MASCHILE
Nel secondo ‘1000’ di fila senza i tre mammasantissima Djokovic, Nadal e Federer, il possibile bis di Daniil Medvedev (vittorioso a Toronto) è stato sventato da Andrey Rublev… e da una telecamera. A conferma però del fatto che esistono delle gerarchie consolidate anche tra i nuovi aspiranti al trono mondiale, in semifinale sono arrivati i primi quattro giocatori del seeding.
Rublev ha vinto la sua semifinale con grande merito e con altrettanto merito avrà a disposizione una seconda chance di vincere il trofeo più prestigioso della sua carriera (a Monte Carlo è stato fermato da Tsitsipas in finale), dopo aver battuto tre buone versioni di Cilic, Monfils e Paire – comunque non tre tennisti sulla cresta dell’onda. Il suo tennis fortemente basato sull’esplosività del singolo colpo lo pone però in una posizione leggermente subalterna rispetto agli altri tre semifinalisti, che per motivi tecnico-tattici differenti sono in fila per il ticket di futuro n.1 del mondo.
Tra questi, il giocatore nella condizione psico-fisica migliore sembra Sascha Zverev, che ha reagito alla sconfitta di Wimbledon contro Auger-Aliassime con l’oro olimpico e la 26° finale nel circuito maggiore raggiunta qui a Cincinnati, la nona in un Masters 1000 – decisamente la categoria di tornei nella quale si esprime meglio. Certo, contro Tsitsipas si è trovato sotto di due break nel terzo set prima di vincere cinque giochi consecutivi e prevalere d’un soffio, ma a sua volta Zverev era sembrato in solido controllo della partita, anche grazie a una maggiore facilità nei colpi in lungolinea, prima che un dritto tedesco inside (troppo) out restituisse a Tsitsipas il break di vantaggio nel secondo set. In generale, scomponendo la partita nelle varie situazioni di gioco, la sensazione è che Zverev fosse a suo agio comunque nella maggior parte degli scambi, colto di sorpresa solo dalla capacità di Tsitsipas di aggredire il campo con più continuità e magari di accorciare lo scambio, una dote che a Zverev non è congenita a e alla quale il tedesco preferisce certamente l’attesa e il gioco di logoramento.
Se il derby russo è stato deciso anche da una telecamera, Zverev-Tsitsipas è stata indirizzata anche da un toilet break (giustamente) negato al greco, che non l’ha presa benissimo e se n’è lamentato largamente in conferenza. Piccoli segnali che confermano una certa irrequietezza di base tra gli under 25, i topi lasciati a ballare dal gatto (Djokovic) che ha la testa già a New York. Una irrequietezza che, oltre ai vari piccoli difettucci tecnici degli avversari, certamente ha contribuito a prolungare il dominio di Djokovic e Nadal negli Slam.