Dopo Tsitsipas e Zverev, in questo nuovo articolo per la rubrica “I segreti di un campione” ci occupiamo di un tennista che ha saputo, specie nel 2021, essere la punta di diamante del movimento tennistico italiano e che sta vivendo una stagione da sogno, con già cinque titoli ATP vinti da tre giocatori diversi (lo stesso Berrettini, Sinner e Sonego).
Cercheremo di inquadrare i punti di forza di Matteo Berrettini, così come quei possibili ulteriori margini di miglioramento che potrebbero forse consentirgli di sognare, se possibile, ancora più in grande.
PALMARÈS
È nel 2017 che il ventunenne Berrettini, dopo essersi aggiudicato il suo secondo titolo Futures a Oberentfelden superando per 6-2 6-4 la prima testa di serie Laurent Lokoli, riceve una wild card che gli consente di fare il suo esordio nel circuito ATP agli Internazionali d’Italia. Il tabellone lo vede opposto all’allora numero 1 italiano Fabio Fognini, che lo sconfigge in due set con il punteggio di 6-1 6-3.
Il talento di Berrettini, però, così come la sua forza fisica, non sono in discussione, e i risultati non tardano ad arrivare. Nella stagione successiva, proprio a inizio anno (2 gennaio 2018) conquista la sua prima vittoria ATP, superando in tre set un cliente difficile come Viktor Troicki. A Indian Wells costringe Medvedev al terzo set. Dopo aver esordito a livello Slam nel Roland Garros, superando i primi due turni e cedendo a Thiem al terzo, si aggiudica, il 29 luglio 2018, il suo primo titolo ATP, a Gstaad. Chiuderà la stagione alla posizione numero 54 del ranking, con un balzo di 81 posizioni rispetto alla stagione precedente.
La cavalcata di Berrettini sembra inarrestabile: nel corso del 2019, si aggiudica altri due titoli ATP 250 (a Budapest e a Stoccarda) e, soprattutto, con una vittoria all’ultimo respiro su Monfils, si qualifica per la prima volta per una semifinale Slam, a Flushing Meadows. Chiude la stagione all’ottavo posto in classifica mondiale, qualificandosi per le ATP Finals. Non supera il round robin, ma è il primo italiano a vincere un incontro alle Finals (si tratta del terzo match del girone, purtroppo ormai ininfluente, in cui supera Thiem in due set).
Complice la pandemia di COVID-19, che costringe a un calendario ridotto, la stagione 2020 è più avara di successi. Si ricorda, soprattutto, l’approdo ai quarti di finale degli Internazionali d’Italia: forse un’occasione perduta, anche se non era facile avere ragione di uno specialista della terra come Ruud, che vince in tre set.
Il 2021, dopo la finale di ATP Cup, comincia con il piede sbagliato: Berrettini si infortuna durante il match di terzo turno dell’Australian Open con Karen Khachanov. Riesce comunque a portare a termine vittoriosamente l’incontro, ma è costretto al forfait nel match di ottavi di finale, che lo avrebbe visto opposto a Tsitsipas. Il rientro non è dei migliori: a Monte-Carlo, Davidovich Fokina lo sconfigge in due set.
Da quel momento in poi però, Matteo ritrova la vena dei giorni migliori. Vince l’ATP 250 di Belgrado 1, per la prima volta raggiunge la finale di un torneo Master 1000 a Madrid (facendo sudare la vittoria a Zverev) e, soprattutto, dopo i quarti di finale a Parigi, è il primo italiano nella storia a vincere il torneo del Queen’s (ATP 500) e a conquistare la finale nel torneo di Wimbledon. Non solo, ma riesce a strappare il primo set a una vera e propria leggenda come Novak Djokovic, che conquisterà proprio a Wimbledon il suo ventesimo titolo Slam in carriera.
Purtroppo, Matteo subisce un altro infortunio ed è costretto a rinunciare all’avventura olimpica. Naturale però che, al suo rientro, molti occhi siano puntati su di lui, specialmente vista la crisi vissuta da Djokovic a Tokyo. Ma quali sono le caratteristiche tecniche che distinguono il gioco di Berrettini e che gli consentono ormai di soggiornare con una certa stabilità nella Top 10 dei tennisti a livello mondiale?
UNO SGUARDO D’INSIEME
Prima di approfondire l’analisi alla ricerca di pattern vincenti e perdenti, cerchiamo di averne una visione d’insieme, inquadrando lo stile di gioco di Matteo con una serie di statistiche relativi agli Slam i cui valori medi sono mostrati in Figura 1, separatamente per superficie di gioco.
Possiamo osservare, in primo luogo, come il saldo tra ace e doppi falli sia decisamente positivo su tutte le superfici: la cosa naturalmente non ci stupisce, dato che Matteo ha nel servizio la sua principale (ma non unica) arma offensiva. Analizzando invece il saldo tra vincenti ed errori non forzati possiamo apprezzare come, caratteristica storicamente inusuale per un tennista italiano, Matteo si esprima al meglio sull’erba.
Da non dimenticare però come, su ogni superficie (anche se in misura diversa) il tennista romano sappia procurarsi più palle break di quelle che concede, e il fatto che questo saldo sia particolarmente positivo sulla terra battuta, la superficie più lenta, su cui è più difficile ottenere punti diretti col servizio, la dice lunga sulla completezza del suo gioco.
Un secondo set di statistiche, mostrato in Figura 2, può esserci d’aiuto nel farci un’idea ancora più precisa:
Notiamo, in particolare, oltre a una percentuale di prime in campo mediamente superiore al 60%, anche l’eccellente rendimento sia della prima che della seconda palla di servizio. Assistendo ai match di Berrettini, specialmente nei momenti più delicati, si sarebbe in effetti tentati di definire la sua seconda palla di servizio come la migliore dell’intero circuito, non solo per potenza ma anche e soprattutto per varietà. Il rendimento infatti è superiore al 50% su tutte le superfici e, soprattutto, il servizio (direttamente o indirettamente, anche con la seconda) consente molto spesso a Matteo di cavarsi d’impaccio quando deve fronteggiare una palla break, come dimostra ad esempio l’impressionante statistica sulla percentuale di palle break salvate sulla terra (superiore all’80%).
Fino a questo momento, ci siamo concentrati sul gioco di Berrettini esaminando un aspetto alla volta: proviamo ora invece, con l’aiuto della tecnologia, a considerare più aspetti contemporaneamente, ovvero a sviluppare un’analisi multivariata.
I PATTERN PIÙ SIGNIFICATIVI DEL GIOCO DI BERRETTINI
In particolare, ci chiederemo quale o quali tra le varie statistiche di gioco (che rappresentano le nostre variabili di input) si rivelino decisive, e in che modo, rispetto alla vittoria o alla sconfitta nel match (che rappresenta la nostra variabile di output). Impostiamo cioè, in altre parole, un problema di classificazione. Per maggiore chiarezza, faremo in modo che l’algoritmo di classificazione utilizzato restituisca automaticamente, sulla base delle variabili a disposizione, un modello costituito da un insieme di regole che rappresentano i pattern statisticamente più significativi che conducono Berrettini alla vittoria o alla sconfitta.
Di seguito, illustriamo le tre regole più significative così calcolate:
- “Se Berrettini mette a segno in media almeno 2.2 vincenti per set più dell’avversario e commette mediamente non oltre 5.5 errori non forzati più dell’avversario, allora vince il match”. Il pattern è piuttosto generale, ed estremamente preciso: si verifica nell’80% dei match vinti da Berrettini in tornei del Grande Slam (ovvero in 24 partite) e in nessuna delle 12 sconfitte.
- “Se Berrettini vince più del 58% di punti con la seconda di servizio, allora si aggiudica la partita”. Il pattern è un po’ meno generale, ma estremamente preciso: si è verificato in 19 casi e, in tutti e 19, Berrettini ha vinto il match.
- “Se Berrettini non ha una percentuale di punti vinti sulla prima migliore del proprio avversario e non si procura almeno 12 palle break, viene sconfitto”. La regola in questo caso è particolarmente forte: si è verificata, fino a oggi, undici volte. Si tratta di undici tra le dodici occasioni in cui il tennista italiano è stato sconfitto.
Sulla base di regole come queste, considerando che quanto più una caratteristica del gioco compare come condizione rilevante all’interno di tali pattern, tanto più potremo definirla un elemento-chiave del gioco del campione italiano. Potremo quindi, sulla base dei dati, stilare un feature ranking, ovvero una sorta di classifica dei vari aspetti del gioco, distinguendo quelli che, in misura maggiore, da soli o in combinazione con altri, si rivelano decisivi.
Come possiamo osservare in Figura 3, le due statistiche più rilevanti, da sole o in combinazione con altre, sono relative al servizio: si tratta della differenza tra la percentuale di punti vinti con la prima di Berrettini e del suo avversario (feature più importante) e della stessa differenza in percentuale di punti vinti con la seconda in campo (seconda feature in ordine di importanza).
Possiamo interpretare la cosa in questo modo: se Berrettini si impone nei game di servizio più di quanto non riesca a farlo il suo avversario, allora si avvicina alla vittoria. In effetti, assistendo alle partite del numero 1 italiano, si ha l’impressione, nelle sue giornate di maggiore forma, che l’avversario non abbia quasi chance di strappargli il servizio, non soltanto per il numero di ace (che infatti non figura tra i cinque elementi più significativi) ma quanto perché, se l’avversario si limita a giocare una palla lenta, non particolarmente pericolosa, anche sul lato sinistro di Berrettini, il tennista italiano gira intorno alla palla e può indifferentemente giocare un vincente in lungolinea o colpire con l’inside-out. Non solo: si serve spesso anche della palla corta, arma usata molto raramente (e, a dire il vero, non molto efficacemente) da un giocatore a cui è stato spesso paragonato, vale a dire Andy Roddick.
Ed è questa facilità e varietà di colpi, oltre alla presenza di un ottimo rovescio in back (arma difensiva e non solo) a rendere probabilmente improprio il paragone fra i due. Certo: lui e l’americano hanno in comune la capacità di generare grandi velocità di palla con il servizio e con il dritto, oltre a una certa predilezione per l’erba (Roddick è stato tre volte finalista a Wimbledon, sempre sconfitto da Federer, e proprio a Wimbledon anche Matteo ha centrato la sua prima finale Slam).
Tuttavia, Berrettini, anche attraverso il suo rendimento sulla terra battuta (ha già raggiunto i quarti a Parigi a venticinque anni, mentre Roddick non andò mai oltre gli ottavi, centrati nel 2009) dimostra di poter vincere anche con altre armi, specialmente se riesce a essere concentrato e preciso. Non a caso, la terza caratteristica in ordine di importanza nel feature ranking rappresenta la differenza media per set in termini di errori non forzati rispetto all’avversario. Naturalmente, in questo caso, la correlazione è inversa: tanto meno Berrettini sbaglia rispetto all’avversario, tanto più è probabile che si aggiudichi la vittoria.
Anche la quarta e la quinta feature vanno in questa direzione, mostrando quanto sia importante (e possibile) per Berrettini crearsi e sfruttare delle occasioni in risposta. La quarta feature misura infatti la differenza, in termini di percentuale di trasformazione delle palle break, rispetto all’avversario, mentre la quinta feature misura la pura e semplice percentuale di trasformazione delle palle break di Berrettini, prescindendo dal rendimento dell’avversario.
Non soltanto servizio quindi, e non soltanto potenza. Se Berrettini sta bene fisicamente, forte anche di una consapevolezza dei suoi mezzi che viene da risultati sempre più importanti, può essere un cliente difficile davvero per chiunque (Djokovic docet, così a Londra come a Parigi), regalandosi e regalandoci ancora grandi soddisfazioni. Forse soddisfazioni persino più grandi di quelle vissute finora.
Nota: l’analisi e i grafici inseriti nell’articolo sono realizzati per mezzo del software Rulex
Genovese, classe 1985, Damiano Verda è ingegnere informatico e data scientist ma anche appassionato di scrittura. “There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor” (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche scrivere, divertendosi, possa essere un modo per cercare di socchiudere qualcuna di quelle porte, lungo quel corridoio senza fine. Per leggere i suoi articoli visitate www.damianoverda.it