A day in the life: un martedì al Western & Southern Open di Cincinnati
TENNIS ON FIRE
Finalmente è la mattina della finale. Questa volta guidando da nord s’imbocca l’Interstate 65 e, guidando attraverso piccole cittadine dell’Ohio, risulta incredibile a pensarci bene che un torneo di queste dimensioni e importanza si svolga in una piccola cittadina del Midwest, in mezzo alla campagna. A proposito della particolarità della location, in conferenza stampa venerdì hanno chiesto ad Andrey Rublev (che gioca oggi la finale maschile) dopo la vittoria contro Benoit Paire cosa gli piaccia fare quando si trova a Mason: “Sono andato a Cincinnati solo un paio di volte per mangiare qualcosa, ma generalmente preferisco stare vicino all’hotel qui a Mason”. A quel punto gli è stato chiesto se avesse avuto l’occasione di andare al parco dei divertimenti di King’s Island situato dall’altra parte dell’Interstate 71, ma il russo ha candidamente ammesso di non avere mai avuto tempo nei quattro anni precedenti.
Come accennato nel precedente articolo il Western & Southern Open ha “free parking” per tutti i possessori di un biglietto ma oggi rispetto a martedì’ la prima differenza che risalta è nella logistica. Bisogna camminare ben più a lungo per arrivare ai cancelli. La pioggia torrenziale del martedì è un lontano ricordo, il sole spacca le pietre e la temperatura poco prima di mezzogiorno è già di trenta gradi. Senza considerare l’umidità dell’Ohio che, essendo lontano dai grandi laghi o dall’oceano, rende la temperatura percepita ancora più alta. Oggi per tutti i giocatori le condizioni saranno estreme.
LE MEMORIE DEL PASSATO
L’aria che si respira dopo aver varcato i cancelli è diversa. Oggi è il giorno delle finali. I piccoli campi che pullulavano di spettatori durante la settimana ora sono vuoti e quasi tutti i giocatori hanno lasciato il torneo. Camminando si percepisce un po’ di nostalgia pensando che questi campi dovranno aspettare un altro anno prima di essere calcati dai migliori tennisti del mondo. Nostalgia che certamente non viene acuita guardando le foto dei passati campioni del torneo che giganteggiano all’entrata. Senza nulla togliere a Rublev e Zverev (i finalisti di oggi), è un peccato che quest’edizione del torneo non abbia visto partecipare Federer, Nadal e Djokovic.
Non tutti i giocatori però lasciano il torneo immediatamente dopo la sconfitta. Guardando il programma dei campi d’allenamento dei giorni scorsi, Matteo Berrettini, dopo la prematura sconfitta agli ottavi, il giorno seguente ha fatto quasi due ore d’allenamento. Garbine Muguruza, sconfitta anche lei negli ottavi, ha un campo d’allenamento prenotato addirittura il giorno della finale. Scelta che ha senso dal momento che i giocatori, piuttosto di lasciare immediatamente Mason, possono affinare la condizione in vista di New York allenandosi con un giocatore di alto livello ancora presente nel torneo. Sul campo quattordici è in programma dalle 12.30 alle 14 l’allenamento di Andrey Rublev, che non prima delle 16.30 giocherà la sua seconda finale in un Masters 1000 contro l’amico e coetaneo Alexander Zverev.
OSCURI PRESAGI
Un buon numero di spettatori si apposta sotto il sole cocente nonostante il russo abbia scelto, probabilmente per mantenere la concentrazione, il campo più lontano dalla zona accessibile per il pubblico. Mi guardo intorno e vedo un padre con il figlio piccolo che sembrano molto eccitati dal vedere Andrey allenarsi. “È la vostra prima volta in una finale?” chiedo loro sorridendo, “Sì, mai visto una partita di tennis dal vivo in vita mia” risponde il padre mentre il figlio non stacca gli occhi dal giovane russo. Penso che, nonostante il loro entusiasmo contagioso, non sono gli spettatori adatti a cui chiedere un pronostico sulla finale.
Rublev è in campo con il suo storico allenatore Fernando Vicente che segue attentamente l’allenamento a bordo campo. Per prima cosa Andrey lavora sul suo marchio di fabbrica, il dritto. Oggi se vuole avere qualche chance contro il più quotato avversario deve cercare di essere il più aggressivo possibile con quel fondamentale. È piuttosto impressionante vedere le sue accelerazioni in allenamento dove il braccio è sicuramente più sciolto. Molto interessante quando il suo sparring partner si posiziona oltre il rettangolo del servizio verso la rete e attacca Rublev sul dritto. La capacità di contrattaccare sarà molto importante dal momento che il tedesco visto negli ultimi mesi è piuttosto aggressivo.
Rublev sembra cavarsela molto meglio dalla parte del dritto mentre con il rovescio, soprattutto su palle basse, gli errori sono più frequenti. Mentre Vicente pare abbastanza rilassato Andrey sembra teso come mi fa notare un signore di mezz’età con la maglietta “Roland Garros 1999”. Impossibile dimenticare quell’edizione del torneo parigino in cui Andre Agassi rimontò due set in finale contro un altro russo Andrei Medvedev per il suo primo e unico titolo a Bois De Boulogne.
“Non mi stupirei di una finale molto breve“, mi dice “il ragazzo è meno esperto e Zverev viene dall’oro a Tokyo”. “Speriamo di no” gli rispondo sorridendo anche se effettivamente Rublev non pare avere molte armi per dare fastidio al tedesco. Mi stupisce che non stiano facendo nessun tipo di allenamento particolare in risposta, dal momento che sicuramente una delle chiavi del match sarà come Rublev risponderà al servizio del nativo di Amburgo. Poco prima delle 14, l’allenamento finisce e Vicente per ringraziare gli spettatori rimasti sotto il sole cocente lancia quattro palline con cui si sono allenati.
Una volta uscito dal campo, Andrey si ferma vicino al player patio a firmare autografi e fare foto. Player patio in cui Ashleigh Barty, assieme al suo team, sta ultimando il riscaldamento con una palla da rugby pochi minuti prima della sua finale. Dopo l’allenamento di Rublev cerco il campo in cui si allena Zverev ma non risulta che Sascha abbia prenotato un campo. Probabilmente ha preferito risposarsi dopo la lunga ed estenuante semifinale della sera precedente vinta contro Stefanos Tsitsipas.
Fa veramente molto caldo. Nonostante New York abbia un alto livello d’umidità, sicuramente questo è il torneo più duro dal punto di vista del clima della stagione estiva sul cemento. È tempo di bere qualcosa prima di andare a vedere la finale maschile.
BACK TO THE DRAWING BOARD
Sul centrale c’è il pubblico delle grandi occasioni per la finale del torneo maschile. Lo stadio non è completamente “sold out” ma la folla vuole vedere una bella finale soprattutto dopo la rapida vittoria di Barty nella finale femminile contro la sorpresa del torneo Jil Teichmann. La temperatura è leggermente più gradevole rispetto a qualche ora precedente. Sin dal riscaldamento Zverev appare molto sicuro dei propri mezzi mentre Andrey pare un pochino spaesato davanti a quest’elettrica atmosfera. D’altronde è “solamente” alla sua seconda finale in un Masters 1000 e ha davanti un giocatore con cui ha sempre perso nei precedenti quattro scontri diretti, senza mai racimolare neppure un set.
Rublev inizia a servire e le paure mie e del signore incontrato ai campi d’allenamento si rivelano fondate. Innanzitutto Sascha legge molto bene il servizio del russo che non ha molte variazioni, e quando si entra nello scambio la profondità Zverev non permette mai ad Andrey di prendere in mano il gioco. Così immediatamente Alexander ottiene il break. Mi colpisce come in allenamento il diritto di Rublev, seppur piatto e senza rotazione, pareva impressionante mentre in partita è spesso corto e poco penetrante.
Zverev è ingiocabile al servizio, prime a 135 miglia all’ora di velocità che lasciano il pubblico attonito e seconde di servizio cariche di spin su cui Rublev fa veramente fatica a impattare. Dopo soli diciotto minuti il russo è sotto quattro a zero con doppio break, il set è virtualmente chiuso. Ogni volta che gli scambi si allungano Andrey non vince praticamente mai il punto. Il servizio è l’unico colpo che a tratti funziona e un paio di ottime prime gli permettono di evitare un severo bagel. Ma Zverev, in grande fiducia, non concede nemmeno l’ombra di una palla break e dopo soli 25 minuti il tedesco chiude 6-2.
Rublev si concede una piccola pausa per scuotersi, ma il copione non cambia. Sascha legge sempre meglio il servizio del russo. Gli risponde tre volte sui piedi e così inizia il secondo set con un nuovo break. Partita virtualmente chiusa. Mi colpisce il modo in cui Zverev gioca con il dritto, colpo con cui in passato tendeva a essere troppo passivo, soprattutto nei momenti di tensione. Oggi gioca profondo e non appena ne ha l’occasione è aggressivo. Anche dal punto di vista fisico si muove e piega sui colpi in maniera incredibile. Quando attacca Rublev sul rovescio, il russo perde campo mentre Sascha si piega perfettamente e mantiene un’ottima profondità.
Andrey è chiaramente in confusione e, quando dopo un ottimo servizio sbaglia un dritto da posizione comoda, la partita è finita. Doppio break Zverev. Una signora di fronte a me si sgola per incitare il russo “C’mon Andrey, you can do it”. La folla esulta a ogni suo punto ma c’è poco da fare. Il tedesco perde il servizio solo quando chiamato a chiudere sul 5-2, ma ottiene un altro break nel game successivo: 6-2 6-3 Zverev in soli 58 minuti. Finale e prestazione da parte di Rublev deludente.
GUARDANDO LE STATISTICHE
Purtroppo le sensazioni della vigilia sono state confermate. Sascha è apparso ingiocabile e Rublev ancora troppo inesperto per questi palcoscenici. Vedendolo giocare dal vivo mi ha confermato quello che si percepisce in televisione. Il dritto è il colpo con cui fa più male ma è migliorabile così come ogni altro colpo. Con il suo team dovrebbe inserire qualche variazione in più nel servizio e soprattutto dare più spin alla palla con il dritto, così da avere una palla “da palleggio” con più effetto e profondità. In questo modo non sarebbe costretto a spingere su ogni singola palla.
Per quanto riguarda Zverev, è lecito pensare che sia il secondo favorito allo US Open, un gradino davanti a Medvedev e Tsitsipas e uno sotto a Djokovic che nonostante le incognite ha pur sempre vinto tre Slam consecutivi e a New York giocherà per la storia.
Zverev ha vinto il suo quinto Masters 1000, ma senza nulla togliere al tedesco bisogna anche saper leggere le statistiche. Grandi giocatori come Wawrinka, Tsonga, Berdych e Ferrer tutti insieme hanno vinto lo stesso numero di Masters 1000 che Alexander ha già conquistato a soli ventiquattro anni. Ma è bene precisare che loro ogni volta che arrivavano alle fasi finali dovevano sempre affrontare i Fab Four che non saltavano mai un 1000, mentre da quattro-cinque anni a questa parte i big si concentrano più sugli Slam e cosi c’è molto più spazio per tutti gli altri. Nonostante sia un grande giocatore con un grande futuro, affrontare Rublev nell’ultimo atto di un “1000” non è la stessa cosa che affrontare uno dei Fab Four.
Una finale deludente non cancella un torneo memorabile. Prossimo appuntamento: New York.
Reportage a cura di Marco Lorenzoni