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Non era previsto che io scrivessi un editoriale prima di stanotte/domani mattina, a commento dell’Italian Day/Night con 11 azzurri in campo nella seconda giornata dello US Open. Ciò anche perché oggi avrebbe dovuto essere una giornata fiorentina dedicata interamente alla famiglia, causa concomitanza con il mio 72mo compleanno di cui 36 – la metà esatta – vissuti a New York e all’US Open.
Ma quanto è accaduto nel match di 4 ore e 3 quarti sorprendentemente combattuto e vinto da Tsitsipas al quinto set su un risorto Andy Murray, a mio avviso non poteva passare sotto silenzio. Anche se spazio gliene abbiamo già doverosamente riservato con più di un articolo.
US Open: Tsitsipas vince un match strepitoso contro Murray
Murray e la guerra del toilet break: “Ho perso il rispetto per Tsitsipas”
Anche se le prime 2 ore da settantaduenne, da mezzanotte in poi, le ho vissute davanti alla tv e a Eurosport, in compagnia dell’eccellente telecronaca di Federico Ferrero e Barbara Rossi, la mia coppia di telecronisti prediletti insieme a Elena Pero e Paolo Bertolucci di Sky (due accoppiamenti in cabina dalle caratteristiche peraltro assai diverse).
Premessa d’obbligo: dopo aver visto, con un po’ di magone, il Murray esibitosi a Wimbledon, non mi aspettavo assolutamente di rivedere – dopo 4 anni e più – un Andy di nuovo straordinario – quasi come in quel suo fantastico secondo semestre del 2016 – e capace di lottare alla pari per quasi 5 ore contro il terzo tennista del ranking ATP. Avrebbe potuto vincere tutti i primi 3 set, se avesse trasformato almeno quel set point – dei due conquistati – sul proprio servizio nel secondo set. Gli fosse entrata la “prima” chissà se avrebbe vinto ugualmente anche il terzo. Non lo sapremo mai.
Ricordo di aver scritto di Andy Murray per la prima volta in maniera entusiastica da Melbourne, per l’Australian Open 2007, match di ottavi di finale con Rafa Nadal che lo spagnolo vinse al quinto set dopo essere stato in svantaggio per due set a uno: 67 64 46 63 61. Murray, classe ’87, non aveva ancora 20 anni e scoppiò nel finale contro Rafa che era già un signor Nadal, un mostro di atletismo e di intensità agonistica.
Gli pronosticai un grande futuro. Non sono sicuro si riesca a ritrovare quell’articolo, perché Ubitennis sarebbe nato nel maggio 2008. Ma forse sul mio primo blog “Servizi Vincenti” nato nell’ottobre 2006 qualcosa si trova.
Rimasi subito entusiasta per la sua incredibile maturità tattica, per il suo rovescio, per la capacità di variare ritmo e accelerazioni (accennai alla sua somiglianza con Miloslav Mecir, il “Gattone” slovacco che però serviva molto peggio di lui) e almeno quella volta sono contento di aver azzeccato il pronostico su chi sarebbe diventato un n.1 del mondo anche in epoca Fab 3, con 3 Slam nel palmares, 8 finali e 10 semifinali. Scusate se è poco.
Ma, come accennato, non mi aspettavo più di rivederlo come invece l’ho visto nella notte fra il 30 e il 31 agosto. E non se l’aspettava davvero neppure Tsitsipas che infatti per tutta la prima parte del match non ci ha capito nulla. Vero che non ci aveva mai giocato, vero che probabilmente non si era mai soffermato troppo nell’ultimo quinquennio a guardare e studiare i suoi match, però sono quasi certo che al di là delle solite, inevitabili, prevedibili parole di circostanza pronunciate alla vigilia del match, il ragazzone greco in cuor suo l’abbia un po’ sottovalutato. Fino a che non ha rischiato di rimetterci la buccia. Io so soltanto che sono rimasto affascinato da quell’inattesa battaglia e non ho mai pensato di mollarla per andare a letto. Si invecchia, ma quando c’è la passione, non si cambia. Anzi. Inciso a corredo di ciò: per questo provo sempre un po’ di rabbia quando leggo che Camila Giorgi parla – ed evidentemente lo sente così – del tennis come di un lavoro. Senza una grande passione, un desiderio di competere e vincere per una propria intima soddisfazione, per orgoglio, è molto ma molto più difficile – se non impossibile – diventare campioni.
Del resto, dal primo time out (di un po’ meno di 10 minuti per il problema poi risolto al piede) al secondo (di 6 minuti e 58 secondi all’inizio del quinto set) quando Murray si è da una parte innervosito e dall’altra probabilmente “freddato”, sapete già tutto.
Tsitsipas, che un lettore dotato di sferzante ironia ha appena ribattezzato Toilettipas – credo che chiunque sia capace di strapparci un sorriso meriti una citazione (che non significa essere necessariamente di plauso…le battute non paiono sempre opportune a tutti) – ha potuto utilizzare regole che i sette organismi che “regnano” sul tennis (ATP, ITF, WTA, 4 Slam) non hanno da anni pensato di modificare, sistemare diversamente.
Spero che quanto accaduto contribuisca a far intervenire chi di dovere. Murray ha pienamente ragione. Lo penso e lo scrivo subito a chiare lettere.
Certo avrei preferito, per la giustezza della causa, che avesse potuto pronunciare gli stessi concetti dopo una vittoria anziché dopo una sconfitta che certamente non poteva aver digerito in così breve tempo. E forse mai.
Ma mi è piaciuto apprendere, dalle parole di Murray che vi prego di ascoltare, che lui aveva chiesto all’ATP Media Manager Nicola Arzani di poter rinunciare alla conferenza stampa – risultata invece interessantissima – perché sapeva che non avrebbe potuto trattenersi dal dire quel che pensava.
E per aver assistito a centinaia di conferenze stampa di Andy, devo ribadire quanto ho scritto su lui già più volte. Il suo comportamento in campo è spesso discutibile, spiacevole, quel suo continuo infuriarsi, imprecare, gridare, parlare con l’angolo. Un modo di fare da eterno ragazzino viziato, magari umano, si dirà a sua giustificazione, ma anche fortemente maleducato. E talvolta anche speculativo…come quando ha spesso accentuato problemi fisici che si rivelavano alla prova dei fatti poco importanti quanto poco importante si è rivelato l’incidente al piede occorso a Tsitsipas nella notte.
Però nel “parlato” post e ante match ho sempre invece massimamente apprezzato l’attenzione, direi addirittura la concentrazione, con cui Andy si è sforzato di rispondere con intelligenza, chiarezza, personalità e onestà intellettuale alle domande di tutti i giornalisti. Sia alle domande più ponderate e intelligenti, sia anche a quelle meno intelligenti che hanno suscitato la riprovazione di Naomi Osaka.
In un mondo spesso condizionato dall’ipocrisia e dal politically correct, Andy ha rischiato posizioni impopolari, magari controcorrente, sulla Brexit, sulla Scozia e il Regno Unito, su tenniste e coach donne, sull’altruismo della vaccinazione in assenza di cognizioni scientifiche certe pro e contro Vax – più del 70% dei tennisti, scrive Sports Illustrated, non sarebbero vaccinati! Mi sa che dovranno vaccinarsi se vorranno giocare il prossimo Open d’Australia (Paese nel quale 30.000 australiani che si trovano all’estero aspettano invano da due anni di poter rientrare… e nel quale fra Stato e Stato ci sono ancora dei blocchi) – ma anche su argomenti meno… importanti ha sempre espresso liberamente il suo pensiero, motivandolo con intelligenza. Anche se magari non sempre con il più opportuno tempismo, confidando nell’altrui comprensione…che invece non si deve mai dare per scontata. Ripeto: viviamo in un mondo globale nel quale, per il timore di urtare la sensibilità di questo o quello, di mancar di rispetto a qualcuno, si finisce per vivere ed esprimersi con eccessiva circospezione. Alla fine con poca sincerità. Beh, sarà la mia toscanità a farmi piacere più i gaffeurs che coloro che non si sbilanciano mai.
Murray, insomma, è un tipo che mi piace. Più fuori dal campo che dentro, come già detto. Anche se stavolta avrei evitato quel tweet cui Andy non ha saputo evidentemente resistere: “Fact of the day, it takes Stefanos Tsitipas (l’errore nella declinazione del cognome per i maligni è voluto…per me che ogni volta devo stare attento a non far refusi non lo è!) twice as long to go the the bathroom as it takes to Jeff Bezos to fly into space. Interesting”.
Traduzione: ci vuole più tempo a Tsitsipas a andare in bagno che a Jeff Bezos (Amazon boss) a volare nello spazio”. Questo tweet piacerà forse nel Regno Unito, ma meno altrove. Gli Inglesi ultimamente, vedi EuroCalcio (principe Harry in testa!) ma anche post 100 metri staffetta olimpica, non si stanno dimostrando… buoni perdenti.
Ma in genere ci vorrebbero più Murray. Soprattutto tra chi governa il tennis. E non so invece se ci vorrebbero più Tsitsipas che era stato testimonial del Governo greco dopo il primo lockdown per la campagna vaccinale e poi ha cambiato fronte. Sulla newsletter di Slalom.it si riporta la seguente frase di Tsitsipas: “Sotto i 25 anni il vaccino non è stato testato abbastanza, ci sono effetti collaterali. Aspetto una versione migliore, non lo faccio finchè non sarà obbligatorio”. Il portavoce del governo greco, Giannis Economidis, ha fatto un commento che io mi sento di attribuire a molti (incluso me stesso, pur passato dal Covid e doppiamente vaccinato, inclusi Novak Djokovic, Elina Svitolina, Aryna Sabalenka): “Tsitsipas non ha le conoscenze, il background o gli studi che gli consentono di formarsi un’opinione. Gli atleti sono un punto di riferimento per un pubblico più ampio, dovrebbero essere doppiamente attenti nell’esprimere questo tipo di opinioni”.
Il paradosso per cui tutti i giocatori, chi più in bolla chi meno, possano circolare per Flushing Meadows senza essere vaccinati mentre gli spettatori invece devono esserlo – su ordine tardivo del sindaco Di Blasio cui l’USTA che non voleva perdere i benefici dell’incasso si è prontamente adeguata – dimostra quanto alla fine regni una gran confusione e si possano ingenerare due pesi e due misure per troppe situazioni chiaramente conflittuali. Sul Guardian – scrive Tumaini Carayol – i giocatori vaccinati sono soggetti a regole meno stringenti, come poter mangiare nei ristoranti al chiuso, allenarsi in palestre pubbliche”.
Murray si è vaccinato ed è persuaso di aver fatto bene e non solo per evitare la quarantena di 14 giorni che l’Open d’Australia ha imposto a chi giocò l’open nel febbraio scorso: “Da quando mi sono vaccinato mi sento come se mi stessi godendo una vita abbastanza normale. In quanto persone che girano il mondo, abbiamo una responsabilità”.
Torno all’argomento toilet-break.
L’abuso di questi toilet-breaks è intollerabile. E il fatto che non ci sia una regola che li limiti, nei tempi e alla fine anche nel numero, è inaccettabile.
Ci si lamenta – da parte dei network televisivi -delle partite troppo lunghe, si riduce il minutaggio del palleggio di riscaldamento, si introduce il time-clock con i 25 secondi fra un punto e l’altro (ma poi fra la “prima” fallita e la “seconda” si può idugiare quanto si vuole), e poi adesso che finalmente (uno dei pochi effetti positivi post-Covid) si è abolita la barzelletta dell’asciugamano porto incessantemente, punto dopo punto, dai raccattapalle, si consente a chiunque di sparire negli spogliatoi all’infinito. Avendo come unica conseguenza un warning che conta zero. E serve solo a indispettire maggiormente chi è lì sul campo ad aspettare il maleducato che si approfitta di una regola che non c’è.
Stessa cosa per l’MTO (medical time out, per chi non conoscesse l’acronimo). Uno si cura per quanto vuole, e nel momento in cui si rialza, l’arbitro pronuncia quel ridicolo: “Time!”. Potrebbe fare a meno a quel punto…anche se capisco che serva a far partire il countdown dei 25 secondi. Però tutte le volte che lo sento …non riesco a non scuotere la testa.
Vogliamo provare, qui su Ubitennis, ad avanzare delle proposte pur sapendo che non sarebbero di facilissima esecuzione? Proviamoci tutti insieme.
Murray ha avuto ragione quando ha osservato che dal campo dell’Ashe Stadium allo spogliatoio, il percorso è brevissimo e non giustifichi 7 minuti di break, salvo che uno decida di farsi una doccia.
Ma non è dappertutto così. Prima di tutto dipende da club a club e anche da campo a campo. A Tokyo da alcuni campi più periferici allo spogliatoio 5 minuti ci volevano tutti per arrivare …ma soltanto correndo. Quindi ci vorrebbero regole elastiche, flessibili, adottabili da singoli tornei.
Però si potrebbero fissare minutaggi diversi per torneo e, eventualmente, addirittura per campo se fra i più centrali e i più periferici ci fossero distanze importanti, e fosse proprio impossibile creare una toilette chimica nei pressi dei campi più lontani. Con l’arbitro che all’inizio di ogni match dovrebbe informare i giocatori del numero delle volte in cui si possa…infrangere la regola del tennis quale “sport continuato e senza interruzioni”. Avvertendoli anche su quali possano essere le circostanze in cui si possano richiedere i time-out. Mai, ad esempio, prima che tocchi all’avversario servire, almeno per il tennis maschile in cui oggettivamente il servizio ha un’incidenza diversa rispetto al femminile. In campo maschile (sull’erba, su un campo particolarmente veloce) a volte basta un solo break – vedi quanto è accaduto a Murray per aver perso il servizio nel primo game del quinto set – per diventare irrecuperabile. Vero, a contrario, che in un match di una… Errani si dovrebbe utilizzare il criterio opposto: mai interrompere un match quando l’avversaria deve rispondere! Questo lo scrivo per sottolineare che non è poi così semplice mettere giù un regolamento valido per tutte le situazioni. Il discorso di prima
Altro esempio: ieri per Tsitsipas-Murray pare ci fosse un grado di umidità pari all’80%. Così come è accaduto, sia a Flushing sia a Melbourne, Tokyo (ma anche altrove), che ci siano state temperature quasi insopportabili. Anche in quei casi oggettivi– ormai noti dal mattino previa consultazione del meteo – il tournament director, o il supervisor, dovrebbe aver facoltà di intervento e modificare. Come accade per il caso della Heat Policy.
Si potrebbe anche arrivare ad imporre – salvo appunto casi di un’umidità eccezionale – il cambio di maglietta, calzini e scarpe, soltanto sul campo. Con ricorso alla toilette soltanto in caso di esigenza fisiologica. Se si è arrivati a consentire il cambio della maglietta alla Cornet, non possiamo imporlo a Tsitsipas e a Djokovic (che proprio contro Tsitsipas, ma anche con Berrettini) creò un precedente che sicuramente ha ispirato il greco a farsi i fatti suoi, fregandosene delle reazioni di chiunque. Murray ha detto di aver perso il rispetto per lui e ha fatto volare gli stracci. Andy ha sostenuto soltanto la causa del pregiudizio fisico subito. Soprattutto dopo i 30 anni uno stop prolungato non aiuta.
Ricordo che quando giocavo agonisticamente in non più verde età, preferivo tirare a dritto e non fare alcun riposo – nei match tre su cinque ci si poteva mettere d’accordo con l’avversario se fare o meno il riposo a fine terzo set e lo si faceva solo se tutti e due i giocatori erano d’accordo nel farlo – piuttosto che fermarmi e dove ripartire.
Io credo che Andy abbia patito anche un aspetto mentale, ma certo questo lui non poteva ammetterlo, e forse neppure rendersene conto appieno.
Però oltre che per sé stesso e la sua causa Andy ha ragione anche quando accenna all’inconveniente di un prolungato time-out procurato al pubblico sugli spalti e davanti alle tv.
Di certo Tsitsi ieri non si è procurato grandi simpatie. Non a caso tutto il pubblico era schierato a favore di Murray neppure si fosse a Wimbledon.
Ma ATP, Slam e Poteri Forti del tennis hanno forti responsabilità al riguardo. “Si parla da tempo di regolamentare questi aspetti, ma poi non si fa nulla. Io posso sembrare quello che parla perché ha perso, ma in realtà non va bene per la tv e non va bene per il pubblico, non è neanche il massimo che io dopo una partita del genere e con i significati che ha alle spalle stia a parlare di pause per andare in bagno“.
Così ha parlato Andy, che con Novak Djokovic e Marin Cilic (ritiratosi nel match di ieri) era uno dei tre partecipanti all’US Open ad aver vinto uno Slam. Forse non era mai successo prima che a neppure primo turno di Slam concluso ci fosse un solo Slam winner.
Chiudo questo lungo editoriale esprimendo la mia delusione per la sconfitta di Camila Giorgi con una Halep non ancora al massimo. Era un’opportunità, non se l’è giocata al meglio. Soprattutto mi è parso che, nuovamente, non abbia capito granché di come la sua sconfitta sia maturata. Un passo all’indietro, leggendo le sue dichiarazioni, rispetto a quelle che mi aveva fatto a Tokyo e aveva reso anche in Canada dopo il grande torneo vinto. Resto un suo estimatore e ricordando i risultati da over30 delle nostre migliori tenniste confido ancora in suoi nuovi exploit. Purché Camila non osi parlarmi del tennis come soltanto di un lavoro con cartellino da timbrare.