Giovedì abbiamo fatto due chiacchiere con il nostro veterano, che ha appena appeso la racchetta al chiodo, e ci ha raccontato i suoi primi passi da ‘pensionato’. Paolo Lorenzi ha comunicato la decisione di ritirarsi dall’attività agonistica da meno di un mese: una storia più che ventennale, troppo ricca e troppo bella per essere riassunta in poche righe. Per chi volesse ripercorrere le tappe della sua straordinaria carriera, rimandiamo al bell’articolo di Tommaso Villa, o all’intervista che gli abbiamo fatto lo scorso dicembre, in occasione del suo compleanno. Questa volta abbiamo solo voluto sapere dalla sua viva voce come sta affrontando questa nuova fase della propria vita.
Buongiorno Paolo, come sono andati i tuoi primi giorni da ‘pensionato’?
Direi molto bene, anche se è un po’ strano non dover preparare una valigia e partire per tornei. Fortunatamente non ho molto tempo per valutare le sensazioni perché sono molto impegnato.
Cosa stai facendo?
Adesso sono appena sbarcato dall’aereo (ricordiamo che Paolo vive a Sarasota, Florida, ndr) e mi trovo a Siena. Nel fine settimana sarò a Iseo per un’esibizione e poi devo giocare la Serie A con Crema.
Vabbè, allora ti sei ritirato per finta.
Ma no dai (ride, ndr), ho detto basta ai tornei ufficiali e ai punti ATP. La seria A è soprattutto un momento di grande divertimento. Come anche l’esibizione che giocherò appunto a Iseo con Andrea Agazzi nell’ambito del ‘Memorial Carlo Agazzi’. Dopo la partita di esibizione scambierò qualche colpo anche coi bambini della scuola tennis.
Dieci mesi fa avevi detto che avresti smesso il giorno in cui ti fossi accorto che non ne avevi più voglia. E’ successo questo?
Più che altro è successo che il fisico non ha più retto. Nell’ultimo periodo riuscivo ad allenarmi molto meno di quello che avrei voluto e dovuto. Il tracollo è stato in gennaio quando ho subito uno strappo al polpaccio. E per me, che in carriera non avevo mai avuto infortuni gravi, è stato strano ritrovarmi con le stampelle. Dopo ho sempre dovuto pensare più a recuperare che ad allenarmi.
E quando eri in campo che sensazioni avevi?
Fondamentalmente mi ero accorto che arrivavo in ritardo sul colpo e questo non mi permetteva di fare le scelte che volevo, ero sempre costretto a rincorrere la palla e le iniziative dell’avversario. Poi è stato duro scoprire che anche se vincevo una partita il giorno dopo non ce l’avrei fatta a recuperare per scendere di nuovo in campo. E per me, che avevo il mio punto forte proprio nella durata e nella resistenza alla fatica, è stata una brutta sorpresa. Se prima prolungare le partite non era mai stato un problema, adesso sapevo che se andavo al terzo il giorno dopo avrei fatto fatica ad alzarmi dal letto.
Ti sei fermato a due sole vittorie dal record assoluto di Ruben Ramirez Hidalgo come vittorie Challenger (421 contro 423, ndr).
Peccato, devo anche dire che la pandemia non mi ha aiutato. In quei sette mesi di completa inattività un paio di partite forse le avrei vinte, no? (ride, ndr). Poi in realtà avrei anche potuto giocare qualche altro Challenger, visto che la classifica mi permetteva ancora di entrare in tabellone, ma ho preferito chiudere allo US Open, nel mio Slam preferito. Tra qualche anno mi piacerà ricordare di aver giocato la mia ultima partita a New York e non in qualche posto anonimo.
Hai seguito gli ultimi US Open?
Sì certo, cerco sempre di seguire gli italiani che questa volta erano particolarmente numerosi. Poi c’era anche Djokovic che doveva realizzare il grande Slam.
Hai un’opinione nel dibattito sul GOAT? Djokovic, Federer o Nadal?
Djokovic vincendo a New York avrebbe probabilmente posto fine a ogni discussione. Adesso ognuno rimarrà della propria opinione, lo stile di Federer, la mentalità di Nadal o la continuità impressionante di Nole. E’ impossibile dire che uno è meglio di un altro…io poi non ho vinto con nessuno di loro (ride, ndr).
A proposito di italiani, tu avevi profetizzato che, nel giro di qualche anno, avremmo avuto Sinner n.1 e Musetti in top 10. Direi che ci stiamo avvicinando, cosa pensi della loro annata?
Sicuramente molto positiva, non dimentichiamo che Sinner sta lottando per qualificarsi per le ATP Finals e Musetti, dopo la semifinale ad Acapulco, ha giocato in maniera incredibile a Parigi. Poi i passaggi a vuoto sono fisiologici, se no a cosa servirebbe l’esperienza? Ci sono quelle occasioni in cui sbagliano proprio il torneo, forse perché si trovano a sperimentare campi e situazioni che non conoscono. Ci sta.
Paolo, adesso ti dobbiamo chiamare collega?
Ancora no, devo fare ancora tanta gavetta (ride, ndr). Però a Wimbledon con Sky mi sono davvero divertito e, se non altro, ho portato bene. Alla mia prima collaborazione un italiano in finale, cosa potevo pretendere di più?
A parte Sky quali programmi hai per il futuro?
Ovviamente mi piacerebbe rimanere nel mondo del tennis. Per fine settembre spero di poter essere più preciso.