I tennisti si sa, sono girovaghi per definizione e per attitudine, con il borsone in mano (alle volte quello di un lungo viaggio), pronti a sfidarsi in un infinito tour in giro per il mondo: non potrebbe essere diversamente. In tutto questo girovagare è ovviamente normale, potremmo dire quasi umano (perché sì i tennisti lo sono), che ci siano dei luoghi che trasmettono particolari emozioni o rievochino ricordi importanti, vuoi per il contesto, vuoi per l’oggettivo valore del ricordo stesso legato a qualcosa che resta dentro.
Questa è la sensazione che prova Andy Murray, per sua stessa ammissione in un’intervista rilasciata a Tennis.com, ogni volta che torna a giocare a San Diego, dove quest’anno ha ottenuto una wild card. Il motivo è lui stesso a spiegarlo: “In questa città ho dei ricordi stupendi legati al successo ottenuto con la Gran Bretagna in Coppa Davis. Da questa stupenda città è infatti partita la rincorsa alla vittoria del 2015; ricordo benissimo quelle partite. Le giocammo all’interno dello stadio di baseball (il PETCO Park casa dei San Diego Padres) in un campo in terra improvvisato. Quando qualcuno mi chiede in quale posto torno con piacere, San Diego è sempre tra i miei preferiti insieme a Vancouver”.
Certo, viaggiare. Ma per un giocatore che arriva da Metz, scegliere San Diego come tappa del proprio tour, non è proprio la scelta migliore e più semplice. Viene spontaneo chiedersi perché: “Ho scelto di giocare qui per diverse ragioni. La prima di queste è che vorrei adattarmi subito alle condizioni climatiche e al cemento outdoor. Certo, arrivare qui dall’Europa e scendere subito in campo con il jet leg addosso non è la cosa più semplice del mondo ma sono sicuro che c’è un’ottima atmosfera qui che mi aiuterà a dare il meglio. Al primo turno giocherò con Kei Nishikori (in realtà il giapponese si è ritirato per problemi alla schiena e Murray ha dovuto battere in due set il lucky looser Denis Kudla n.d.c.) ; ho giocato con lui alcuni match memorabili e per me questo è un buon test per capire il mio stato di forma”.
Molto belle le parole che, in conclusione, lo scozzese ha riservato alla sua famiglia e al ruolo che la stessa ricopre e ha ricoperto nel suo ritorno al tennis giocato dopo le innumerevoli agonie fisiche: “La mia famiglia è stata decisiva nell’aiutarmi a tornare in campo, soprattutto mia moglie. Non credo che per me sia un obbligo giocare a tennis, ma mi piacerebbe che i miei figli riuscissero a venire a vedermi giocare e che magari cominciassero ad amare a pieno questo sport. Ovviamente gestire quattro figli è molto impegnativo e di questo ringrazio mia moglie che occupandosi a pieno delle loro esigenze, delle loro necessità e della loro crescita mi ha permesso di concentrarmi maggiormente sul tennis, campo nel quale credo di avere maggior padronanza. Tenere tutti sotto controllo non è semplice e tra il tennis e la gestione dei figli, beh direi che gestire quattro figli sia nettamente più complicato (come dargli torto?! n.d.c.); ah se non bastasse abbiamo anche due cani!”.
Non vorremmo avere la presunzione di aver capito il perché della sua ostinata voglia di tornare a giocare, ma forse adesso un’idea ce la siamo fatta…