La clamorosa trasvolata newyorchese della ragazza ha sconquassato il mondo della pallina, e per una volta “clamoroso” non è un aggettivo regalato generosamente alle prime pagine dei giornali. La Grande Mela è esplosa con deflagrazione poco sperimentata in precedenza: la colpa, insieme al merito, tutta di Emma Raducanu. Entrata nel torneo dal pertugio delle qualificazioni da centocinquantesima classificata nel ranking WTA, la ragazzina è andata a vincere il primo Major della sua vita senza perdere un singolo set, e finendo per rendere eroica la prestazione della carneade georgiana Miriam Bolkvadze, unica a raggiungere i cinque game in una singola frazione, al primo round del tabellone cadetto.
Atterrata alla posizione ventidue tra le migliori tenniste del globo, e volentieri appesantita da un assegno ammontante a 2,5 milioni di dollari, la ragazza simbolo dell’era global nata a Toronto da madre cinese, padre rumeno e provvista di passaporto britannico è sembrata un po’ a tutti perdere l’orientamento. Ci può stare, a diciotto anni è difficile tenere ben salda la bussola, sempre che di momentaneo smarrimento si tratti. Come tutti sanno il coach del miracolo Andrew Richardson è stato licenziato qualche settimana fa dalla giocatrice, ma sembra difficile non scorgere dietro le quinte dell’operazione la regia di papà Ian. Le polemiche, specie nel Regno, sono seguite a pioggia. In un ambiente abituato a fare dolorosi conti con padri-padroni e ragazzine sottomesse senza riguardi, il dito dell’opinione pubblica si è immediatamente indirizzato verso il patriarca Raducanu, presunto e presumibile reo di interferenze e decisioni non richieste ma nondimeno imposte.
La fabula con il capoazienda despota, il padre autocrate oppressore, è andata così tante volte in pubblicazione negli anni da rendere facili eventuali ristampe, peraltro vendibilissime: ma Ian Raducanu non sembra essere Marinko Lucic, aduso a giustificare gli schiaffoni inferti alla figlia Mirjana come necessarie conseguenze ai di lei comportamenti. Né somiglia a Damir Dokic, barbuto e violento padre della bella e fragile Jelena, tra le tante prepotenze espulso dall’Open degli Stati Uniti causa aggressione al personale ritenuto responsabile dei prezzi salati del salmone à la carte. Non rimembra, infine, il temuto Jim Pierce, addirittura raggiunto da un ordine restrittivo per tutelare la vessata figlia Mary dai frequenti maltrattamenti imposti dal patriarca.
Secondo Ian White, eretico giornalista di casa Telgraph, Ian Raducanu è semplicemente un pensatore libero: “Si tratta di un uomo abituato a ragionare in modo non convenzionale, diverso. Applica un approccio interrogativo allo sviluppo di Emma, ma non per questo è un prevaricatore, tutt’altro“. Un approccio, secondo White, destinato a essere rigettato da un ambiente – e in particolare dall’universo dei coach – definito chiuso, gerarchico e impermeabile alle novità proprio perché spinto da un forte senso di autoconservazione. “Lo scetticismo di Raducanu padre destabilizza il clan degli allenatori, per il motivo stesso che ne mette in dubbio l’onniscienza. L’allenatore, nella sua logica conservatrice, deve essere ritenuto onnipotente perché sia garantita la continuità del suo impiego, perché sia visto come indispensabile. Ian Raducanu crede invece che ogni coach possa portare un mattone diverso nella costruzione di una giocatrice, e una volta che la fonte non ha più nulla di nuovo da insegnare sia corretto abbeverarsi a quella successiva“.
Inutile sottolineare come tale schema venga esacerbato dalla spiccatissima capacità di apprendimento di cui Emma sembra essere dotata. “Se i coach preferiscono che madri e padri dei giocatori si limitino a far loro da tassisti un motivo c’è. Non vogliono che venga intaccata la loro supremazia. Quando qualcuno prova a ragionare, a farsi domande, a porre dei dubbi, subito viene etichettato come un maniaco del controllo, invece è solo un modo differente di analizzare le questioni. Non credo che l’avvento di Ian Raducanu rappresenti il ritorno del prototipo raccapricciante del padre delle tenniste che abbiamo imparato a conoscere. Può darsi si tratti del simbolo di una nuova, accattivante direzione“.
Abbandonato Andrew Richardson, Emma è al momento consigliata da Jeremy Bates, l’ex professionista da Solihull che l’ha accompagnata a Indian Wells nella sfortunata prima uscita post-trionfo. Ma nel percorso abbacinante compiuto negli ultimi mesi dalla teenager un altro coach de facto ha avuto la sua bella importanza per la felice riuscita della scalata all’olimpo. Si tratta di Tim Henman, of course, giunto a New York indossando gli abiti dell’esperto per Amazon Prime UK e ripartito da consigliere speciale di Raducanu figlia. Interrogato sulla spinosa faccenda, al solito pacato ed elegante, Timbledon ha dispensato tranquillità e predicato calma.
“Emma non ha ancora preso alcuna decisione definitiva riguardo al prossimo coach, e sinceramente non è questo il momento di pensarci. Potrà farlo nel corso della off season, tra novembre e dicembre, a bocce ferme. L’unico suggerimento che mi sento di darle adesso è di non ascoltare le voci sul suo conto, poiché se ne sentiranno sempre di più e sono cose sulle quali lei non ha nessun controllo. Scelga con calma, e si concentri su ciò che può dominare. Otterrà risultati ancora più grandi“. Tra le molteplici e moltiplicantisi opinioni, scegliere quella di Tim sembra quasi sempre una buona idea.