Forse stavolta Garbine è tornata per restare. Ne è passato di tempo dal biennio d’oro 2016-17, arricchito dai due titoli Slam al Roland Garros e Wimbledon che spedirono Muguruza, ventitreenne al momento del trionfo a Church Road, verso un futuro da obbligatoria stella della racchetta interplanetaria. Quattro anni, dicevamo, vissuti perlopiù seduta su una scorbutica altalena: qualche picco, parecchie prestazioni deludenti, altrettante aspettative non rispettate. Poi una stagione costante, visti i recenti standard, come non se ne vedevano da chissà quanto, chiusa con la deflagrazione di Guadalajara. “Non penso di aver giocato male a tennis in questi anni – ha dichiarato Garbine con la coppa sul desk nella conferenza stampa post trionfo -, solo non sono riuscita a essere per nulla costante. Ho giocato bene qui, male lì, senza trovare continuità per lunghi periodi. Ho forse avuto qualche infortunio di troppo. In particolare, non ho offerto grandi prestazioni negli Slam, i tornei che la gente si ricorda di più, ma ho sempre saputo di avere il tennis per provare a vincerli di nuovo“.
Di chance nei Major Muguruza ne avrà, già a partire dal prossimo gennaio; intanto l’antipasto è di quelli gustosi, se antipasto può essere definito il Master di fine anno. Di sicuro Garbine, da oggi e almeno fino a gennaio nuova numero tre del mondo, ha già fatto la storia: nessuna giocatrice spagnola, e di forti la storia ne ha offerte, era mai stata capace prima d’ora di vincere le Finals. “Un torneo difficilissimo, ma è banale dirlo. Sei attorniata dalle più forti giocatrici del mondo, è una sorta di playoff dell’intera stagione trascorsa. Una bella aggiunta alla mia collezione. Di sicuro cercherò di far spazio in bacheca ai due Slam che ancora mi mancano. Questo non è uno Slam, ma il suo valore è identico“.
Nata a Caracas, latinoamericana per nascita e vocazione, nei dieci giorni trascorsi nel Jalisco Muguruza è scesa in campo con una faccia diversa dal solito, più convinta, più consapevole. Il merito è gran parte accreditabile a un pubblico che l’ha totalmente adottata, sospinta, portata in pompa magna verso il successo. Una legione schierata al suo fianco che non sarebbe stato possibile deludere in alcun modo.
“Ogni volta che ho giocato in Messico, non solo qui a Guadalajara, ho ricevuto un sostegno impressionante. Ho pressato per tutto l’anno il mio team dicendo loro ‘quest’anno le Finals si giocano in Messico, dobbiamo assolutamente riuscire a qualificarci‘. Ho assorbito così tanta energia positiva in questi giorni, anche quando il torneo è iniziato male sapevo che le condizioni erano quelle perfette per girare la situazione a mio favore. Conchi (Conchita Martinez, coach di Muguruza, NdR) continuava a ripetermelo: hai perso una partita ma hai ancora una chance, la gente è dalla tua parte, vai a prendertela. Incredibile. Anche per questo, io amante del controllo emotivo, alla fine mi sono lasciata completamente andare. Volete sapere una cosa? Il mio manager Oliver ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere: ‘Forse questa è la prima volta nella tua carriera che riesci a davvero a usare il pubblico come un’arma a favore’. Dovrei continuare“.
Un vigore infuso che potrebbe garantire benefici effetti anche nel medio periodo. “Può darsi, sicuramente alcune vittorie cambiano il livello di fiducia e la percezione di noi stessi, in campo e fuori. Però lasciatemelo dire: questo è il momento di celebrare. Mi piace l’idea di essere diventata Maestra (lo dice proprio così, alla latina, NdR), sono questi i momenti per cui vivo, per vincere trofei del genere: mi interessano infinitamente più di qualsiasi ranking“. Vinta una partita qualche anno fa al culmine di un periodo complesso, Garbine scrisse sulla canonica telecamera a fine match “Mugu is back”. “Infatti credo uscii al turno successivo. Stavolta niente previsioni, insieme al team mi limiterò ad andare a bere un po’ di tequila in città, siamo nel posto giusto e ce lo siamo meritato!“.