Bianca Andreescu
L’ultima finale Slam giocata da Serena Williams risale a due anni fa, allo US Open 2019. Finale persa (come tutte le quattro disputate dopo la maternità) contro la giocatrice più sorprendente di quella stagione: Bianca Andreescu. Andreescu si era rivelata al circuito WTA con una serie di prestazioni straordinarie. Aveva esordito in gennaio come numero 152 del ranking e, vittoria dopo vittoria, era salita in classifica fino a chiudere il 2019 da numero 4 del mondo.
Cinque finali raggiunte, quattro vinte: Newport Beach, Miami, Toronto, US Open. E questo malgrado la parte centrale di calendario (quella europea su terra ed erba) praticamente tutta saltata per infortunio. Nel 2019, Andreescu aveva dimostrato grandi qualità tecniche, ma aveva anche lasciato intravedere alcuni limiti: la fragilità fisica e la tendenza a cali di tensione all’interno dei match, che la obbligavano a vincere al terzo set partite che sembrava potesse chiudere in due.
Le imprese di quella stagione così speciale le erano valse la qualificazione alle WTA Finals di Shenzhen. Ma proprio nel torneo di chiusura si era infortunata al ginocchio. Non una cosa da poco: un infortunio da risolvere con una operazione, e recupero quantificato in diversi mesi. Nel frattempo era arrivato lo stop delle competizioni causato dalla pandemia che, unito a qualche intoppo durante la convalescenza, aveva significato per Bianca non scendere mai in campo nel 2020: zero match disputati.
Un anno folgorante, il 2019, seguito da un anno intero senza partite, il 2020. Comprensibilmente il 2021 di Andreescu era atteso dagli appassionati con grande interesse e curiosità. Anche perché la storia del tennis ci ha insegnato che nella carriera delle giovani giocatrici capaci di grandi exploit, l’anno della conferma si rivela il più complesso da affrontare. E a conti fatti anche Andreescu non si è sottratta a questa regola.
Cominciamo dal fondo: a stagione terminata Bianca è uscita dalle prime del ranking, chiudendo la classifica da numero 46. Per quanto mi riguarda, mi aspettavo delle difficoltà, ma non così profonde, e alcune sconfitte mi hanno sorpreso in negativo, anche se per ragioni differenti. Nei primi tre Slam ha vinto un solo match (il primo turno a Melbourne contro la lucky loser Buzarnescu), perdendo contro Hsieh in Australia (6-3, 6-2) e contro Cornet a Wimbledon (6-2, 6-1). Due avversarie ultratrentenni, sicuramente esperte, ma non nella miglior fase della carriera. E oltre alle sconfitte in sè, deludono i pochi game raccolti nei due match.
Un po’ diversa la situazione al Roland Garros e allo US Open. A Parigi Andreescu è uscita all’esordio contro Tamara Zidansek, al termine di una partita lottatissima (6-7(1) 7-6(2) 9-7). Sul momento appariva come un grave passo falso, visto che Zidansek era numero 85 del ranking. Poi però lo sviluppo del torneo ha reso obbligatoria una rivalutazione di quella sconfitta, visto che Tamara si è spinta sino alla semifinale, eliminando fra le altre anche una giocatrice in grande ascesa come Paula Badosa.
A New York invece Andreescu ha finalmente vinto qualche match in più (contro Golubic, Davis e Minnen), ma si è fermata contro Maria Sakkari (6-7(2) 7-6(6) 6-3), al termine di una partita che non mi ha convinto sul piano tattico. Perché se è vero che Sakkari ha poi dimostrato tutto il suo spessore chiudendo il 2021 da numero 6 del mondo e da semifinalista al “Masters” di Guadalajara, non penso che Bianca abbia fatto bene a impostare il match puntando su grandi botte centrali da fondo.
Troppo spesso, secondo me, ha rinunciato alle variazioni di ritmo che aveva dato prova di saper mettere in campo nei momenti migliori del 2019. Ne è uscito un confronto più fisico che tecnico, più affine alle caratteristiche di Sakkari che a quelle di Andreescu, tanto è vero che Bianca ha finito per cedere alla distanza, in deficit di energie (6-7(2) 7-6(6) 6-3).
Al di fuori degli Slam, il rendimento medio non è stato esaltante. Solo due volte Andreescu ha vinto più di due match di fila: al Phillip Island Trophy, il WTA 250 di “consolazione” per che era uscita nella prima settimana dell’Australian Open e, soprattutto al WTA 1000 di Miami, già vinto nel 2019.
Quest’anno Bianca ha perso in Florida solo in finale (per 6-3, 4-0 e ritiro) contro la numero 1 Barty. Nel corso del torneo di marzo abbiamo rivisto sprazzi della Andreescu di due anni fa: in positivo, ma anche in negativo. In positivo per la naturale capacità di inventare gioco e di trovarsi a suo agio in qualsiasi zona del campo. In negativo per la tendenza a calare di rendimento in alcuni frangenti di match, che troppo spesso l’hanno obbligata alla distanza dei tre set.
Su cinque partite affrontate a Miami prima della finale, quattro volte Bianca ha dovuto ricorrere al terzo set (contro Anisimova, Muguruza, Sakkari e Sorribes Tormo), vincendo in due set solo all’esordio contro le numero 125 Martincova.
In tutta la stagione, su 17 vittorie ottenute, 11 volte ha avuto bisogno del terzo set. Le 6 vittorie ottenute in due set sono tutte arrivate contro giocatrici fuori dalle prime 80 del mondo. In pratica nel 2021 appena Bianca si è misurata contro avversarie di un certo livello, ha sempre dovuto concedere almeno un set. Non una buona cosa per una giocatrice che ha dimostrato di non avere un fisico indistruttibile.
Insomma, il 2021 di Andreescu ha sollevato alcune perplessità, che probabilmente hanno lasciato insoddisfatta la stessa Bianca, visto che nel mese di giugno ha deciso di interrompere la collaborazione con Sylvain Bruneau, il coach che la seguiva da quattro anni, e che aveva condiviso con lei le grandi imprese del 2019.
Per sostituirlo, la scelta è caduta su Sven Groeneveld (ex coach di Maria Sharapova), che l’ha affiancata a partire dai tornei della estate americana. Al momento è troppo presto per valutare il cambio tecnico; se ragioniamo sullo Slam americano, direi che ci sono state luci ed ombre. Luci perché il quarto turno raggiunto rappresenta il miglior risultato nei Major del 2021. Ombre, come detto, determinate dalla impostazione del match perso contro Sakkari, poco convincente.
Viste come sono andate le cose, nel 2022 Bianca scenderà in campo con meno aspettative e pressioni. Anche per questo sono convinto che, se non avrà problemi fisici, il rendimento non potrà che migliorare. Aggiungerei infine una novità che potrebbe rivelarsi un ulteriore elemento positivo: l’ascesa della connazionale Leylah Fernandez, che le ha strappato la leadership del Canada (oggi Bianca è numero 46, mentre Leylah è numero 24).
La recente storia del tennis ha dimostrato che lo spirito di emulazione può favorire il miglioramento di giocatrici della stessa nazione. Negli anni duemila abbiamo avuto diversi casi. Dalla Russia al Belgio, dalla Serbia all’Italia, dalla Repubblica Ceca alla Svizzera, dalla Spagna alla Francia, spesso la presenza contemporanea di tenniste di livello simile ha finito per trasformarsi in un potente motore di crescita, con più giocatrici capaci di raggiungere la Top 20 – Top 10, a volte sino al numero 1 (vedi QUI e QUI). Chissà che anche il Canada non possa vedere Andreescu e Fernandez spingersi reciprocamente ai vertici della prossima WTA.
a pagina 3: Emma Raducanu