Johanna Konta non riesce a ricordare un tempo in cui la sua vita non fosse segnata dal tennis. Allo stesso tempo, però, non vede l’ora di scoprire cosa ci sia oltre le verdi ambientazioni pastorali di questo sport, nel quale non ha lasciato nulla di intentato in una carriera decennale che l’ha vista diventare portabandiera del tennis femminile in Gran Bretagna.
Konta, 30 anni, ha annunciato il suo ritiro mercoledì 1 dicembre, chiudendo il libro su una carriera di successo, sempre in lotta, che l’ha vista diventare la prima donna britannica a classificarsi nella Top 5 dal 1984 quando è arrivata al N.4 nel 2017. “Process” [intesso come processo di sviluppo e maturazione a lungo termine, ndr] è stata una parola chiave per Konta mentre affrontava gli alti e bassi dell’essere una delle giocatrici d’élite, e non sorprende che si sia presa del tempo prima di prendere la decisione di appendere le sue racchette al chiodo, un processo, appunto, che ha caratterizzato la sua ultima stagione.
“Volevo sedermi con i miei sentimenti e le mie emozioni e concedermi il tempo per prendere una decisione“, ha detto Konta a WTA Insider dalla sua casa in Inghilterra. “Quel processo mi ha anche dato un po’ di pace perché il mio ritiro non significa in alcun modo che non mi piaccia più lo sport o che non riesca più a vedermi giocare. Anche ora, seduta qui, giocare mi manca. Mi manca quella vita perché è l’unica vita che conosco da quando ho memoria. Quindi è in qualche modo interessante districarsi da qualcosa a cui sei stata attaccata per così tanto tempo”.
Konta è stata tre volte semifinalista Major, all’Australian Open 2016, Wimbledon 2017 e Roland Garros 2019. Ha conquistato il suo titolo di maggior prestigio al WTA 1000 di Miami nel 2017, sconfiggendo in successione Simona Halep, Venus Williams e Caroline Wozniacki. Il suo ultimo titolo è arrivato quest’estate sull’erba di Nottingham. […]
Konta è stata anche una delle prime sostenitrici dell’importanza della salute mentale nello sport. Ha attribuito la sua svolta di metà carriera – è la prima a ricordare di aver trascorso la maggior parte della sua carriera nell’ITF Pro Circuit – al lavoro che ha svolto con il suo mental coach, Juan Coto, che le ha fornito strumenti inestimabili non solo per il tennis, ma per la vita. È stata una scalata ardua per Konta, ma che lei dice non scambierebbe con nessun’altra cosa. Sacrifici e turbolenze hanno superato i trionfi finali, ma il suo viaggio l’ha forgiata nella donna che è oggi, cosa di cui non è altro che orgogliosa.
“Sono in qualche modo un esempio per le persone che si sentono troppo vecchie per farcela in qualsiasi cosa, per le persone a cui è stato detto che non sono niente di speciale o non così brave o che il loro tempo è finito, o che non mostrano molto potenziale. Sono un esempio per quei giocatori e quelle persone che basano la loro carriera sulla resilienza e sul duro lavoro”.
Nella sua intervista con WTA Insider, Konta descrive in dettaglio il suo processo decisionale e come ha realizzato che era ora di iniziare il suo prossimo capitolo.
WTA Insider: Come sei arrivata alla decisione di ritirarti?
Konta: Non è stata una decisione presa nell’ultima mezz’ora e non è stata nemmeno presa negli ultimi due mesi. È qualcosa che ha richiesto del tempo. Volevo darmi tempo per capire se questo è davvero quello che voglio fare o se è solo un periodo difficile. Ci sono così tante volte nella carriera in cui potresti facilmente essere tentata di dire: No, non voglio avere più niente a che fare con tutto questo [ride]. Volevo sedermi con i miei sentimenti e le mie emozioni e concedermi il tempo per arrivare alla decisione. Quel processo mi ha anche dato un po’ di pace perché il mio ritiro non significa affatto che non mi piaccia più lo sport o che non possa vedermi giocare più. Anche ora, seduta qui, mi manca giocare. Mi manca quella vita perché è l’unica vita che conosco da quando ho memoria. Quindi è interessante districarsi da qualcosa a cui sei stata attaccata per così tanto tempo.
Ero con mia madre a Wimbledon non molto tempo fa e lei diceva: “Oh mio Dio, non ti vedrò mai più giocare qui, è stata una parte così importante della mia vita”. Le ho risposto: ”Esatto, mamma”. Ma era solo parte della tua vita, mamma. Per me è stata tutta la vita. È una cosa interessante per me da realizzare, il fatto che in realtà non ho alcun ricordo slegato a quello che ho fatto nello sport. Quindi sono letteralmente in una situazione in cui devo reinventarmi o ritrovarmi nel mondo, nella vita, nella mia vita, con uno scopo, interessi e capacità. È una cosa molto scoraggiante e spaventosa, ma sembra giusta. Perché quando penso, OK, tornerò là fuori, anche quando mi manca e penso di ricominciare, alla fine… anche no.
WTA: Possiamo definirla in qualche modo una… separazione consensuale?
JK: Penso che “lutto” sia una buona definizione per descrivere una parte perché sì, è una specie di rottura, ma l’unica cosa che direi essere diversa è che non si tratta di qualcosa successo all’improvviso e poi affrontata. Stavo giocando con tutti questi sentimenti e pensieri da un anno. Quindi questa non era una decisione fatta e finita. Erano piccole decisioni. Erano piccoli momenti che si andavano a sommare, ed era letteralmente il tempo di farlo. Ma di sicuro, anche ora, seduta qui, penso di andare in Australia, giocare, stare al sole, partecipare al torneo. Non penserò mai a quella parte di questa esistenza come “Oh, no, è stato terribile”, perché è letteralmente ciò che sognavo come sogna una bambina che vuole diventare una tennista professionista. Sogni di andare a questi tornei. Sogni di giocare in quelle condizioni, al caldo, al sole e con la gente intorno. Se mai non vorrai farlo come tennista, voglio dire, è un’esistenza molto difficile.
Per me si tratta solo di garantire il mio benessere emotivo, mentale e fisico, di essere nella posizione di avere quell’energia necessaria e lavorare per essere in grado di competere. È quel legame [con lo sport] che ti consente di convincerti a continuare nonostante il dolore. Ho solo esaurito la benzina per tutto questo. Quindi, quando arrivi a quel punto non puoi più mettere in mostra la tua parte migliore perché non hai lavorato abbastanza per poterlo fare, e come in un circolo vizioso semplicemente non hai l’energia per metterti al lavoro in prima istanza. Giocare al tuo meglio richiede un grande impegno. È un qualcosa che ti chiede molto, non solo nei risultati, ma nel sottoporti al giudizio degli altri. Quando vado al lavoro, tutti hanno un’opinione, anche il cane degli spettatori ne ha una. Quando ti senti pronto a fare quell’investimento psicofisico, è solo una parte dell’essere un tennista professionista. Ma una volta che senti che non puoi, allora penso che sia il momento in cui, beh, non posso davvero farlo come vorrei, non ci riesco. Non posso dare tutta me stessa per questo perché semplicemente non ho più nulla da dare.
WTA: Quando ho parlato con Julia Goerges l’anno scorso e Kiki Bertens quest’anno, hanno detto cose molto simili. La motivazione per giocare tornei su grandi campi contro i migliori non è quello che manca. Riguarda i sacrifici che tutti voi dovete fare dietro le quinte per arrivarci e se, in questa fase della vostra vita, sia possibile o ne valga la pena.
JK: Esatto. E penso che sia una bella narrativa sentire effettivamente altre giocatrici dirlo perché è quella parte che alla fine è sotto gli occhi di tutti voi. Ti dedichi a questo lavoro, a questo tipo di esistenza per essere in grado di fare ciò che la gente vede. Al giorno d’oggi, se non hai più carburante e motivazione per tutto questo, non puoi farlo perché in realtà non sarai a un livello abbastanza alto per competere. Ci sono stati pochissimi giocatori nella storia che hanno potuto permettersi di fare una cosa del genere, di centellinare il loro impegno. Molto, molto pochi. E probabilmente direi solo una manciata di giocatori che possono semplicemente presentarsi in campo, ma il talento dato loro da Dio è così grande che possono farla franca senza tutto quel lavoro. Per il 99% dei giocatori c’è questo sacrificio. Stai facendo la tua piccola danza intorno al fuoco, sacrificando te stessa agli dei.
WTA: Quando alla fine hai maturato davvero la decisione di ritirarti? O pensi ancora di doverla maturare?
JK: Ricordo quando sono tornata dagli Stati Uniti, è lì che è culminata questa sensazione e ho sentito che la decisione stava arrivando. Non molto tempo dopo, mi sentivo come se stessi prendendo la decisione. Ho tenuto stretta la racchetta nelle mani, perché la stavo mettendo via e ho iniziato a piangere. Quindi, in questo senso, è una rottura. Ma è amichevole perché non guardo indietro alla mia carriera e non la giudico in base a tutto ciò che mi è servito per raggiungerla. Mi guardo indietro e vedo tutto ciò che mi ha dato e tutto ciò che mi ha permesso di sperimentare. La vedo sicuramente così, non dal lato negativo di ripensare a tutto ciò che è servito per sperimentare quelle cose.
Traduzione a cura di Michele Brusadelli