Luca Vanni, classe 1985, è una figura leggendaria nel mondo di Ubitennis, visto che il suo nome è la sintesi della premiata ditta Luca Baldissera-Vanni Gibertini! Scherzi a parte, Luca (Vanni, a scanso di equivoci) ha recentemente deciso di ritirarsi dalle competizioni con all’attivo un best ranking di N.100 raggiunto nel maggio 2015. Nello stesso anno ha sfiorato un titolo ATP, venendo sconfitto da Pablo Cuevas solo al tie-break del terzo sulla terra indoor di Sao Paulo. Per lui anche sette finali Challenger con cinque titoli e quattro main draw Slam: Roland Garros e Wimbledon 2015, Australian Open 2017 e 2019.
Di seguito l’intervista che abbiamo realizzato con lui per parlare della sua carriera e di un futuro che si preannuncia pieno di impegni, sia dentro che soprattutto fuori dal campo.
Buongiorno Luca, a settembre hai annunciato il tuo ritiro dalle competizioni. È stata una decisione sofferta?
Puoi dirlo, è stata una decisione che mi fa stare male tuttora. Pensarmi come ex-giocatore non è facile per niente. Adesso ho appena finito di giocare il campionato a squadre in Francia (con i bretoni del Quimperlé che sono arrivati secondi battuti da Tolosa, ndr) e la serie A2 qui col Sinalunga che ha ottenuto una trionfale promozione. E quando scendo in campo sento ancora l’adrenalina, provo ancora sensazioni da giocatore.
Allora, se posso chiedertelo, chi te lo ha fatto fare?
Un po’ le ginocchia che continuano a farmi male [ricordiamo che tra il 2006 e il 2019 ha subito ben quattro interventi, ndr], un po’ i 36 anni e soprattutto il fatto che a metà gennaio la mia compagna Francesca partorisce Giulia e allora, come suol dirsi, dovevo mettere la testa a posto. Ormai s’imponevano una stabilità economica e una maggior presenza in famiglia.
Adesso di cosa ti stai occupando?
Ho iniziato a collaborare con ‘Unus Tennis Communitas’ che fa base al Circolo di Sinalunga e che si avvale di prestigiosi collaboratori come Giovanni Galuppo, Alessandro La Cognata, Sandra De Amelio e l’ex Top 200 argentino Diego Alvarez. Con questo gruppo di lavoro mi sono impegnato per 20 settimane l’anno durante le quali faccio anche da coach ad Andrea Pellegrino.
Per quanto riguarda le altre 32 settimane ormai mi hai bruciato la domanda. Immagino che cambierai i pannolini a Giulia.
Mi sa proprio che hai ragione [ride, ndr], anche perché con le restrizioni Covid i nonni avranno qualche problema a dare una mano.
A proposito di Pellegrino, ora il tuo pupillo è campione d’Italia a squadre con la New Tennis di Torre del Greco. È contento?
Sì, vincere è sempre bello. Soprattutto considerando che per lui quella del Palasport di Cesena era forse la superficie peggiore in assoluto. La settimana precedente ci eravamo allenati intensamente al Sinalunga, però su un campo un po’ più lento.
Così l’anno prossimo può succedere che vi affrontiate in serie A, sempre che tu continui a giocarla.
Alla grande che continuo [ride, ndr]. Ora che siamo tornati in A1 dopo un anno di purgatorio mica voglio perdermi il divertimento.
È stata una bella soddisfazione, vero?
Sì, eravamo una squadra davvero forte. Sarebbe stata una sorpresa se non ce l’avessimo fatta. Matteo Gigante e Marcello Serafini si esprimono già da Top 300 ATP, lo spagnolo Roca Batalla gioca ancora ad ottimi livelli (N.386 ATP) e Bracciali, con la mano che si ritrova, potrebbe continuare a giocare il doppio all’infinito. Poi io e Miceli facciamo i jolly. [Luca nello spareggio contro Monza ha vinto il suo incontro 6-4 1-6 6-3 con Andrea Borroni, ndr]
Tornando a Pellegrino, mi risulta che tu nei confronti diretti sia ancora avanti 2-1. Dico bene?
Dici bene [ride, ndr]. E ti dirò che sul veloce potrei ancora provare a dargli noia. Non a vincere, però potrei costringerlo ad impegnarsi.
Va a finire che torni in campo.
Mi hai beccato [ride, ndr]. Non lo escludo, ma ovviamente senza più pensare ai punti ATP, alla Top 200 e a cose del genere. Ma qualche torneo qua e là e i campionati a squadre…perché no? Sai se giochi solo la domenica poi hai tempo per recuperare e allora c’è ancora spazio anche per noi vecchietti.
In ogni caso in questa tua ultima stagione da ‘vecchietto’ hai battuto giocatori come Nino Serdarusic, Ryan Peniston, Tristan Lamasine e Thomas Fabbiano.
Eh sì, poi mi sono difeso alla grande con Salvo Caruso, Jiri Lehecka e Raul Brancaccio, solo per fare qualche nome. Diciamo che sulla singola partita ero ancora abbastanza competitivo.
Tu hai iniziato a giocare seriamente a tennis un po’ tardi. Pentito?
Fino a 19 anni ho fatto la scuola pubblica e al massimo riuscivo a giocare qualche Open, ma a non troppo lontano da casa. Finita la scuola sono andato a Perugia da Castellani e dopo un mese mi sono fatto male al ginocchio. Una volta guarito non sono tornato perché avevo anche il problema di dover guadagnare qualcosa per non gravare troppo sulla famiglia. Lavoravo come maestro di tennis al Tennis Giotto di Arezzo e a Montevarchi per tre volte la settimana. Poi a 21 anni, nel 2006, un mio amico mi chiese se mi andava di andare a Cesena a giocare le qualificazioni di un Future.
E cosa successe?
Te la faccio breve, nel giro di tre mesi avevo vinto un Future, fatto qualche quarto di finale e passato un turno in un Challenger, raggiungendo la posizione N.600 ATP. Insomma ero pronto a spiccare il volo.
Alla fine in bacheca hai messo 5 Challenger e 16 Future. E poi c’è quella finale nel 2015 all’ATP 250 di San Paolo quando perdesti al terzo con Cuevas. Rimpianti?
No, rimpianti no perché sono sempre uscito dal campo avendo dato tutto. Semmai li chiamerei dispiaceri. Il rimpianto forse è quello di non aver creduto prima in Luca Vanni e non a 29 anni compiuti. Ma le motivazioni sono cose complesse, non è che accendi o spegni un pulsante. Non è facile dire ‘da oggi in poi ci credo’.
Nessun rimpianto dunque nemmeno per il match perso al quinto agli AO 2019 contro Carreno Busta quando eri due set sopra?
Stesso identico discorso. Mi è dispiaciuto ma avevo veramente dato tutto.
Secondo te Andrea Pellegrino è ancora un giocatore di prospettiva?
Oggi Andrea è 200 del mondo e a parer mio può migliorare ancora molto. Non so fin dove potrà arrivare e questo dipenderà fondamentalmente da lui, ma io cerco di fargli capire, come prima cosa, che sul veloce può essere competitivo come lo è sulla terra.
Tecnicamente su cosa state lavorando?
Andrea è un ragazzo che in campo ha bisogno di ordine. Deve fissare un paio di punti fermi su cui, al limite, concedersi qualche variazione. Stiamo lavorando tanto sul servizio e sul diritto. L’obiettivo sarebbe arrivare a servire una decina di ace a partita e sul diritto deve riuscire a comandare, soprattutto con l’inside-out. Poi ci sono anche alcuni discorsi tattici come cercare di non essere frettoloso sulla chiusura del punto o provare qualche volta a variare col back per poi girarsi sul dritto.
Com’è il tuo rapporto umano con Andrea?
Lui è un ragazzo molto tranquillo, certo non un chiacchierone. Diciamo che parliamo di più quando siamo in campo che non fuori. Comunque andiamo molto d’accordo.
Ti piacciono altri sport? Ho visto una tua foto in bici da corsa e hai un’aria molto sofferente.
Dici? [ride, ndr]. La bici mi piace perché è uno sport di fatica. Ci sono andato dopo che mi ero operato alle ginocchia o l’anno scorso quando col Covid praticamente si poteva fare solo quello. Gli altri sport non è che li segua tanto ma mi piace molto giocare a padel.
Quando giocavi o adesso da coach cosa fai nei momenti off quando sei in giro per tornei?
Fondamentalmente cazzeggio online con Instagram e Facebook. O guardo Netflix.
Toscana, terra di passioni, anche politiche. Segui l’attualità?
Seguo come fanno un po’ tutti, ma penso che sia un ambiente in cui ci sia troppa finzione. Ci sono cose che sembrano semplici da fare e che invece non vengono affrontate. Lo sport è più sincero.
Luca, grazie del tuo tempo e auguri di Buone Feste e soprattutto di buona paternità.
Grazie a te e a tutti i lettori di Ubitennis cui contraccambio di cuore gli auguri.