Ha suscitato clamore la scelta del CEO della WTA Steve Simon di impedire lo svolgimento di tornei in Cina e Hong Kong come contromossa alla gestione da parte del governo cinese del caso Peng Shuai, la tennista cinese sparita dai radar a seguito della denuncia sui social di aggressione sessuale da parte di un membro di spicco del partito cinese, l’ex vice premier Zhang Gaoli. Negli ultimi giorni, l’ex tennista cinese è apparsa in un video ritrattando quelle stesse accuse. La WTA, tuttavia, non si dice soddisfatta e chiede ulteriori garanzie della sua incolumità e per ora resta fermo il ban della Cina dal calendario WTA.
Questa scelta ha portato quindi alla cancellazione di diversi tornei. Nella prima parte di stagione, secondo il calendario in essere prima della pandemia, si sarebbero dovuti giocare il WTA 250 di Shenzhen (gennaio) e il WTA 250 Anning (aprile). Tuttavia, l’impatto più grande è relativo alla parte finale della stagione, durante la quale la WTA si spostava massivamente in Asia per uno swing che comprendeva diverse tappe in terra cinese: le WTA Finals di Shenzhen, il WTA Elite Trophy di Zhuhai, due WTA 1000, di cui uno mandatory (China Open e Wuhan Open), un WTA 500 (Zhengzhou Open) e quattro WTA 250 (Jiangxi Open, Tianjin Open, Hong Kong Open, Guangzhou Open). Ben nove tornei, un numero in crescita se confrontato con i sei del 2015 o i soli due del 2010, e con un prize money garantito che avrebbe dovuto essere di circa 30 milioni di dollari.
La rimozione dal calendario degli eventi sopra citati porta la WTA di fronte all’enigma di come rimodulare il calendario, per altro già deficitario. Infatti, sono due gli eventi ancora da annunciare per quanto concerne la prima parte di stagione. Tuttavia i veri problemi emergeranno quando si tratterà di pianificare i mesi di settembre e ottobre, anche alla luce della defezione di un altro torneo che si svolgerebbe in quel periodo, ossia il WTA 250 del Lussemburgo.
La prima opzione per la WTA potrebbe consistere nel trovare altri partner nel continente asiatico per evitare che i tornei giapponesi di Tokyo (WTA 500) e Hiroshima (WTA 250) e quello coreano di Seoul (quest’anno declassato a WTA 125k off-season) finiscano confinati ad eventi di secondo piano, snobbati dalle principali atlete del circuito. Ipotetiche opzioni possono essere Singapore, la Malesia e Taipei, che negli scorsi anni hanno ospitato tornei ATP o WTA. Eppure, non sembra intravvedersi in questi paesi capacità organizzative e sponsor tali da rimpiazzare i due 1000 cinesi.
La seconda opzione prevedrebbe infoltire il programma europeo che prevede per quei mesi tornei indoor, affidandosi a Paesi che negli ultimi due anni hanno organizzato eventi utili ad aiutare la WTA a colmare i vuoti del calendario. A titolo di esempio non si possono non citare gli sforzi di paesi quali Repubblica Ceca (con Ostrava che per due anni di fila ha ospitato due eventi WTA 500), Italia (Courmayeur e Parma a cui si aggiunge il torneo spagnolo di marca italiana di Tenerife) ma anche Romania (con i due eventi di Cluj), Slovenia e Kazakistan (con Nur-Sultan sempre pronta ad ospitare eventi sia ATP sia WTA). Insieme al vecchio continente occorre sottolineare i contributi arrivati da Stati Uniti e America Latina. A Chicago si sono svolti ben tre tornei di diverse caratura e anche Cleveland ha ospitato un evento di categoria 250, senza dimenticare i due WTA125 sudamericani che hanno chiuso la stagione e coinvolto un pubblico non avvezzo ai tornei WTA, che latitano in quella parte di globo.
A favore della WTA potrebbe giocare il crescente malcontento nei confronti della Cina che si sta diffondendo sempre di più nei paesi occidentali a seguito dello scoppio della pandemia. A riprova di ciò non si può non evidenziare il supporto arrivato da ambo i partiti del panorama politico statunitense. Da una parte, il giorno dopo la decisione di Steve Simon, il Dipartimento di Stato, di matrice democratica, ha accolto con favore la sospensione dei tornei della Women’s Tennis Association in Cina per il silenzio di Peng Shuai data l’assenza di prove che potessero placare le preoccupazioni per il suo benessere. Dall’altra parte il partito repubblicano, non certo noto per le posizioni femministe, era già partito all’attacco cavalcando l’onda della sinofobia, con una lettera firmata dal deputato Jim Banks dove veniva richiesto di “sospendere ogni dialogo di alto livello con la Cina, finché il paese asiatico non risponda in maniera soddisfacente alle nostre domande sulla stato di sicurezza di Peng Shuai”. Che arrivi dal governo e da sponsor statunitensi il supporto a città che volessero rimpiazzare gli slot lasciati liberi dagli eventi cinesi?
Tuttavia, il vero problema della WTA sarà trovare una sede che possa ospitare le WTA Finals cercandosi di avvicinare il più possibile al montepremi faraonico di quattordici milioni di dollari garantiti dagli organizzatori di Shenzhen. Guadalajara è stato un successo in termini di pubblico pur offrendo un montepremi sensibilmente ridotto (quattro milioni) e nonostante il tema dell’altitudine. Trovare una soluzione per chi governa il circuito femminile non sarà per nulla facile e probabilmente si punterà su singoli eventi con cui accordarsi senza pianificare effettivamente una soluzione definita per la sopravvivenza, ridimensionamento o abolizione dello swing asiatico. La stagione post-Wimbledon si snoderà attorno ai soliti punti fermi rappresentati dalla terra rossa europea, i 1000 nordamericani, lo US Open.
La storia della WTA inoltre ci ricorda come molto spesso l’associazione delle giocatrici non si è mai potuta permettere, sin dagli albori, di scegliere in maniera etica i propri partner. Il primo sponsor di quella che poi sarebbe stata la WTA è Virginia Slims, marca di sigarette prodotta da Philip Morris. Nel 2012, inoltre, l’allora CEO Stacey Allaster scelse di affidarsi per la promozione del tour a Donald Trump, che prima di diventare presidente era noto per essere proprietario, tra l’altro, di numerosi casinò e membro della “Gaming Hall of Fame” per il suo contributo al settore del gaming. Non il massimo per uno sport che vuole allontanarsi dalle accuse di match fixing. Per questo non deve sorprendere la scelta della Cina, che già negli anni in cui proliferavano i tornei cinesi nel calendario, era nota per la poca tolleranza alle critiche sia interne che esterne.
Il destino delle Finals e dell’Elite Trophy (cancellato per ben due anni di fila) sarà il tema più spinoso, con la WTA che dovrà trovare il giusto trait-d’union tra un montepremi all’altezza e il calore del pubblico di cui il circuito ha disperatamente bisogno, visti gli spalti vuoti che hanno accompagnato l’avventura in terra cinese.