Che cosa si è incrinato nel rapporto, che si diceva fosse quasi paterno, fra Jannik Sinner e Riccardo Piatti? Per ora si naviga tutti a vista sui motivi, anche se non più sulla veridicità della notizia.
Ciò perché chiunque abbia chiamato Sinner o Piatti chiedendo conferma delle voci sull’avvenuto divorzio non ha ricevuto risposte del tipo “sì è vero”, ma nemmeno si è sentito dare smentite che se si fosse trattato di una bufala, di fake news, sarebbero state certo date. Il tennis non è il calciomercato.
Chi è in confidenza con i due protagonisti del…promesso divorzio, si è reso conto che il problema esiste e non è campato in aria, pur senza avere avuto le necessarie spiegazioni di ciò che avrebbe scatenato una notizia che appare oggi certo clamorosa agli occhi dei più e perfino di molti che hanno frequentato il duo anche in tempi recentissimi Down Under e giustamente preferiscono non esprimersi.
Lo è per chi conosce la storia del Pel di Carota della Val Pusteria che a 13 anni – “scoperto” a Ortisei dall’allora collaboratore di Piatti Massimo Sartori – mollò, con incredibile determinazione per un ragazzino di quell’età, l’amata famiglia, gli sci sui quali eccelleva e il passamontagna per andare …al mare. Sulla costa ligure, alla corte di Riccardo Piatti e alla sua Piatti Center Academy di Bordighera.
Da allora il binomio aveva funzionato alla grande, con Jannik che, classe 2001, – come tutti i lettori di Ubitennis sanno – ha bruciato le tappe con risultati straordinari per precocità, fino a conquistare prima un titolo prestigioso fra i NextGen a Milano 2019 e poi, dopo il primo titolo ATP “senior” a Sofia, anche nel circuito degli adulti, passando da n.763 (a fine 2018) a n.78 (a fine 2019), a n.37 (a fine 2020) a n.10 (a fine 2021). Con altri 4 tornei ATP ad arricchire il suo già notevolissimo palmares, dopo essere stato brevemente anche n.9.
Che cosa può essere successo fra Riccardo Piatti e Jannik Sinner che non aveva davvero cominciato male neppure il suo 2022, dal momento che aveva raggiunto il suo secondo quarto di finale di uno Slam all’Australian Open, dopo i quarti del Roland Garros 2020?
In attesa di comunicazioni ufficiali che conto di avere fra qualche ora da una fonte sicura, posso scrivere solo in parte quello che so e in parte quello che suppongo.
Chi era in Australia ha visto il clan Piatti e Jannik uscire a cena insieme, anche a Capodanno, e vivere in apparente buona armonia. Al ritorno in Italia, dove sono affiorate le prime voci di un qualche dissenso, è rimasto stupito, incredulo.
Ciò anche se qualche segnale di pesante nervosismo si era avvertito. In particolar modo nel corso dell’incontro di Sinner con il giapponese Taro Daniel, quando Jannik a un certo punto era sbottato fino a urlare, proprio nei confronti diretti di Riccardo che alla fine di un punto perso gli aveva detto qualcosa in maniera così agitata da provocare la sua reazione: “Sì io uso la testa, e tu stai più calmo, cazzo!”. Lo sentirono tutti, anche i telespettatori.
La netta sconfitta patita da un Sinner con Tsitsipas soverchiato come non mai, incapace di reagire all’aggressività e agli anticipi incalzanti di Tsitsipas (che fece stragi di vincenti con il dritto) non ha probabilmente contribuito a rasserenare il clima che tuttavia, forse più “bollente” in campo che fuori, non sembrava così compromesso agli occhi di chi era a Melbourne.
Vero, peraltro, che in alcuni degli appuntamenti più “sentiti” da Jannik – non necessariamente i più importanti in assoluto – il ragazzo di Sesto Pusteria non era sempre sembrato mentalmente pronto e troppo lucido tatticamente.
Alludo alla finale di Miami persa con Hurkacz, a certe partite obiettivamente piuttosto deludenti per le sue aspettative che, a dispetto di quanto magari Jannik può lasciar pensare con dichiarazioni da giovane saggio, sono molto, molto alte. E forse è anche bene che siano così alte. Non dimenticherò mai di aver visto Jannik furioso perfino quando perse dopo aver giocato un ottimo match in 4 set all’US Open 2019 da Wawrinka: eppure era al suo esordio in uno Slam! “Avrei dovuto vincere almeno due dei tre set che ho perso” disse uscendo dal campo, lasciandoci un po’ straniti di fronte a tanta sicumera.
Le sconfitte Jannik non le ha mai digerite troppo bene. Segno positivo? Diciamo che era un buon segno, il segno di una sana ambizione. Un tantino mascherato da quel che lui poi veniva a dirci in conferenza stampa: “Sono tutte lezioni dalle quali devo imparare. Sto pelando patate, non sono ancora un cuoco, devo ancora imparare come impiattare”. Figlio di cuoco, sapeva di cosa andava parlando.
Tanta apparente umiltà era forse però in contrasto con quello smisurato orgoglio che gli ha impedito di accettare con la necessaria serenità certe sconfitte piuttosto nette subite con Djokovic a Montecarlo (6-4,6-2), con Nadal al Roland Garros (7-5,6-3,6-0), più ancora che ai primi turni del Queen’s (Draper) o di Wimbledon (Fucsovics in 4 set “Per l’erba ci vuole ancora un po’ di pazienza, lo sapevo”), o alcuni passi falsi (Rinderknech a Lione: “Ho fatto un passo indietro”…).
Dopo la primissima esperienza contro Nadal al Roland Garros 2020, quando aveva servito invano per il primo set e quando era stato avanti di un break nel secondo, Jannik era intimamente persuaso che le volte successive avrebbe fatto meglio. Molto meglio. Invece non gli era riuscito né a Roma né a Parigi, dove aveva fatto certamente peggio.
Quelle sconfitte con i due Fab più nette del previsto, più che quei passi falsi in quelle partite giocate da favorito, non gli erano andate giù. E nemmeno, più tardi, quelle altre tre sconfitte che avevano rischiato di fargli perdere la partecipazione alle ATP Finals a creargli grande insoddisfazione: quella con Tiafoe (che gran regalo! Lì il presunto freddo Sinner non fu freddo per nulla…), con Alcaraz (brucia perdere con uno più giovane di te dopo che sei stato incoronato da tutte le star del tennis come il miglior giovane del mondo con racchetta per più di un anno, cioè prima dell’avvento del pupillo di Juan Carlo Ferrero), con il vecchio Murray dall’anca d’acciaio.
Insomma, per l’appunto Sinner, non è sempre sembrato poi così freddo come una facile nomea gli aveva appiccicato addosso. Forse per le sue origini altoatesine…ma non tutti sono Gustav Thoeni.
Tuttavia secondo me la crisi del settimo anno della coppia Piatti-Sinner… non si dovrebbe spiegare per la delusione patita per certi risultati che restano straordinari. Top-ten, quarti all’Australian Open a 20 anni! Sarebbe inconcepibile.
Vent’anni. Però, attenzione, non va dimenticato che Jannik resta un ragazzo di vent’anni, sia pur all’apparenza molto più maturo della sua età. Come si è sempre detto e letto tutti. Jannik è pur sempre un ventenne, emerso da un background piuttosto modesto, e tuttavia già multimilionario sommerso improvvisamente da montagne di soldi, da un nugolo di sponsor, da spaventose aspettative (molto più di quelle cadute addosso a Berrettini che pure ha vinto finora di più…), da una popolarità che farebbe perdere la testa a qualunque adulto. Figurarsi a uno che non lo è…
Presuntuoso? In questo pesante contesto Jannik potrebbe per carità avere pian piano coltivato, insieme alla sacrosanta ambizione e magari nell’intimo – chi può saperlo? – anche un po’ di presunzione. Tale da fargli forse – certezze non ne ho – imputare più al suo angolo tecnico alcune carenze e alcune sconfitte piuttosto che a se stesso. Ed è forse per questo che in Australia, lo si è sentito parlare per la prima volta con grande chiarezza della necessità di affiancare al suo coach di sempre un altro coach, un super coach. “Io so chi è, ma adesso non ve lo dico”.
Boris Becker? Una volta scartati certi coach di gran nome, ma di dubbia disponibilità full-time, McEnroe, Moya, Ljubicic, Wawrinka, Lendl, Enqvist (che ha ha cominciato a lavorare con Tsitsipas e non potrà parlargli in greco come Apostolos…) l’ipotesi Becker era emersa dopo che Boris, altro residente monegasco come Jannik, si era più volte affacciato al Centro Piatti di Bordighera.
La candidatura di Boom Boom Becker, favorita anche dalla comunanza idiomatica, sarebbe stata alla fine supportata – si presume e non si sa se magari un tantino a malincuore – dallo stesso Piatti. Che però adesso si ritroverebbe abbastanza incredibilmente estromesso a favore di una nuova accoppiata: Boris Becker-Simone Vagnozzi (l’ex coach di Marco Cecchinato ai tempi dell’exploit del tennista siciliano al Roland Garros 2018).
Ragioni economiche? Chissà allora che a favorire il divorzio Piatti-Sinner, non siano state allora più ragioni economiche – chissà se mai le conosceremo – piuttosto che non strettamente tecniche legate a risultati che onestamente sembrano ai più essere indiscutibili.
L’ipotesi tecnica, al di là dei risultati, mi sembra abbastanza inverosimile, sebbene io avessi avuto recentemente l’impressione che i panni del leader all’interno del duo Piatti-Sinner, Riccardo Piatti li avesse via via un po’ smessi. Mentre il ragazzino dai capelli rossi cresceva nei risultati e nel ranking di pari passo con la sua personalità.
Non è mai troppo positivo un rapporto fra tennista e coach, quando il tennista è il vero padrone del motore. Il coach finisce per essere un dipendente troppo subalterno anche quando le decisioni tecniche gli spetterebbero per competenza.
Chi li ha frequentati più da vicino di me, ha notato negli ultimi anni un Piatti, con tutto il suo clan, sempre più ansioso, a volte eccessivamente nervoso e iperprotettivo. Come se avesse paura di perderne il controllo. Io dopo aver assistito a uno strano episodio due anni fa in Australia ho pensato potesse essere un problema imputabile all’età. Noi anziani cadiamo più facilmente di una volta preda delle ansie, delle angosce, delle emozioni.
Un Riccardo Piatti che si rendeva difficilmente avvicinabile, iperprotettivo nei confronti dei giornalisti, quasi non si rendesse conto che anche essi contribuiscono a rendere più popolare un testimonial di tanti sponsor – e indirettamente a far aumentare le sue entrate – ma anche di persone e altri coach, come Massimo Sartori ad esempio, che pure aveva avuto il grande merito di segnalargli quell’enfant-prodige, ma poi ne era stato tenuto quasi lontano, preferendo affiancare a Jannik un tecnico di minor credito internazionale come Andrea Volpini, quasi che Sartori – straordinario con Andreas Seppi che ha fatto una magnifica carriera senza avere il talento naturale di tanti che hanno fatto molto peggio di lui – potesse fargli ombra.
Scelte condivise o no? Non è dato sapere esattamente quante scelte di Jannik siano state del solo Sinner o siano state interamente condivise oppure suggerite da Piatti: quelle di non partecipare alle Olimpiadi, di non rispondere alla prima convocazione di Atp Cup e Coppa Davis. All’epoca sono sempre sembrate condivise al 100%. Oggi ci si può domandare se fosse davvero così…come quella rischiosissima decisione di cambiare la tecnica del servizio lo scorso agosto.
Una situazione abbastanza anomala. Di certo Piatti ha preteso durante il girone di Coppa Davis a Torino, nel quale Sinner ha vinto i suoi incontri con Isner, Galan e Cilic, di essere presente con tutto il suo staff. Ha allenato Sinner al termine di ogni sua seduta con il capitano Volandri e il resto della squadra. Gli altri giocatori o non avevano nessuno al seguito o al massimo un coach. Una situazione abbastanza anomala e forse non troppo apprezzata nell’ambiente azzurro. Adesso c’è l’incontro con la Slovacchia, 4-5 marzo a Bratislava, ma Berrettini non c’è e Sinner invece, pur reduce dal Covid, dovrebbe esserci. Scelta solo sua? Scelta suggerita o contrastata da Piatti che sulla programmazione ha sempre avuto le sue idee?
I prossimi appuntamenti. Certo è anche che cambiare coach, dopo 7 anni, quando a fine febbraio c’è il torneo di Dubai e poi gli altri importanti appuntamenti di Indian Wells e Miami prima dell’avvio della stagione sulla terra rossa, è un gran bel …balzo nel vuoto.
Le cambiali di Sinner. A febbraio Jannik ha una cambiale di soli 10 punti, residuo australiano del 2021, dopo aver già scalato questa settimana i 90 punti di Rotterdam 2020. A marzo deve difendere 135 punti per i 45 di Marsiglia e i 90 di Dubai, mentre ad aprile gli scadono 825 punti (fra cui i 600 della finale di Miami, i 45 di Montecarlo e i 180 di Barcellona).
I divorzi lasciano quasi sempre strascichi spiacevoli. Molto dipende dalle cause che li hanno provocati. Speriamo che siano, per gli ex…congiunti, ferite facilmente e rapidamente rimarginabili.
P.S. Nella nostra quotidiana rassegna stampa di tanti articoli sul tennis, potete avere uno scorcio di quanto hanno scritto sul caso Sinner-Piatti i colleghi de La Stampa, Repubblica, Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport. La rassegna è un grosso sforzo che la redazione fa giorno dopo giorno. Mi aspetterei che fosse consultata più frequentemente e da un numero maggiore di lettori. Vero che su Ubitennis …c’è già tutto e di più, eh eh!