Lawrence Frankopan, CEO e fondatore di, StarWing Sports e manager di Jannik Sinner, mi chiede cortesemente di avere ancora un po’ di pazienza. Non è ancora giunto, evidentemente, il momento di comunicare notizie ufficiali sul caso del momento, il clamoroso divorzio Sinner-Piatti.
Ed è lui, il manager inglese di 44 anni, quinto di 5 fratelli di madre svedese e padre croato, cresciuto a Londra prima al King’s College e poi all’Università di Oxford, l’unico che al momento le può dare. Anzi, forse l’unico no. Anche Sinner potrebbe.
Piatti fra color che son sospesi. Invece non credo proprio che Riccardo Piatti possa dare notizie di sorta. Lui – se ci fosse stato Dante anche per questa Commedia molto umana e poco…Divina – “è fra coloro che son sospesi”. Posizione tutt’altro che allegra.
Dispiace per Riccardo perché negli anni lui con la sua famiglia si è impegnato tanto, tantissimo, per aiutare la crescita dell’ex bambino Jannik. Ha investito tanto e ha sicuramente cominciato a raccogliere dalla sua prolungata semina soltanto negli ultimi due, tre anni. Tanto? Poco? Troppo? Io davvero non lo so, sono fatti loro.
Ma molto di più avrebbe certamente continuato a raccogliere. Il divorzio, se sarà definitivo, avrà riflessi economici più pesanti per lui che per Jannik. Mentre sulle conseguenze tecniche sarà tutto da vedere.
C’è poco da fare, ma Riccardo dipende – come è in fondo giusto che sia – dalle decisioni di Sinner che è…il boss di se stesso. E di chi gli sta attorno. L’amico Alex Vittur, fra gli altri.
Per molti è stato un fulmine a ciel sereno. E che il caso abbia avuto una grande eco non deve sorprendere.
Sinner è un acclamato top-ten. Acclamato da quasi tutti gli addetti ai lavori, avversari, ex campioni, media. E un apparente candidato a un posto ancora più alto nel ranking: top-5? Top-3? N.1?
Ma, attenzione a che l’apparenza non inganni. Essere top-10 è una cosa, neppur facile da conservare…, salire a top- 5, top-3, n.1 è tutta un’altra.
Tranne che per i tifosi dei due Fab, Djokovic e Nadal, tutti gli altri sembrano far progetti da…avvoltoi. Senza l’impudenza di cantare il De Profundis, attendono però il canto del cigno dei due Fab per occupare le loro sempiterne posizioni.
Prima o poi ci sarà anche Sinner fra quelli che le occuperanno?
Prima non credo proprio. Poi speriamo. Che non sia per nulla detto, secondo me lo ha capito per primo Sinner.
E’ il punto su cui forse Sinner deve aver riflettuto con ammirevole lungimiranza, per un ragazzino come lui. Ad oggi, e Dio sa quanto vorrei sbagliarmi, a me sembra che Tsitsipas, Zverev, Medvedev, Shapovalov, Alcaraz, forse anche Aliassime, abbiano doti complessivamente superiori a quelle di Sinner.
Chi per qualità tecniche (servizio, gioco a rete, drop-shot, difesa quando il pallino l’ha l’avversario), chi per virtù atletiche (forza fisica, potenza nei colpi, flessibilità, recupero, resistenza), chi per varietà di gioco (angoli, effetti), chi per capacità di dosare forze e ritmi nell’arco di una stessa partita. Non sto dicendo che lui sia inferiore a tutti per ciascuna di queste doti, ma per alcune indubbiamente sì.
E se a pensarla come me fosse anche Sinner che come mentalità, solidità di testa (non solo in campo), determinazione e impegno è molto buono, migliore di parecchi di quei nomi appena fatti?
E se volesse metterci riparo finché è in tempo visto che il suo vantaggio nei confronti della maggior parte di quei suoi competitor è l’età?
Quei traguardi che lui è determinato a raggiungere sono ambiziosi e difficili da raggiungere. Che siano difficili lo dimostrano tutti quei tennisti, decine e decine, che hanno stazionato per anni fra i top-ten ma poi non sono mai riusciti a spiccare l’ultimo balzo verso il vero vertice.
Jannik è un vero candidato top-5 soprattutto per il fan comune di casa nostra colpito, quasi affascinato, dalla sua escalation così rapida e così precoce. Mai vissuta da un tennista italiano prima di lui. Mai così strombazzata da tutti i nostri media troppo a lungo a digiuno di campioni da esaltare.
Assai più maturo dei media Jannik, senza per questo essere necessariamente irriconoscente nei confronti di chi lo ha aiutato moltissimo ad arrivare dove è arrivato, potrebbe forse essersi reso conto con una lucidità fuori del comune per un ragazzo di 20 anni – salvo che fosse pura impazienza – che non era il caso di illudersi.
Quella ingannevole superficiale apparenza. E che quella sensazione comune a tanti, la sua certa ascesa all’Olimpo, forse sarebbe soltanto frutto di una superficiale apparenza. Apparenza sì, sostanza no. Perché non davvero concreta come base: non sta infatti scritto da nessuna parte che nel tennis la progressione nel ranking debba procedere fino ai massimi vertici di pari passo con la rapidità di escalation da n.78 a n.10. Quello è solo un buon segnale, anzi un ottimo segnale. Ma non basta.
Un conto è aspirare a diventare top-5, top-3, n.1 – e lui di certo aspira a quello, non ne ha mai fatto mistero – e un altro conto è il credere di poterci arrivare concretamente con qualsiasi tipo di tennis, solo perché si sono bruciate le tappe, senza provare a cambiare le cose, a pianificare il percorso da compiere.
Un percorso diverso da quello finora tracciato per le legittime aspettative di Jannik, che potrebbe avere preso la decisione che ha preso forse con meno improvvisazione di quanto possa essere apparso, proprio dopo la secca batosta subita con Tsitsipas.
Jannik, dopo le altrettanto secche lezioni subite anche con Nadal, Djokovic e Zverev, era così abbattuto a Melbourne nel dopo-Tsitsipas, perché deve aver cominciato seriamente a pensare che il suo gap nei confronti dei veri top-players, è ancora molto ampio. Forse troppo ampio.
Ai suoi occhi per primo – e deve essere stato quasi uno choc – quel traguardo che lui si prefigge, sia esso top-5, top-3, n.1, è diventato all’improvviso – proprio per motivi tecnici che prescindono dal suo eccellente ranking di n.10 ATP – tutt’altro che prossimo.
Lui ha sì già battuto anche un paio di top-5 come Tsitsipas e Zverev, ma se ve lo ricordate era successo quando il greco e il tedesco avevano giocato davvero maluccio.
Quando invece quei due avevano però giocato bene gli avevano inflitto due batoste. Due punizioni senza perdere un set.
Non sto adesso dicendo che Sinner sia un bluff, sia ben chiaro a tutti. Io stesso ho sempre predicato pazienza, sia a lui, sia ai suoi tifosi più critici. Il top-10 se lo è conquistato con pieno merito. Non ci sono dubbi. Non ha solo vinto 4 tornei nel 2021, ma nel corso di quest’ultimo biennio ha sconfitto tanti di quegli ottimi tennisti come Karatsev, Rublev, Ruud, Hurkacz, Schwartzman, Bautista Agut, che sono stati o magari saranno ancora top-ten. Ma fra tutti questi solo Rublev è stato (brevemente) top-5, ma non top-3. Gli altri neppure top-5. L’attuale Sinner non sembra in grado di battere i top-5 se questi giocano al meglio delle loro possibilità. Se non batti almeno uno o due top-5 gli Slam non li vinci.
Se tutti questi ragionamenti li avesse fatti anche Sinner, con tutto il rispetto per Piatti, potrebbe avere fatto bene a lasciare il suo vecchio patrigno. Ma occorrerebbe poi che non sbagliasse le prossime mosse. E non è per nulla facile non sbagliarle.
Ci sono sempre tanti, troppi soldi in ballo che spesso finiscono per incidere sulle scelte. Magari si fanno scelte di tipo commerciale più che tecnico. Di puro marketing. Lì per lì piacciono agli agenti, agli sponsor. “The image is everything” diceva il primo Agassi, “pompato” dai suoi sponsor, prima di accorgersi di quanto fosse sbagliato il concetto.
Io spero che il giovane e ambizioso Sinner decida lui con chi vorrebbe lavorare d’ora in avanti. Un cattivo manager –e non credo che Lawrence Frankopan sia un cattivo manager – potrebbe essere tentato di accostare a Jannik un uomo di grande nome, immagine, seguito. Ma sarebbe un errore.
Non basta prendere Becker, come ha scritto qualcuno che non ha mai giocato a tennis, per diventare un top-5 o più su. Anche se Becker ha personalità, esperienza e ha vissuto da campione Slam vinti e persi, matchball trasformati, salvati, cancellati e buttati, situazioni che né Piatti né Vagnozzi hanno vissuto agli stessi livelli.
Becker ha fatto bene, benissimo, come co-coach con Djokovic, ma lo ha preso quando era già n.1, e non il n.10. Sono due cose ben diverse. Sennò basterebbe prendere Federer come coach a qualsiasi top-ten per vincere una caterva di Slam.
Quando Djokovic ha allontanato Vajda, suo coach inseparabile, è andato in crisi. Poi è stato costretto a richiamarlo. Mentre non ha richiamato Becker. Ergo Vajda era più importante di Becker.
Una volta c’erano coach della competenza di Ion Tiriac, capaci di far diventare n.1 del mondo uno scavezzacollo talentuoso ma apparentemente ingestibile come Ilie Nastase, n.2 un lavoratore indefesso come Guillermo Vilas e un matterello che sembrava avesse poco più d’un formidabile servizio come Goran Ivanisevic, costruendo attorno a tutti i loro difetti tecnici una serie di armi supplementari, a cominciare dalla testa.. I Pancho Segura con Connors, i Lennart Bergelin con Borg… Harry Hopman con tanti australiani aveva fatto ancor di più e meglio Di numeri uno ne ha tirati su a caterve: Hoad, Rosewall, Laver, Newcombe…Ma erano anche tempi diversi. Si lavorava con maggior tranquillità. I soldi non erano quelli di oggi, le pressioni ben diverse. Molti anni dopo anche Tony Roche si è dimostrato anche lui un grande coach.
Grandi coach cercasi. Oggi è più difficile trovare coach di quel livello. Gli ex campioni di anni più recenti sono ricchi come nababbi. Non hanno voglia di continuare a viaggiare per “tirar su” un ragazzino. Ma nemmeno un top 20 per portarlo a top-10. E forse neppure un top-10 per portarlo a n.1, sacrificandosi più del necessario. Chi glielo fa fare? I soldi li hanno già, le soddisfazioni le hanno già avute per essersele conquistate di persona. O se ne escono dal tennis e fanno quella vita che non hanno potuto fare da giovani, come Pete Sampras, o diventano commentatori e presentatori televisivi, Courier, Henman, Corretja, Gilbert, tutt’al più capitani di Coppa Davis impegnati qualche settimana all’anno, Albert Costa, Filippo Volandri…e non fatemeli citare tutti. Semmai fanno i manager, o i coach part-time…vedi Lendl, Ljubicic, McEnroe, Connors, o si creano le loro Tennis Academy, come Sanchez, Bruguera, Ferrero….Brad Gilbert prese Andy Roddick a 20 anni e lo portò a n.1…prendere un giocatore a 20 anni è un miglior “investimento” che prenderlo a 25, di solito…si ha più chances che diventi produttivo!
Magnus Norman è già un altro tipo di coach rispetto a Becker. Lo svedese non è un tipo brillante, genialoide come un Tiriac, ma quando cominciò a occuparsi di Stan Wawrinka, nel 2013, lo svizzero che aveva già 28 anni, non era mai stato un top-ten, salvo che dopo aver fatto finale al Foro Italico, ma per un periodo abbastanza breve. Aveva chiuso il 2012, ma anche il 2011 e il 2010, a n.17. Norman lo portò subito a top-8 a fine 2013, a top-4 a fine 2014, 2015 e 2016 aiutandolo a vincere uno Slam in ciascuno di quei tre anni prima che Wawrinka, classe 1985 e quindi over 30 con un fisico massiccio, cominciasse ad accusare vari acciacchi. Ma intanto già nel 2014 si era issato a n.3.
È un percorso molto diverso da chi, come Becker con Djokovic, oppure anche Edberg e Ljubicic con Federer, hanno “preso in cura” già dei top-top-top. O come Patrick Mouratoglou che è certamente un tipo che sa il fatto suo, lo ha dimostrato con Baghdatis, ma anche lui ha poi preso Serena Williams nel 2012 e Serena era n.1. Troppo facile. Non l’ha tirata su da n.10. Poi ha vinto con lei 10 Slam…ma i primi 13 li aveva vinti senza di lui.
Juan Carlos Ferrero sta portando su alla grande il suo pupillo Alcaraz. Ed è occupato. Come è occupato Carlos Moya almeno fino a quando continuerà a giocare Rafa Nadal.
Il punto però non risiede solo nel coach. O nel supercoach con un tipo alla Vajda, che potrebbe essere Vagnozzi (bravo a portar su Cecchinato e anche Travaglia…ma qui si sta parlando di aiutare uno a diventare un top-5, un top3 un n.1 eh) come un altro migliore di lui. Un anno e mezzo di pazienza. Il punto è che per fare quei progressi tecnici di cui Sinner avrebbe bisogno per diventare un tennista in grado di battere con una certa continuità i primi 5 del mondo e per diventare quel che sogna di diventare, ci vuole almeno, almeno e almeno (almeno secondo me!), un anno e mezzo. E ovviamente oltre al coach dovrà avere ingaggiato un team di preparatori atletici, medici, etcetera, in grado di aiutarlo a compiere un salto di qualità anche sotto questo importantissimo profilo.
Prima del 2024 Jannik non dovrà soltanto attaccare le posizioni di chi lo precede, ma dovrà difendere la sua posizione da chi lo insegue.
Figurarsi se io non mi auguro che anche lui sia tra gli 8 maestri a Torino (insieme a Matteo Berrettini eh). I quarti conquistati in Australia lo fanno già partire meglio di un anno fa. Però sarà dura, durissima. Già la scelta che presumo ponderata e fatta in questi giorni lo metterà di fronte a tante nuove problematiche, tanta pressione in più.
Lo aspetta un anno e mezzo in cui per lavorare su tanti aspetti più o meno nuovi del suo tennis incompleto arriveranno probabilmente inevitabili sconfitte.
Il ragazzo della Val Pusteria dovrà essere molto ma molto forte di testa. E con lui anche il nuovo coach che lo affiancherà. Spero proprio che Jannik e Lawrence Frankopan non sbaglino la loro scelta. Ormai il dado è tratto. E tornare indietro sarebbe una sconfitta.