(Traduzione dell’articolo di Bill Simons pubblicato su Tennis Inside del 1° marzo 2022 – a cura di Massimiliano Trenti)
Il trofeo della Davis Cup è una magnifica coppa del peso di 217 once troy di argento (ndt, circa 6,8 kg). E ora la competizione, il cui calice d’argento è, a nostro parere, il trofeo più bello nello sport, sta arrivando nel Silver State, in Nevada, e nella Silver City, Reno, cresciuta dopo la scoperta del giacimento d’argento di Comstock Lode a sud-est della città nel 1859.
Per oltre un secolo c’è stato ben poco nel tennis che abbia superato la frenesia e l’eccitazione delle battaglie della Davis Cup. Erano crude, senza filtri, vicine alla gente e, soprattutto, rumorose. Una questione di cultura e di tradizione.
Nel mondo è conosciuta con molti nomi, tra cui Copa Davis o Tazza Davis. Bud Collins la soprannominò Dwight’s pot, in onore del fondatore della competizione Dwight Davis, lo studente di Harvard che arrivò ad essere il segretario del dipartimento della guerra del presidente Calvin Coolidge.
La Davis Cup è stata giocata a Wimbledon, a Forest Hills, in un piccolo club nel Kazakistan e anche su di un molo nel mezzo del porto di Rotterdam. L’abbiamo guardata in una arena di hockey gocciolante in Zimbabwe e in un enorme stadio di calcio a Siviglia, dove 27.000 spagnoli urlavano a pieni polmoni. È stata giocata su letti di conchiglie, su sterco di mucca, sopra tappeti di varia sorta, su soffice erba verde a Palm Springs e anche sul mare a La Jolla. E, nonostante svariati intoppi lungo la strada, rimane, assieme alla Laver Cup, la competizione a squadre annuale più illustre nello sport.
Il 4-5 marzo il Reno Events Center, a pochi passi dal Silver Legacy Hotel, ospiterà la battaglia tra la Colombia e gli Stati Uniti. La squadra americana capitanata da Mardy Fish, che ha perso dalla Colombia in Italia lo scorso novembre, sarà composta dai giocatori migliori: il n.20 ATP Taylor Fritz, il n.38 ATP Sebastian Korda, che farà il suo debutto nella competizione, Tommy Paul e gli assi del doppio Jack Sock e Rajeev Ram.
La Davis Cup è un mondo a sé stante. Tanto per cominciare, ha un suo proprio linguaggio. Le sfide tra squadre si chiamano ties. Una partita è un rubber. E, se una sfida al meglio delle cinque partite è stata già decisa, la partita si chiama dead rubber.
Per decenni poco e niente è stato fatto per cambiare il suo format problematico. Già nel 1927 Bill Tilden sosteneva che dovesse essere snellito. I critici inveivano contro i big del tennis che regolarmente non si presentavano, anche se la Davis Cup è servita spesso e volentieri da palcoscenico per giocatori meno conosciuti, facendoli risplendere e diventare eroi nazionali.
Nel 2019 c’è stato un radicale, in un certo senso confusionario, cambiamento della formula, sorretto da grandi investimenti economici. Alcuni sostengono che siano state fatte troppe correzioni. La mossa ha lasciato la Davis Cup, per certi versi, nelle mani di una ricca stella del calcio spagnolo, che voleva cambiarne il nome in Coppa del Mondo di Tennis. Il fascino delle partite in casa e fuori casa è stato ridimensionato.
Le ultime volte che le finali di Davis Cup si sono tenute, nel 2019 e nel 2021, sono state giocate a Madrid e solo con molte difficoltà potevano essere viste sulla TV in Nord America. La Russia ha vinto l’ultima edizione. Ma ora l’ITF ha escluso Russia e Bielorussia dalla Davis Cup e da altri eventi internazionali.
Difficilmente politica e Coppa Davis sono slegate. Nel 1937 Adolf Hitler telefonò al tedesco Gottfried Von Cramm per augurargli buona fortuna prima della sua sfida con l’americano Don Budge. Durante la Guerra Fredda, il giocatore cecoslovacco Jan Kodes disse: “Dobbiamo vincere. Il nostro Paese non ci permetterebbe di perdere contro i Russi”.
Nel 1972, tra le varie tensioni della Guerra Fredda, gli americani Stan Smith ed Erik van Dillen riuscirono ad avere la meglio sui plateali imbrogli e sulle bislacche interruzioni del gioco inscenate dai rumeni Ilie Nastase e Ion Tiriac, i quali, secondo il capitano americano Dennis Ralston, avrebbero dovuto essere banditi dal tennis a vita.
L’apartheid sudafricano indusse l’India a ritirarsi dalla finale del 1974 e nel 1977 ci fu una confusionaria manifestazione antiapartheid a Newport Beach, dove venne gettato catrame sul campo di gioco e dieci persone vennero arrestate. Anche la partecipazione di Israele ha spesso dato adito a controversie.
Nonostante tutto la Davis Cup ha sempre e comunque suscitato passioni pure. L’australiano Pat Rafter confidò “Penso alla Davis Cup anche sotto la doccia.” Il britannico Mark Cox invece disse, “Nessuna somma di denaro può compensare la perdita di autostima per una brutta prestazione in Davis Cup.”
Il giovane Andre Agassi ci disse: “Ci sono due cose secondo cui vivo: n.1, non puoi mai guidare troppo lontano pur di avere un Taco Bell. n.2, in Davis Cup non puoi battere nessuno in maniera brutale.” Una volta sorvolò uno stadio dove si giocava la Davis Cup col suo aereo privato.
I giocatori si sono sputati addosso. Yannick Noah salì sulle tribune per raggiungere un tifoso che lo aveva insultato. Il capitano della trionfante nazionale ecuadoregna si ruppe una gamba nel tentativo di saltare la rete per festeggiare. In Zimbabwe un tifoso sollevò un cartello con la scritta “Ciao mamma. Mandami del diesel.”
Giocatori sono stati lanciati in aria in trionfo e hanno ballato in estasi la conga dopo vittorie, oppure sofferto devastazioni emotive dopo umilianti sconfitte alle 2 del mattino in stadi quasi vuoti. Jimmy Connors fece causa ad Arthur Ashe perché il capitano della Davis Cup aveva sostenuto che Connors non fosse patriottico in quanto non giocava per gli Stati Uniti.
Ora la squadra americana sta giocando sulle elevate altitudini di Reno, una città che non è esattamente conosciuta come una Mecca del tennis. Gli USA hanno diversi giocatori nei migliori 100 della classifica mondiale. La Colombia ha un favoloso doppio, composto da Juan Sebastian Cabal e Robert Farah, ma il ranking medio dei singolaristi è 398. Se con 32 vittorie gli Stati Uniti restano la nazione col maggior numero di vittorie in Coppa Davis di sempre, c’è comunque una lunga storia di squadre del Sud America che hanno assaporato il gusto di aver sconfitto lo Zio Sam.
Dopotutto Davide si diverte ad abbattere il potente Golia. Ma i tifosi americani a Reno sperano che la loro squadra vinca così da essere una delle 12 qualificate alle finali, che si giocheranno il titolo a novembre in una città che non è ancora stata designata.