Dopo un 2021 in cui solamente Novak Djokovic tra i cosiddetti “big three” è stato in grado di giocare un’intera stagione libero da infortuni, questi primi due mesi ci hanno restituito un Nadal in grande spolvero. Di conseguenza tra gli appassionati è tornato in auge il dibattito su chi veramente sia il miglior giocatore di tutti i tempi. Senza addentrarci nella questione possiamo solo vedere come negli ultimi cinque, sei anni tutti si sono convinti che questa discussione riguardi solamente Djokovic, Federer e Nadal. Troppo diverse le epoche, le racchette utilizzate e il livello di avversari incontrati per affermare con sicurezza che questi tre giocatori siano effettivamente più forti dei grandi del passato. Uno dei fattori da considerare quando si paragonano le epoche è proprio il livello degli avversari che questi campioni hanno dovuto affrontare durante le loro carriere. Molte volte, ad esempio, abbiamo sentito dire giustamente che il dominio di Federer dal 2003 al 2006 era in parte dovuto alla mancanza di un rivale in grado di essere continuo per 52 settimane all’anno. Ma è successo anche a Nadal di vincere slam contro avversari più abbordabili come a Wimbledon nel 2010 contro Berdych o allo US Open del 2017 contro Anderson. Stesso discorso per Djokovic a Wimbledon dello scorso anno contro Berrettini o nel 2008 contro Tsonga in Australia.
Interpretando i numeri
Prima dei “big three” odierni il più grande di tutti i tempi era considerato Pete Sampras, vincitore di 14 slam e dominatore degli anni ’90. Pur essendo un grande campione, Pete ha sicuramente avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Un po’ come oggi giorno, con Federer sul viale del tramonto e Nadal con l’incognita del fisico, anche negli anni ’90 c’era più spazio per emergere.
Dopo il suo ritiro gli appassionati e gli addetti ai lavori si sentivano quasi “obbligati” a definire Pete il “GOAT”. Troppo importanti i record dell’americano per essere ignorati. Sette titoli a Wimbledon come solamente William Renshaw che, però, aveva trionfato tra il 1881 e il 1889. Sei stagioni consecutive terminate al numero uno del ranking per un totale di 286 settimane in vetta al ranking. Senza dimenticare il suo “serve and volley” che faceva breccia tra gli appassionati. Anche oggi si tende a guardare con maggiore “simpatia” il giocatore d’attacco che prende la rete a ogni punto perché considerato uno stile di gioco più divertente rispetto a chi, seppur dotato di due ottimi fondamentali, rimane sempre a fondo campo.
Però, quando si parla di “migliore di tutti i tempi”, la completezza di gioco è un aspetto molto importante nella discussione. Pete aveva nel servizio e nel dritto due armi letali ma il suo rovescio a una mano era abbastanza debole. A dire il vero Pete all’inizio della sua carriera giocava il rovescio a due mani fino a quando, nel 1985, il suo coach Pete Fischer lo convinse a giocarlo a una mano perché in questo modo avrebbe avuto successo sull’erba. Ma il suo rovescio è sempre stato il suo colpo meno sicuro, durante l’esecuzione tendeva ad alzare troppo il gomito sforzando eccessivamente la spalla. Tutte le sue indecisioni con questo colpo venivano fuori sulla superficie che non perdona nessuna mancanza: la terra battuta.
Un rapporto burrascoso con il rosso
Pete in carriera ha vinto 90 partite sul rosso perdendone 54. Ha raggiunto una sola semifinale a Parigi nel 1996 senza riuscire a superare il secondo turno in Francia in ben 8 delle sue tredici apparizioni. Anche negli altri tornei sul mattone tritato i risultati sono sempre stati poco soddisfacenti. A Montecarlo, da sempre paradiso per gli amanti del rosso, si è presentato solo quattro volte durante la sua carriera vincendo solo una partita, contro Andre Agassi nel 1998. Vittoria sorprendente dal momento che la terra è sempre stata più congeniale ad Andre. Una sola apparizione per Pete a Barcellona, nel 1995 quando voleva talmente tanto vincere il Roland Garros che per la prima e unica volta in carriera giocò un’intera stagione sulla terra. Ma in Catalogna perse subito contro il modesto Oliver Gross che in carriera non si sarebbe mai spinto oltre la 60esima posizione. Discorso diverso per Roma. Nel 1994 vinse in Italia demolendo Becker in tre rapidi set ma la superficie del foro italico in quell’edizione pareva particolarmente veloce. C’è chi dice fosse per esaltare proprio Pete che negli anni seguenti avrebbe vinto solamente un’altra partita a Roma.
Il rendimento di Pete sulla terra battuta negli anni è stato talmente altalenante che era difficile ritenerlo il più grande di tutti i tempi quando su una superficie così importante poteva perdere da chiunque. Ad esempio Becker e Edberg che, come Sampras, prediligevano le superfici rapide, hanno ottenuto per certi versi risultati migliori sul rosso di Pete. Lo svedese nel 1989 era a un set dal vincere il Roland Garros prima di farsi rimontare da Chang. Boris, seppur non ha mai vinto un titolo sul rosso, ha ottenuto ben tre semifinali a Parigi e giocato 5 finali tra Montecarlo, Roma e Amburgo. Senza dimenticarsi John McEnroe che nel 1984 stava battendo facilmente Ivan Lendl in finale prima di farsi distrarre, a suo dire, da una telecamera.
E’ giusto dire che gli anni 90’ erano diversi da oggi. Era normale vedere giocatori eccellere sul mattone tritato e uscire al primo turno a Wimbledon o viceversa. Basti pensare che Thomas Muster è stato l’unico numero uno della storia a non aver mai vinto una partita sui prati di Church Road. Però dal 1990 al 2000 ci sono stati a Parigi ben 9 vincitori diversi del torneo. C’erano tanti specialisti ma nessuno così dominante dal non lasciare alcuna possibilità agli avversari come Nadal.
Il rivale di sempre in lotta con se stesso
Per quanto riguarda il livello degli avversari affrontati da Pete nel corso della sua carriera, nessuno a eccezione di Agassi era abbastanza forte e continuo dal rappresentare una minaccia ogni stagione. Guardando le statistiche Sampras ha giocato diciotto finali slam in carriera contro 12 giocatori diversi. Solamente Agassi (5 volte), Pioline ( 2 volte) e Ivanisevic (2 volte) sono avversari ricorrenti più di una volta nelle finali slam. La rivalità con Andre ha tenuto incollati alla televisione milioni di appassionati. Pete conduce 20 a 14 negli scontri diretti ma soprattutto ha vinto 6 dei 9 match disputati nei grandi slam. Agassi ha vinto solo una finale slam delle cinque giocate contro Sampras. Senza cercare di capire chi fosse più forte, è giusto ricordare le montagne russe della carriera del kid di Las Vegas. Qualche volta è difficile credere che Andre potesse odiare il tennis così tanto ma è indubbio che il suo rapporto con la racchetta fosse più turbolento rispetto a Pete. E di conseguenza l’intera carriera.
La prima vittoria slam di Agassi susseguita dai problemi alla schiena nel 1993, il ritorno alla fine del 1994 grazie al coach Brad Gilbert, l’estate della vendetta nel 1995 con l’obiettivo di battere Becker e colui che ormai da tre anni aveva monopolizzato il tennis, Sampras. Il declino nel 1996 e il punto più basso nel 1997 quando da numero 141 del mondo decise di darsi un’altra possibilità. Un nuovo ritorno passando anche per i Challenger nel 1998 fino alla conquista del tanto agognato Roland Garros nel 1999. Fino a diventare uno dei tennisti più longevi di sempre grazie anche alla serenità del matrimonio con Steffi Graf. Queste “pause” nella carriera di Agassi hanno sicuramente aiutato Sampras a continuare a vincere titoli.
La statistica riguardante gli anni consecutivi al numero uno o il numero di settimane in prima posizione è impressionante ma come anche l’epoca dei big three insegna è influenzata dagli infortuni. Nadal è stato numero uno “solamente” 209 settimane nella sua carriera ma i problemi fisici gli hanno impedito di starci più a lungo. Sampras dal 1990 al 2000 ha saltato solamente 5 slam mentre Agassi, ad esempio, 10.
Sorteggi favorevoli
Pete ha ottenuto i migliori risultati come detto a Wimbledon e allo US Open. Per quanto riguarda l’erba Becker si presentava all’inizio degli anni 90’ con già 3 titoli vinti a Wimbledon a soli 21 anni. Dopo il titolo nel 1989 non avrebbe però mai più vinto ai Championships proprio a causa di Pete che lo avrebbe sconfitto ben 3 volte a Londra. Ivanisevic è stato l’altro grande rivale a Wimbledon di Pete. Dopo averlo battuto nel 1992 in semifinale però anche Goran sarebbe uscito sconfitto nei successivi tre incontri sull’erba londinese. Goran e Boris però avevano uno stile simile a Sampras, giocatori d’attacco che prediligevano il serve and volley. La fortuna di Sampras a Wimbledon è stata quella di non essersi mai dovuto confrontare con grandi ribattitori come accaduto a McEnroe con Borg negli anni ottanta, o a Federer con Nadal e Djokovic ai giorni nostri. E’ vero che nel 1999 sconfisse Agassi in tre set ma Andre aveva troppo poco servizio per essere davvero una minaccia sui prati. Ciò nonostante è indiscutibile che i sette titoli a Wimbledon rappresentino un bottino incredibile da parte di Sampras.
I tabelloni allo US Open si sono sempre rivelati benevoli con Pete. Nel 1990, anno della sua vittoria, sconfisse sulla strada per il titolo Lendl e McEnroe entrambi sul viale del tramonto prima di battere il rivale di sempre Agassi. Nel 1993 Chang, Volkov e Pioline erano gli avversari sulla strada verso il secondo titolo nella grande mela. Nel 1995 dopo aver sconfitto per l’ennesima volta Courier vinse nuovamente contro Andre esausto dalla lotta contro Becker. La conferma del titolo nel 1996 arrivò grazie alle vittorie contro Ivanisevic e Chang. Lo US Open del 2002 fu considerato ai tempi un miracolo da parte di Pete. Veniva da alcuni anni difficili e aveva già 31 anni che vent’anni fa significava ritiro. La testa di serie più alta sconfitta fu però Tommy Haas agli ottavi, fino alla vittoria finale contro Agassi. Andre prediligeva le condizioni umide e lente dell’Australian Open rispetto a New York. Infatti in Australia ha vinto entrambi gli incontri contro Pete.
Sampras è stato un grande campione, probabilmente il migliore della sua epoca. Ma anche se è il quarto giocatore per numero di slam e per molti anni ha detenuto alcuni dei record più importanti non è stato un giocatore migliore di Borg, McEnroe o Laver. E’ stato più abile a usare le proprie armi rispetto a Edberg e Becker ma se pensiamo a Bjorn, lo svedese è stato in grado di vincere nello stesso anno il Roland Garros e Wimbledon per ben tre stagioni consecutive (1978, 1979, 1980). Senza dimenticare che a quell’epoca gli avversari erano McEnroe, Connors, e Vilas.