Contrariato, reticente, impermalosito. Ci sono modi migliori per digerire una sconfitta; con ogni evidenza Stefanos Tsitsipas non ne ha trovati. Battuto al terzo turno a Indian Wells da Jenson Brooksby, il dio greco del tennis si è materializzato in conferenza stampa parecchio infastidito, per quanto le sue risposte abbiano costantemente tentato di affettare il contrario. “Il punto forte di Brooksby? – il pacato esordio di Stefanos davanti ai microfoni – è molto bravo a centrare il nastro e poi a far cadere la palla nel campo dell’avversario“. Provocatorio, verrebbe da dire piuttosto gratuitamente, e poco incline a rendere l’onore delle armi a chicchessia, meno che mai al povero Jenson: “Cosa spicca nel suo gioco? Mi pare nulla di particolare. Non è esplosivo, non è atletico, non ha un colpo che ruba l’occhio. Solido, questo sì, costante. Non male quando c’è da rimandare di là qualsiasi cosa“.
Del resto, simile a chi venga escluso da una festa a cui teneva moltissimo partecipare, la partita di oggi lo interessava fino a un certo punto. “Ci sono settimane buone e cattive; questa è stata cattiva ma so che posso fare bene negli altri grandi tornei quest’anno. La vittoria reale per me è sapere di poter competere, cosa non scontata alla fine dello scorso anno con i guai al gomito che ho passato. Sono qui e mi diverto, apprezzo infinitamente più di prima ogni sensazione legata all’agonismo“.
Di tutt’altro umore, com’è ovvio, Jenson Brooksby, il quale, rilassato dalla vittoria più importante sin qui della giovane carriera, ha conservato un atteggiamento positivo anche una volta riportategli le cafonaggini scappate di bocca all’avversario da poco battuto. “Da ragazzino venivo qui da spettatore insieme a mio padre – ha dichiarato il ragazzo di casa -, fino ai tredici anni sono stato un fan appassionato, collezionavo autografi e alcuni di essi appartengono a ragazzi che giocano ancora, penso a Petra Kvitova, Vasek Pospisil, Ernests Gulbis. Non sono passati secoli da quel periodo, e adesso mi ritrovo addirittura in campo, dalla parte del protagonista: non posso che essere felice del lavoro fatto finora“.
Un lavoro minuziosamente analitico; una strategia meticolosa messa a punto nei prepartita insieme al proprio team, per scovare la breccia che sempre, da qualche parte, si apre nella corazza del rivale. “Mi dicono che non ho un vero e proprio punto forte e forse non hanno torto, ma il mio superpotere è saper sfruttare i punti deboli altrui. Scovarli e trarne vantaggio in tutti i modi possibili. Non piacerà al pubblico come un gran servizio o un dritto fulminante, ma porta buoni risultati. Non mi faccio notare, dicono? Mi piace essere invisibile, ha i suoi vantaggi. E amo non essere facile da prevedere. Mi adatto al momento, alla situazione, a chi c’è di là. Sta andando bene, ma occorre tenere la guardia alta“. La stessa guardia alta che dovrà tenere Cameron Norrie in ottavi di finale, se non vorrà essere la prossima sorpresissima vittima dell’uomo qualunque da Sacramento.