“Mio padre mi portava qui, quando ero un ragazzino me l’aveva detto che un giorno avrei vinto questo torneo“. Indian Wells – dove un anno fa raggiunse la semifinale – è senza dubbio il teatro dei sogni di Taylor Fritz. Nuovo numero 13 del ranking, dopo aver conquistato a 24 anni il primo Masters 1000 della sua carriera (e secondo titolo complessivo) battendo Rafael Nadal nella finale degli acciaccati. Una partita che il californiano ha rischiato di non giocare, alle prese con il fastidio alla caviglia destra avvertito già durante la semifinale vinta in due set contro Andrey Rublev. Il riscaldamento, interrotto in prima battuta a causa del dolore, aveva fatto pensare al peggio. Poi lo scenario è cambiato.
TESTARDO – “Alla vigilia non ho voluto pensare all’infortunio – ha raccontato in sala stampa – sperando le cose potessero migliorare dopo averci dormito su. Quando sono arrivato in campo per il riscaldamento, però, negli spostamenti ho gridato dal dolore. Mi veniva quasi da piangere perchè stavo pensando al ritiro, poi però un’ora di trattamenti mi ha rimesso in piedi, ci ho riprovato e ho visto che in qualche maniera sarei potuto stare in campo nonostante alcuni nel mio staff mi avessero suggerito di non giocare. Mi sono scusato con loro per la mia testardaggine, ma arrivato fin qui non potevo non provarci. Medici e fisioterapisti hanno fatto realmente un lavoro straordinario, quando la partita è iniziata non avvertivo fastidio. Nell’immediato ho comunque una risonanza magnetica, speriamo la situazione non sia peggiorata e di poter giocare Miami“. Fritz è già stato protagonista di recuperi estremi, basti pensare alla rapida convalescenza – a Wimbledon era già in campo – dopo l’operazione al menisco derivante dall’infortunio all’ultimo Roland Garros. “Serve qualcosa di molto grosso per convincermi a non giocare – ammette -, ho un’alta soglia di sopportazione del dolore e forse anche un pizzico di incoscienza nel non pensare alle conseguenze“.
MIGLIORAMENTI – “Sapevo che Rafa avesse dei problemi, soprattutto dopo la rinuncia a Miami – ha proseguito, spostando il focus sull’avversario che era imbattuto da inizio stagione -, ma nella mia testa l’ho affrontato come se fosse nel pieno della salute. Perché uno come lui, se scende in campo, vuol dire che può vincerla. Avrei sbagliato a pensare preventivamente che potesse essere frenato“. Fritz ha poi spiegato come la sua crescita degli ultimi mesi abbia ricevuto una doppia spinta, tecnica e mentale: “Dal torneo giocato qui nella passata stagione ho fatto quei progressi sul dritto che mi mancavano, adesso lo carico con maggiore sicurezza. E ho imparato anche a giocarmi meglio i punti decisivi“. Oltre ad aver centrato l’obiettivo personale dell’ingresso in top 10, sollevando il primo trofeo del Sunshine Double ha regalato anche fiducia al movimento statunitense: “La mia generazione deve essere consapevole che nulla le è precluso – ha concluso -, Opelka ha giocato la finale a Toronto, io stesso arrivavo da una semifinale qui. I margini di miglioramento nel tennis di questo livello sono legati ai dettaglio, fiducia e convinzione fanno la differenza. Sono convinto che il nostro gruppo possa togliersi belle soddisfazioni“.